Machiavelli, Corradini e l'importanza di un'Europa unita

 

Unire l'Europa, o difendere la piena indipendenza dei singoli stati del Vecchio Continente? È questo il principale problema su cui si dividerà la politica europea. L'obiettivo di questo articolo è riflettere su questo tema, prendendo in considerazione alcuni passaggi di Niccolò Machiavelli ed Enrico Corradini che trattano il rapporto tra gli stati e la guerra.  

 

 

In Europa, all’interno del mondo politico e del mondo culturale è sempre più evidente una divisione tra due schieramenti, una distinzione che si alimenta da decenni e che la recente guerra in Ucraina ha contribuito a rimarcare: da un lato ci sono le forze favorevoli a una maggiore unione tra gli stati europei, da un punto di vista politico, militare, e culturale, mentre dall’altro si trovano i soggetti che considerano una più stretta integrazione come inutile o dannosa. L’obiettivo di questo articolo è riflettere sulla convenienza di un’Europa unita, cioè su quanto sia utile per i singoli stati europei realizzare un grado superiore di collaborazione con gli altri stati. Si cercherà di dare un piccolo contributo su questo tema che sarà protagonista del dibattito pubblico nel nostro continente.

 

A questo scopo, si prenderanno innanzitutto in considerazione alcuni passaggi delle opere di Niccolò Machiavelli e di Enrico Corradini, due autori accomunati dal fatto di essersi occupati di un tema specifico: il rapporto tra le collettività e la forza militare, l’importanza per gli stati di avere una certa capacità di fare la guerra; saranno alcune delle loro tesi su questo tema a fondare le considerazioni conclusive sull’attualità. Questi pensatori hanno un livello di celebrità molto differente: mentre Machiavelli, autore de Il Principe (pubblicato nel 1532), ha una fama internazionale, Corradini, autore de L’unità e la potenza delle nazioni (pubblicato nel 1922), è conosciuto soprattutto perché è stato uno dei principali protagonisti del nazionalismo italiano. È nelle opere appena citate che si trovano alcune osservazioni che possono aiutare a orientarsi nel presente, inducendo a sottolineare l’importanza di un’Europa unita.

 

All’inizio de Il Principe, Machiavelli sostiene che esistono due tipi di stato: la repubblica, dove i cittadini partecipano alla gestione del governo, e il principato, dove il potere viene esercitato in modo assoluto dal principe. L’obiettivo fondamentale dell’autore è concentrarsi su quest’ultima figura, e indicare che cosa deve fare un principe per governare bene il suo stato e mantenerne il controllo. Nel corso dell’opera, si trovano considerazioni generali sugli stati e il rapporto che devono avere con la guerra.

Una tesi fondamentale è espressa in questi passaggi:

 

« Le migliori fondamenta di tutti gli Stati […] sono le buone leggi e i buoni eserciti »

 

« L’esperienza insegna come soltanto i prìncipi e le repubbliche dotati di propri eserciti compiano progressi grandissimi »

 

Machiavelli afferma ripetutamente che uno stato deve prima di tutto essere militarmente capace, deve avere a propria disposizione forze armate efficienti; la forza militare è così importante che anche nei periodi di pace va pienamente mantenuta e preparata a eventuali conflitti futuri. La ragione di quanto appena detto è espressa in frammenti come i seguenti:  

 

« Senza possedere milizie proprie, nessun principato è sicuro, e finisce anzi per dipendere completamente dalla fortuna, poiché non possiede forze capaci di difenderlo fedelmente nelle avversità ».

 

« Roma e Sparta restarono per molti secoli armate e libere ». 

 

« Non ci sono confronti possibili tra un uomo armato e uno disarmato. E non è credibile che l’armato obbedisca volentieri al disarmato, o che il disarmato possa vivere tranquillo fra servitori armati. » (Niccolò Machiavelli, Il Principe).

 

Il punto è che uno stato incapace di fare la guerra è innanzitutto in una condizione di perenne insicurezza, perché in qualsiasi momento potrebbe essere invaso, depredato e dominato da potenze esterne; inoltre, esso è di fatto sottomesso alla volontà degli stati più attrezzati, perché questi ultimi lo possono costringere all’obbedienza attraverso la minaccia di un intervento militare. Quindi, una buona capacità militare è un requisito indispensabile per essere uno stato sicuro e libero, in grado di prendere decisioni conformi alla propria utilità e non a quella di altri soggetti.

 

Per offrire degli esempi a conferma della sua teoria, Machiavelli parla degli eventi che caratterizzano l’Italia del suo tempo, in particolare dei fatti che compongono il periodo che oggi viene definito “prima fase” delle “Guerre d’Italia” (in questo periodo, iniziato nel 1494 con la discesa del re francese Carlo VIII, le potenze europee cominciano a dominare la penisola italiana, avviando una subalternità che si interromperà solo con il Risorgimento). Machiavelli afferma che la “rovina d’Italia” è causata dal fatto che gli stati della penisola non hanno un esercito in grado di resistere alle forze armate straniere: è soprattutto questo che ha permesso a Carlo VIII di prendere l’Italia “col gesso”, e più in generale ai re di Francia e Spagna di imporre la loro volontà sulla penisola. In questo senso, Machiavelli incolpa della “rovina” i vari principi italiani, perché non si sono occupati sufficientemente delle proprie capacità militari:

 

« Come risultato finale delle loro virtù [cioè della virtù dei principi italiani], l’Italia è stata devastata da Carlo VIII, depredata da Luigi XII, occupata con la violenza da Ferdinando il Cattolico e disonorata dagli Svizzeri. »

 

L’autore de Il Principe non si limita a sostenere che lo stato, per mantenere libertà e benessere, deve essere difeso da un esercito efficiente, ma sottolinea diverse volte che lo stato deve essere protetto da un esercito proprio, cioè sotto il pieno controllo dello stato stesso, parte dello stato stesso. In questo senso, egli afferma che una collettività non deve fare affidamento sulle “milizie ausiliarie”, cioè non deve farsi proteggere da forze armate appartenenti a un’altra potenza, che obbediscono a un altro stato: 

 

« Gli eserciti coi quali un principe difende lo Stato, o sono suoi, oppure mercenari, ausiliari, e misti. I mercenari e ausiliari sono inutili e pericolosi ». 

 

« Altri eserciti inutili sono gli eserciti ausiliari, vale a dire quelli che hai quando chiedi a un potente di venire con le sue armi ad aiutarti e a difenderti ».  

 

« Ogni principe saggio, pertanto, ha sempre evitato di servirsi degli eserciti, usando i propri. E ha preferito perdere con i suoi, piuttosto che vincere con gli altri, giudicando falsa la vittoria ottenuta con armi non sue » (Niccolò Machiavelli, Il Principe).

 

Una ragione della disapprovazione nei confronti delle milizie altrui è la seguente: lo stato che si avvale delle forze armate di una potenza straniera è in una condizione di sottomissione nei confronti di tale potenza, e quindi è costretto a prendere decisioni politiche convenienti allo stato protettore. Quest’ultimo è in grado di imporre la propria volontà sullo stato protetto grazie alla minaccia di utilizzare le proprie forze armate, grazie alla paura di una ritorsione in caso di disobbedienza. La dannosità delle milizie altrui è sottolineata in passaggi come questi: 

 

« Gli uomini saggi, del resto, hanno sempre ripetuto “che niente è più fragile e più instabile della fama di una potenza la quale non si regga sulle proprie forze”. E le sole forze proprie sono quelle composte dai tuoi sudditi, dai tuoi cittadini o da gente che tu abbia favorita e protetta. Tutti gli altri sono mercenari o ausiliari. »

 

« Chi si vuole dunque trovare nell’impossibilità di vincere, si valga delle truppe ausiliarie, molto più pericolose delle mercenarie. Con le ausiliarie la rovina è certa: sono tutte unite e tutte rivolte a obbedire a qualcun altro. »

 

« Gli eserciti ausiliari possono essere ottimi in se stessi, ma sono quasi sempre dannosi per chi li chiama, poiché se essi perdono, subisci una disfatta, e se vincono, resti loro prigioniero. » (Niccolò Machiavelli, Il Principe)

 

Machiavelli considera la guerra come un elemento decisivo della politica internazionale, ma Corradini, lettore e interprete di Nietzsche, ha indubbiamente una visione ancora più conflittuale della storia rispetto a lui e alla maggioranza degli autori classici della filosofia politica.

 

Nella sua opera principale, L’unità e la potenza delle nazioni, Corradini afferma ripetutamente che ogni nazione è animata da una naturale volontà di espandersi, cioè di dominare le altre collettività e di conquistare nuovi territori. Ogni stato è inevitabilmente imperialista, cioè desideroso di essere impero:

 

« Le nazioni e gli Stati nella stessa forza di crescenza e nello stesso istinto egoistico attivo che vengono loro trasmessi dagli individui e dalle classi che li compongono, hanno la necessità del loro imperialismo. »

 

«Tutti gli Stati sono imperialisti. » 

 

Per questo motivo, egli aggiunge che ogni collettività è in una condizione di guerra perenne con le altre collettività, perché il conflitto è l’unico mezzo con cui è possibile realizzare il dominio e l’espansione territoriale:

 

«Così la volontà di guerra tra le nazioni è perpetua. La guerra è perpetua. La storia conferma. Tutte le storie particolari delle nazioni e degli Stati confermano. »

 

 

Basandosi su questa teoria fondamentale sull’umanità, che appare eccessivamente conflittuale, Corradini esprime due considerazioni specifiche che è utile notare.

 

La prima, che non si discosta molto dalle osservazioni di Machiavelli riportate poco fa, emerge qui: «l’imperialismo degli Stati ha libero corso ed è soltanto limitato dalla potenza degli Stati». L’idea è che l’imperialismo di uno stato è frenato soltanto dalla forza delle collettività su cui vorrebbe esercitare il suo dominio. Lo scrittore nazionalista sostiene che l’unico fattore che permette a una nazione di non cadere vittima dell’imperialismo altrui è la propria potenza, la quale è intesa come il risultato della demografia, della ricchezza, della forza dell’esercito, del coraggio e dello spirito di sacrificio della popolazione. Il punto è ancora questo: la capacità militare è uno strumento che consente a una comunità di rimanere autonoma. 

 

Il secondo concetto da rilevare si trova in una parte del testo in cui l’autore riflette sulle cause della Grande Guerra. Corradini dice: 

 

« Prima della guerra mondiale esistevano quattro teorie pacifiste e in tutte era la guerra. […] Esisteva la teoria del cosmopolitismo borghese. La diffusione della cultura e della civiltà aveva ormai abolito la guerra, dicevano i seguaci di quella teoria, ma chiamavano la guerra. Il rammollimento degenerativo delle classi e delle nazioni invita la barbarie alla guerra. […]  Alla preparazione della guerra mondiale socialmente cooperava la Francia con […] la sua politica disuguale, ora «democratica» e pacifista che la disarmava e invitava la Germania ad aggredirla, ora di affrettato riarmamento che inaspriva tra le due nazioni e i due Stati l’animo ostile. » (Enrico Corradini, L’unità e la potenza delle nazioni).

 

La tesi generale che può essere ricavata da queste citazioni è la seguente: una nazione imperialista, desiderosa di dominare un’altra collettività, è incoraggiata a passare all’azione dalla consapevolezza che il territorio su cui intende avere il controllo non è difeso da un’adeguata forza militare. Uno stato caratterizzato da una scarsa capacità di fare la guerra non è più lontano dal pericolo e dal conflitto rispetto a uno stato efficacemente armato; questo perché la debolezza di uno stato induce gli imperi a muoversi verso di esso, a invaderlo, e a imporgli le proprie scelte. I passaggi sopracitati richiamano alla mente la celebre sentenza latina «se vuoi la pace, prepara la guerra»

 

Alla luce di quanto riportato finora, è possibile sviluppare alcune osservazioni riguardo alla situazione attuale e futura dell’Europa. Il punto fondamentale è questo: se si considerano valide le riflessioni di Machiavelli e di Corradini, sintetizzabili nella tesi per cui la capacità di fare la guerra è essenziale a uno stato per mantenere la propria sicurezza e libertà; e se si ammette l’idea per cui l’unione tra gli stati europei renderebbe ogni nazione europea militarmente più potente, in quanto permetterebbe a ciascuna nazione di essere difesa dalla somma di molte forze armate e non soltanto dalla propria; allora si può concludere che l’unione tra gli stati europei avrebbe un’utilità per ogni stato europeo. L’unificazione consentirebbe a tutte le nazioni d’Europa di avere delle “milizie proprie” più efficaci, aumentando l’autonomia e la possibilità di prendere decisioni favorevoli a sé e non a potenze esterne. 

 

 

Le modalità con cui realizzare concretamente questa “unità”, in particolare da un punto di vista militare, sono diverse: per es., si potrebbe ratificare una stretta alleanza che preveda l’intervento militare diretto di tutti gli stati membri in caso di attacco esterno a uno di essi, oppure si potrebbe promuovere la formazione di un esercito europeo. Più in generale, le misure possibili a favore dell’unificazione politica, economica, e culturale, sono molte, l’importante è che siano adeguate al contesto storico e non applicate in modo frettoloso. In questo senso, va notato che probabilmente non sarà possibile intensificare la collaborazione tra gli stati europei finché si penserà l’unione come un’integrazione soprattutto economica in cui inglobare quanti più popoli possibile, indipendentemente dalle caratteristiche culturali e dalla vicinanza al progetto. Inoltre, non va trascurato che una difesa europea può essere veramente efficace soltanto se sostenuta da un comune senso di appartenenza tra i popoli che la costituiscono; anche per questo, i promotori dell’integrazione potrebbero lavorare sull’identità europea, fondandola innanzitutto su una seconda lingua comune, la quale però dovrà accompagnare le solide identità nazionali senza pretendere di sostituirsi a esse. Riguardo a questo tema, va sottolineato che ci sono motivi per mettere in discussione la diffusa abitudine di riferirsi all’ipotetico stato federale europeo con il termine “Stati Uniti d’Europa”, e preferire a quest’ultimo l’espressione “Federazione europea” (utilizzata nel Manifesto di Ventotene): l’Europa è sede di una civiltà millenaria che non ha bisogno di copiare il proprio nome dagli Stati Uniti (i quali non solo hanno interessi geopolitici differenti dal nostro continente, ma hanno anche una conformazione diversa in quanto caratterizzati da un’unica identità nazionale); sembra improbabile che un termine del genere possa riuscire a ottenere un favore diffuso, senza toccare l’orgoglio degli europei. 

 

Corradini (quarto da sinistra) inviato durante la Guerra di Libia
Corradini (quarto da sinistra) inviato durante la Guerra di Libia

 

Se le tesi di Machiavelli e di Corradini sono valide, e se l’Europa rimarrà divisa, allora ciascuno stato europeo sarà sempre più subordinato agli imperialismi stranieri. Ogni nazione sarà meno lontana dalla possibilità di subire invasioni dei propri mari e delle proprie terre, con tutte le loro tragiche conseguenze; ma soprattutto ogni paese sarà sempre più sottomesso alla volontà di qualche impero esterno, di cui farà gli interessi a causa del timore di un eventuale intervento militare (alcune delle conseguenze possibili saranno l’attuazione di politiche economiche svantaggiose, il pagamento di tributi, la cessione di territori e risorse). Nemmeno l’affidamento a “milizie ausiliarie”, come quelle statunitensi oggi saldamente presenti nel Vecchio Continente, permetterà agli europei di sfuggire in modo pieno a questa subalternità. Obbedire a un altro stato, anche se non si è colpiti o conquistati esplicitamente dalle sue armi, significa essere soggetti a un impero. In questo senso va la seguente considerazione di Yoram Hazony: 

 

« È tuttavia un errore supporre che l'imperialismo sia espressione di appetiti territoriali. È piuttosto espressione della brama di voler controllare altre nazioni; qualcosa che molti esperti ritengono possa essere raggiunto oggi impiegando i bombardamenti aerei oppure altri metodi, che non richiedano annessioni territoriali di sorta. » (Yoram Hazony, Le virtù del nazionalismo).

 

Ad alimentare la preoccupazione per il futuro c’è anche la somiglianza tra la condizione della penisola italiana all’inizio delle Guerre d’Italia, accennata precedentemente, e quella attuale del territorio europeo. Anche se in quell’Italia la conflittualità interna era indubbiamente maggiore, in entrambi i casi si trovano territori occupati da stati divisi, stati che appaiono decisamente più deboli rispetto alle potenze che li circondano; gli stati regionali italiani erano sotto gli occhi di francesi e spagnoli, mentre le nazioni europee oggi sono osservate da potenze come gli Stati Uniti, la Russia, la Cina, e la Turchia. Il punto è che la debolezza militare dei singoli stati italiani divisi, li ha condannati a cadere vittime di imperialismi sempre più aggressivi (e così a diventare protagonisti di una decadenza culturale ed economica che ancora oggi si sta pagando) frenati soltanto da un lungo processo di unificazione. Quindi, ci sono motivi per pensare che le nazioni europee, se rimarranno divise, potranno scivolare in una condizione di subordinazione simile a quella italiana in epoca moderna. 

 

D’altronde, sono già visibili diversi segnali del fatto che il nostro continente è avviato verso una sempre maggiore irrilevanza. Oggi nessuno stato europeo è pienamente determinante nello scenario internazionale. 

 

Le nazioni europee esprimono una politica estera che raramente si discosta in modo sostanziale da quella statunitense, come è mostrato, per es., dal loro ruolo nei conflitti in Ucraina e in Palestina; a riguardo, va notato che in Europa si trovano stabilmente circa centomila soldati americani, di cui più di diecimila in Italia.

 

La Russia sta innalzando sempre di più il livello di conflittualità nei confronti dell’Europa, non solo occupando buona parte dell’Ucraina ma anche esercitando sempre più influenza nel Nord Africa.

 

La Turchia, animata da un secolare atteggiamento imperiale oggi favorito da un’età media di 32 anni (contro la media europea di 44 e quella italiana di 48), sta incrementando la sua pressione sui mari e sui confini italiani ed europei: negli ultimi anni essa ha rafforzato il suo controllo su parte della Libia e ha risvegliato le storiche tensioni con la Grecia. 

 

Questi sono solo alcuni esempi del fatto che le varie potenze extraeuropee avranno sempre più l’intenzione di determinare le sorti del mondo. Di fronte a questi soggetti, dotati di interessi specifici e di grande capacità militare, i singoli e isolati stati del nostro continente non potranno mantenere una sostanziale autonomia. L’unità europea, nonostante tutte le sue difficoltà, è ciò che consentirà a noi europei di godere ancora di libertà e progresso economico e culturale.  

 

 

maggio 2024

 







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