Le parti non possono esistere senza l'universale. Noi siamo legati agli altri; noi esistiamo per, con e negli altri. Ed ecco perché il bene mio è il bene dell'altro: fare del male a qualcuno è come farlo a noi stessi e chi lo compie, naturalmente, si contraddice.
Dante Alighieri, nel canto VI dell'Inferno, descrive magistralmente il luogo in cui sono condannati a vivere i golosi e l'incontro avuto con Ciacco:
« Grandine grossa, acqua tinta e neve
per l’aere tenebroso si riversa;
pute la terra che questo riceve.
Cerbero, fiera crudele e diversa,
con tre gole caninamente latra
sovra la gente che quivi è sommersa.
Li occhi ha vermigli, la barba unta e atra,
e ’l ventre largo, e unghiate le mani;
graffia li spirti ed iscoia ed isquatra. »
« Ed elli a me: "La tua città, ch’è piena
d’invidia sì che già trabocca il sacco,
seco mi tenne in la vita serena.
Voi cittadini mi chiamaste Ciacco:
per la dannosa colpa de la gola,
come tu vedi, a la pioggia mi fiacco.
E io anima trista non son sola,
ché tutte queste a simil pena stanno
per simil colpa". E più non fé parola. »
Una domanda sorge spontanea: “Come faceva Dante, vissuto tra il 1265 e il 1321, a dipingere così bene il nostro tempo?” Sembra, infatti, di essere immersi nella medesima “melma” in cui anche Ciacco si rotolava. Il problema è che, a differenza del rappresentante dei golosi, nel nostro tempo la maggior parte degli individui ingloba in sé ipocrisia, invidia, avidità, cinismo, indifferenza. Apparentemente ci si commuove guardando i servizi sulla guerra al telegiornale: mamme che gridano, bimbi che piangono, ma, passato qualche minuto, un amico fa una battuta e magicamente ci si dimentica ciò che hanno trasmesso alla televisione, che tanto non ci riguarda. Si manifestano, poi, nuove forme di bulimia: si è convinti di essere sfortunati sentendosi mancanti di tanto, e allora si desidera accumulare montagne di cose di ogni genere e non ci si stanca mai di ammassare. Persino alcuni bambini - sebbene il loro sorriso rimanga intatto e si nutra, quindi, la speranza di un tentativo di guarigione - influenzati dalla mancanza di valori si ammalano di queste patologie al punto da chiedere: “Quanto guadagnano i tuoi genitori? Che lavoro fanno? Io quando sarò grande voglio avere un sacco di soldi”.
Come si suol dire, siamo tutti sulla stessa barca, ma se ognuno pensa per sé la barca affonda. Se questo ragionamento appare banale perché, allora, l'egocentrismo si diffonde come petrolio in mare? I più guardano ma non vedono, sentono ma non ascoltano, perché tanto l'opinione comune è “io non posso salvare il mondo” e quindi meglio pensare a se stessi salvando la propria vita... che illusione! Infatti, l'unica via alternativa coerente con il ragionamento di chi pensa sia meglio salvare la propria pelle sarebbe quella dell'isolamento, ma questo contraddice la natura stessa dell'uomo. Si leggano, a tal proposito, le parole scritte da Aristotele nella sua Politica :
« ciò per cui una cosa esiste, il fine, è il meglio e l'autosufficienza è il fine e il meglio. Da queste considerazioni è evidente che lo stato è un prodotto naturale e che l'uomo per natura è un essere socievole: quindi chi vive fuori della comunità statale per natura e non per qualche caso o è un abietto o è superiore all'uomo, proprio come quello biasimato da Omero “privo di fratria, di leggi, di focolare”: tale è costui e, insieme, anche bramoso di guerra, giacché è isolato, come una pedina al gioco dei dadi. »
Le parti non possono esistere senza l'universale. Noi siamo legati agli altri; noi esistiamo per, con e negli altri. Ed ecco perché il bene mio è il bene dell'altro: fare del male a qualcuno è come farlo a noi stessi e chi lo compie, naturalmente, si contraddice. E in ogni ambito della nostra società è ben visibile il male verso se stessi e, dunque, gli altri.
Fortunatamente, però, come Fabrizio De André ci insegna « dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior ». C'è ancora e c'è sempre una speranza di miglioramento che noi, a differenza di Ciacco, possiamo avere. Tra questo marciume, sebbene a fatica, è possibile ammirare chi, amando e rispettando il luogo in cui vive, si emoziona vedendo sbocciare un fiore o rimane ore ad ascoltare il lamento del mare; l'innamorata che si addormenta sulla spalla dell'amato; un gruppo di amici che dopo anni si ritrovano a mangiare e a discutere insieme di come va il mondo, giovani che non si accontentano mai di dove sono arrivati e continuano a discutere, a ricercare, ritenendolo indispensabile. Si pensi ad un medico che vive per guarire, assistere, curare, tenere semplicemente la mano ai pazienti e ai familiari, quel medico che non ha paura di sporcarsele di sangue, di urine, di feci, perché non vede il paziente come un mero oggetto materiale grazie al quale guadagnare, ma come un essere umano che sta tendendo la mano affinché qualcuno gliela stringa, lo guardi, cammini con lui fino alla fine, qualcuno cioè cui affidarsi. Si passa da piccole azioni, come aiutare un ragazzino a fare i compiti, a grandi gesti, come salvare delle vite. Si trasmettono grandi valori grazie ai quali si può cominciare a ragionare sulla possibilità di fare in modo che sempre più fiori nascano dal letame.
Se, però, si fa ciò che si fa per poter vivere la vita che i più definiscono “la bella vita”, costruita di giorni spesi solo per il proprio piacere o per accumulare denaro e successo, pensando di fare il proprio bene, quando si arriva alla fine cosa rimane? Con la fama di cui non si potrà godere dopo morti, con una montagna di soldi per fare un mausoleo che contenga le proprie ceneri, oppure con la consapevolezza di quanto inutile sia stata la propria esistenza. A tal proposito Seneca, nel suo De Brevitate Vitae, ci insegna :
« ci è stata concessa una vita abbastanza lunga e in larga misura per il compimento di grandissime opere a patto che venga spesa tutta bene; ma quando essa scorre via tra lusso e negligenza, quando non è stata investita in nulla di buono, quando finalmente l'estrema necessità ci stringe allora ci rendiamo conto che se ne è andata via quella vita che non capivamo che passava. Così è: non riceviamo una vita breve, ma la rendiamo tale, non siamo poveri di essa ma prodighi. »
9 novembre 2017