L’Arte non imita, interpreta. Essa cerca l’idea che dorme nel simbolo, e presenta il simbolo in modo che gli uomini veggano, attraverso, l’idea. Dove no, a che varrebbe l’Arte? La natura è per essa il manto dell’Eterno: il reale è l’espressione finita del Vero: le forme sono i limiti nel tempo e nello spazio della potenza della Vita.
Il Vero è uno e domina tutte quante le manifestazioni della Vita. Ad ogni stadio dell’educazione dell’Umanità o d’una sola Nazione presiede un pensiero sociale che rappresenta il grado di progresso da compirsi. Religione, Arte, Politica, Industria esprimono e promovono in modi diversi, a seconda della loro missione speciale e degli elementi nei quale versano, quel pensiero. Il Genio, l’individuo singolarmente potente, può compendiare il passato, o collocarsi profeta dell’avvenire; ma la Letteratura collettiva, l’Arte d’un Popolo o di più popoli, non può ch’informarsi al fine sociale immediato dell’Epoca.
Missione speciale dell’Arte è spronare gli uomini a tradurre il pensiero in azione. […] Essa afferra l’idea giacente nell’intelletto, la versa nel core, l’affida agli affetti, la converte in passioni, e trasmuta l’uomo di contemplatore in apostolo.
Non dico che l’Arte, come oggi gli uomini senza Fede l’intendono, adempia a questo ministero: dico che deve esser tale; che fu tale in tutte le sue grandi Epoche; che immiserì, scadde e diventò sollazzo di un’ora a gente svogliata, e parodia di se stessa ogni qualvolta traviò da quel fine.
Suprema condizione dell’Arte è dunque interrogare il pensiero dell’Epoca, nella Nazione e nella Umanità; poi tradurlo per simboli e immagini, e trovargli forme che suscitino la vita del core, della fantasia, dell’amore, a immedesimarselo e far sì che trionfi.
Il pensiero dell’Epoca della Nazione è la creazione d’una Italia che libera, e grande, levi in alto la bandiera dei popoli oppressi e senza nome, li chiami a vita una e spontanea e combatta a pro’ loro coll’esempio e coll’opera.
E il pensiero dell’Epoca nell’Umanità, è, checché appaia, una trasformazione religiosa: comporre solenni esequie a una Fede che, per cagioni lunghe a dirsi, non feconda più la vita dell’uomo; e chiamar l’anime oggi incerte, scettiche, sconfortate, disgiunte, a ribattezzarsi credenti, volenti, e sorelle, intorno alla culla d’un’altra.
Un nuovo cielo e una nuova terra: è campo angusto questo per l’Arte Italiana futura? È meno poetico forse che non quello di sensazioni e capricci individuali sul quale perirono isteriliti a mezzo il cammin della vita ingegni potenti come quello d’Alfredo di Musset? E perché l’Arte sarà principalmente religiosa e politica – perché seguirà convinta un fine, un intento collettivo preordinato falserà essa le proprie condizioni di vita violerà i confini che le sono assegnati? Sarà l’Arte meno sublime, perché avrà a simbolo la colonna di nube e fulgòre che precedeva il pellegrinaggio degli Israeliti attraverso il Deserto, anziché il fuoco fatuo dietro ai cui balzi irregolari si smarrisce il viandante nella foresta?
Due pericoli minacciano l’Arte: l’idea che essa è imitazione della natura o d’altro, e quella che le prefigge a norma il culto di se stessa, e creò negli anni vicini a noi la formola dell’Arte per l’Arte. La prima le rapisce ogni vita propria: la seconda rompe il suo vincolo coll’Universo, e la caccia a errare senza legge, senza fine, senza missione, travolta, come i sogni dell’infermo, dalle sensazioni. La prima la rende inutile; la seconda, pericolosa: ambedue la isteriliscono.
L’Arte non imita, interpreta. Essa cerca l’idea che dorme nel simbolo, e presenta il simbolo in modo che gli uomini veggano, attraverso, l’idea. Dove no, a che varrebbe l’Arte? La natura è per essa il manto dell’Eterno: il reale è l’espressione finita del Vero: le forme sono i limiti nel tempo e nello spazio della potenza della Vita. Natura, reale, forme, devono rappresentarsi dall’Arte in modo che ne trapeli agli uomini un raggio del Vero, un senso più profondo e più vasto della Vita. Che pensa diverso riduce l’ufficio del Poeta al fotografo. E l’Arte non è la fantasia, il capriccio d’un individuo: è la grande voce del Mondo e di Dio raccolta da un’anima eletta e versata agli uomini in armonia.
[…] L’Arte non è un fenomeno isolato, sconnesso, inesplicabile; essa vive della vita dell’Universo, e con esso s’accosta d’epoca in epoca a Dio. Da quella vita collettiva trae, come le piante dalla terra, madre comune, la sua potenza sull’anime: la smarrirebbe staccandosene. L’Arte per l’Arte è formola atea, come la formola politica: ciascuno per sé: può dominare per alcuni anni su popoli che decadono; nol può sopra un popolo che sorge a vita nuova, e a una grande missione.
I giovani cultori dell’Arte in Italia, quando l’Italia sarà […], eviteranno, io lo spero, quei due pericoli.
Essi non dimenticheranno i Grandi, che da Dante a Foscolo insegnarono loro l’Arte essere un sacerdozio morale.
18 dicembre 2017 (tratto dalle Note autobiografiche, Cap. V)