Di fronte alle astratte estremizzazioni di entrambe le parti (il maschilismo becero della serie: "Torna in cucina!" e il femminismo becero della serie "Gli uomini sono tutti potenziali stupratori!") occorre forse recuperare un po' di sana dialettica.
Ho letto l’articolo di Michela Murgia con pregiudizio, perché l’Autrice mi è sempre risultata (le poche volte che la ho ascoltata in televisione) una intellettuale superficialotta; specie quando si espresse in Rai su Fusaro, dimostrando di non aver capito granché delle sue argomentazioni e sfoderando un linguaggio scolastico da pensierino postmoderno che mi diede il voltastomaco. Il che ‒ mi preme sottolinearlo ‒ non fa di me un fusariano, anzi!
Debbo tuttavia ammettere che in questo pezzo sulla “Matria” apparso sull’Espresso che sta letteralmente spopolando e ingenerando dibattiti infuocati tra chi si sdegna e chi invece plaude alla proposta di rinnovamento terminologico-concettuale avanzata dalla scrittrice sarda, sono presenti (in mezzo ai soliti adagi e luoghi comuni della scolastica anzidetta) degli spunti interessanti, che andrebbero meditati a fondo, soprattutto quando si dice che:
« Nell’idea del patriottismo è innestata la convinzione profonda che la donna sia natura e l’uomo cultura, cioè che la madre generi perché è il suo destino e l’uomo riconosca la sua generazione per volontà e autorità, riordinando col suo nome il caso biologico di cui la donna è portatrice. »
Questa è in effetti una posizione che pare emergere nelle pagine della Fenomenologia dello Spirito (1807) dedicate alla deduzione del "maschile" e del "femminile", e che vidima in certo senso la visione maschilista - chiamiamola così - vigente nel XIX secolo (ma perdurante, in guise e gradazioni diverse, fino ai nostri giorni) per la quale la donna sarebbe solo “l'angelo del focolare” – una sorta di versione domestica e spiritualizzata dell'utero mammifero – e l'uomo – il maschio! – colui che invece, uscendone, è destinato a "entrare nel mondo" e farsi storia; destinato, anzi, a fare la storia, che è appunto quel riordinamento del dato immediato e naturale costituito dalla generazione meramente biologica. Ancora troppo "naturale" sarebbe il femminile; mentre il maschile si situerebbe un gradino più in là sulla grande scala dialettica che conduce all'automanifestazione dello Spirito assoluto (cioè alla manifestazione della razionalità a se stessa).
Ora, ciò che andrebbe fatto (e l'articolo della Murgia ha anzitutto questo pregio: quello di richiamare a questa esigenza) è andare a vedere se quella deduzione fenomenologica – che rappresenta l'emblema teorico di una visione diffusa – regga da un punto di vista logico oppure no: cimentarsi, perciò, con "la fatica del concetto". Cosa che l’Autrice, evidentemente, non sembra essere in grado di fare; potendosi limitare soltanto, come in effetti fa, ad una rassegna di rilievi fenomenologico-antropologici.
Sicuramente, mi verrebbe da dire, un fraintendimento del concetto di "Patria" ha condotto agli esiti infausti denunciati nell’articolo; ma ciò non implica automaticamente che non possa e anzi debba darsi una differenza essenziale tra le due determinazioni (quella del maschile e quella del femminile): cosa che peraltro la Murgia mostra di sapere bene, quando propone la sua sostituzione, felicemente conscia del fatto che le "rivoluzioni ci hanno lasciato in eredità il dovere di fare un atto creativo nei confronti di tutte le categorie che non bastano più a raccontare la complessità in cui siamo" . Ma ciò ovviamente comporta il dovere di capire il fondamento di essa distinzione, e in cosa quest'ultima consista davvero (cioè ontologicamente!).
Per far ciò, però, si rende necessario il dialogo con coloro che erano in possesso degli strumenti concettuali per poter ottemperare a un tale - gravoso - compito. Giovanni Gentile, per esempio, fu uno di questi, come ha mostrato efficacemente Valentina Gaspardo in un suo recente articolo. Si legge nel suo Sommario di pedagogia:
« I primi sentimenti che essa insinua nell’anima dell’uomo sono il fondamento sul quale si può edificare ogni ulteriore struttura del carattere; e le conseguenze di quel che fa la madre, si risentono perciò in tutta la vita dell’uomo, e attraverso la sua condotta, si ripercuotono in tutto il futuro.
Il modo in cui si concepisce la donna, deriva da un concetto molto superficiale e grossolano del valore, come s’è detto, dello stesso allattamento materno; il quale non è raccomandato tanto per ragioni igieniche e fisiologiche, quanto piuttosto per ragioni morali; giacché la nutrice comincia essa a deporre nell’animo del bambino i primi germi de’ suoi sentimenti […]. Anche l’allattamento è parte di educazione, ossia di formazione morale dell’anima, e la funzione fisiologica è il semplice mezzo dell’opera che la madre allattando deve compiere: che è quella di fare non degli animali più o meno robusti, ma degli uomini, che occorrerà che siano sani, forti e robusti, ma per essere meglio uomini! »
Di fronte a passi come questi, vergati da uno di quelli che sicuramente Michela Murgia annovererebbe tra i campioni di quel patriottismo violento che vorrebbe debellare, sorge il dubbio che ella, con la sua proposta, forse finisca "soltanto" col capovolgere la prospettiva e, pur partendo da dei rilievi critici importanti, ricada nel medesimo astratto che vuole superare. Di fronte alle astratte estremizzazioni di entrambe le parti (il maschilismo becero della serie: "Torna in cucina!" e il femminismo becero della serie "I maschi sono tutti potenziali stupratori"), bisognerebbe allora forse rispondere con le parole di Gabriele Zuppa, che si distinguono – esse sì – per il loro veritiero carattere dialettico:
« La Patria, come l'organizzazione che regolamenta – educa – la sorgività in cui siamo innestati: la Madre terra.
E i padri e le madri simboleggiano entrambi la Patria e la Madre terra. In loro, quegli elementi universali
convivono. »
17 novembre 2017