L’errore di Ego e di Steppenwolf è in questo senso l’errore di ogni dittatore, di ogni potente che, sfoggiando i muscoli, riesce a zittire le voci di dissenso per un certo periodo; è la pretesa di potersi porre allo stesso modo nei confronti di qualsiasi cosa, senza considerare le peculiarità di ciascuna.
« Presto, Peter, saremo tutto ciò che esiste.» […] «La chiamo Espansione. È il mio fine, e ora è anche il tuo […] Per migliaia e migliaia di anni ho piantato estensioni i me stesso in migliaia di mondi. Devo adempiere al solo vero compito della mia vita… crescere e diffondermi, coprendo tutto ciò che esiste finché ogni cosa non è… me. »
Queste parole saranno note a chi segue l’uscita delle opere cinematografiche che narrano le gesta dei supereroi apparsi per la prima volta nei decenni scorsi su varie testate fumettistiche: così Ego, “il pianeta vivente” di casa Marvel, giustifica le sue mire di dominio su ogni cosa esistente.
Il film da cui è tratta la citazione, I guardiani della galassia 2 (2017), non spicca certamente per l’originalità della trama, che anzi ricalca una struttura abbastanza comune in produzioni di questo tipo: un antagonista malvagio che vuole annichilire tutto ciò che non è uguale a lui; protagonisti che gli si oppongono, venendo presentati allo spettatore come i paladini della “libertà” e che alla fine riescono a prevalere.
Siamo chiaramente portati a parteggiare per “i buoni” e, per quanto scontata possa essere la trama, il concetto che sta dietro questa nostra preferenza è interessante, come è degna di nota la domanda: dove sbagliano i villains di questi film?
Gli intenti degli antagonisti consistono nel tentativo di assoggettare ogni cosa a loro, il più delle volte di rendere ogni cosa uguale a loro stessi. Spesso la motivazione che li muove è quasi nobile: cercare di instaurare l’armonia e di appianare i conflitti di opinioni ed esistenze diverse fra loro.
« Tutti mi ameranno », asserisce la divinità malvagia Steppenwolf prima di scontrarsi con violenza contro gli eroi della Justice League nell’omonimo film del 2017. Chiaramente questo non può essere altro che l’amore che un uomo nato sotto una dittatura può riservare al tiranno, e la pace che ne deriva non potrà essere altro che il deserto: la ragione di ciò si trova nel fatto che un ente, pur essendo legato organicamente a ogni altra cosa, e coincidendo in questo senso con l’Essere intero – un ente, se considerato astraendolo da queste sue determinazioni – non esaurisce il contenuto dell’Essere intero.
L’errore che commettono i villains potrebbe in questo senso sembrare lo stesso degli Eleati. Scrive Hegel in Lezioni sulla storia della filosofia (pubblicato da La nuova Italia editrice di Firenze) a proposito di questo pensiero:
« L’uno, come prodotto immediato del puro pensiero, è nella sua immediatezza l’essere.
La determinazione è per noi nota e triviale; ma se noi abbiamo la nozione dell’essere e dell’uno, la sogliamo porre come condizione particolare accanto alle altre. Invece in Senofane l’essere è inteso nel senso che null’altro ha realtà all’infuori di esso; tutto il resto è pura apparenza. […] L’essere, l’uno della scuola eleatica, è soltanto questo sommergersi nell’abisso dell’astratta identità dell’intelletto. »
Dato che non possiamo pensare a qualcosa che sia nulla, che si trovi al di fuori dell’essere, il senso che possiamo carpire da queste parole è che “è pura apparenza” ciò che viene astratto dall’unità e considerato come separato da questa. Per come invece forse intendeva la questione Senofane, e come sicuramente la pensano Ego e Steppenwolf, “l’essere uno” viene individuato come il contenuto esaustivo dell’essere, e che “la pura apparenza” sia invece la contraddizione apparente dei vari enti.
Ma questa è un’unità cattiva, che elimina gli elementi problematici senza cercare di giustificarli e metterli in relazione con il resto.
A questo punto Ego potrebbe sfoderare un’altra argomentazione a difesa del suo piano: pur concedendo che ogni determinazione “singola” sia tanto strettamente legata alle altre da risultare imprescindibile, il loro essere inglobate nell’unità che vorrebbe imporre comunque le renderebbe presenti in quanto appunto, incorporate a se stesso. Per fare un altro esempio: se i popoli precolombiani vengono fagocitati dai conquistadores non per questo vengono annichiliti, ma continuano a esistere in quanto assoggettati agli invasori.
Questa logica ci pare più vicina della problematica dell’unità dell’essere: è la logica di qualsiasi violenza, che nasce dal mancato riconoscimento di certe determinazioni particolari, dal porsi come indifferenti nei confronti di istanze che vengono palesate.
L’errore di Ego e di Steppenwolf è in questo senso l’errore di ogni dittatore, di ogni potente che, sfoggiando i muscoli, riesce a zittire le voci di dissenso per un certo periodo; la è pretesa di potersi porre allo stesso modo nei confronti di qualsiasi cosa, senza considerare le peculiarità di ciascuna.
In alcuni contesti questo atteggiamento viene chiamato “follia”: chiamiamo infatti “sano” colui che riesce a mettere in relazione oggetti apparentemente distanti fra loro per trarne una visione d’insieme coerente; mentre “folle” colui che si pone con gli occhi chiusi di fronte al fenomeno che gli si presenta, non riuscendo a distinguere il reale da ciò che reale non è, evidentemente dimenticando di essere un ente che non può prescindere dal resto che lo determina, e che il tentativo dall’esito sempre fallimentare di fare ciò lo porta direttamente a scontrarsi contro un muro insuperabile.
Questo “fare finta che…” si trova molte volte nella storia: “facciamo finta che” gli africani siano animali così possiamo appropriarci delle materie prime; “facciamo finta che” l’elettroshock e i trattamenti violenti siano il modo migliore di trattare persone con difficoltà; il recente “facciamo finta che” i migranti e i profughi si possano semplicemente fermare ai confini e rispedire da dove provengono.
Questo è un comportamento da bambino o al limite da supercattivo di un film di supereroi. Dobbiamo fare di meglio.
13 dicembre 2017