La democrazia ignorata

È proprio in questo senso che il voto al referendum restituisce l’essenza della democrazia: non si esaurisce nell’atto di scrivere sulla scheda, ma comincia molto prima con il processo di crescita spirituale condiviso da tutti, democratico appunto.

 

 

Chi è andato a votare domenica scorsa? No, troppo limitante questa domanda. Chi è andato a votare all'ultimo referendum nazionale, poco meno di un anno fa? Anzi, più che quanto, sarebbe interessante sapere come si ha votato.

 

La domanda, chiaramente, non ha l'arroganza di impicciarsi della scelta del lettore o di quali parole abbia scritto per lanciare un monito a spese del proprio voto; piuttosto funge da provocazione su ciò che sta a monte del voto. Ad ogni referendum invece, succede che nei giorni a seguire la data della chiusura dei seggi, amici e non colgano volentieri l'occasione dell'incontro per fare la domanda di cui sopra: "Allora alla fine cos'hai votato?". A cose fatte, interpellare una persona in questo modo risponde probabilmente alla curiosità di sapere da che parte stia o magari alla necessità di intavolare una discussione su ciò che già è stato e ora non si può cambiare, ossia la croce su una casella, la quale di fatto paga con la sterilità la sicurezza che ormai il voto è già stato attuato. Nel peggiore dei casi poi, i temi caldi del referendum sopperiscono all'emergenza di evitare assolutamente silenzi imbarazzanti quando al bar sono finiti gli argomenti.

 

Al contrario è curioso come, durante i mesi che precedono il giorno del voto, la domanda sulle intenzioni di voto sia posta con la massima discrezione, a volte quasi con timore verso chi deve rispondere, spaventato a sua volta, e allora si arriva al paradosso che il tavolino del bar da animare a qualsiasi costo è in realtà il caso migliore: in qualche modo il confronto delle idee è obbligato dalle circostanze. Insomma cosa c'è di così tanto scomodo in questo argomento da affrontarlo così di malavoglia prima di votare? Che non sia la responsabilità per una scelta che influenza in modo così diretto la politica? Si ipotizza, sia chiaro; però, se ci si pensa, una volta espresso il voto, per quanto si possa discutere sulla sua correttezza, il segno sulla scheda rimane nonostante le obiezioni e appare esso stesso quasi una argomentazione. 

 

Ci si può ricredere, ma questo non implica, almeno nel momento stesso, di prendersi l’onere di stravolgere il proprio intento così strettamente legato al futuro della nazione. Quando invece il segno ancora non c'è la discussione su dove e se metterlo pone in serio pericolo le convinzioni maturate individualmente fino a quel momento, risulta essere una seccatura che riapre l'abisso di incognite da cui si emerge quando si è scelto che cosa votare. Infatti il voto è qualcosa che ha valore in quanto scelta, ed ogni scelta, essendo etica, ha in sé dei principi e il peso delle conseguenze. Queste congetture però, sebbene siano degne di approfondimento, forse non corrispondono esattamente alla realtà, che è ovviamente più complessa e sfumata, ma d’altro canto non rispondono allo spirito con cui questo articolo ha preso forma, piuttosto a una sua contestualizzazione.

 

Per riprendere in mano le redini del discorso, ci si ricolleghi alla domanda posta in seconda battuta fin dall’inizio: come si va a votare al referendum? Chiedersi ciò è lo spunto per inoltrarsi nella riflessione che concepisce il valore attribuito al voto, specialmente in questo caso, come parametro per misurare la pregnanza della democrazia in una società.

 

Generalmente c’è la tendenza condivisa di equalizzare semplicisticamente democrazia e voto, come se la prima trovasse sostanziale espressione nel secondo in modo assoluto; il messaggio di molti pressapochisti si fonda, infatti, sulla corrispondenza automatica tra voto e democrazia. Il fatto che la democrazia si eserciti mediante il voto personale è innegabile ma essa si rivela in tutta la sua realizzazione nel momento in cui la società intera, chiamata alle urne per giudicare un preciso contenuto, matura in seno alla sua stessa civiltà. Questa maturazione non si dà in altro modo se non quando ciascun cittadino si informa su ciò a cui è chiamato a rispondere, si interroga rispetto alla sua validità, discute sostenendo le sue idee così ridisegnate grazie al confronto con l’altro; in questa dialettica si ha il progresso di ciascuna autocoscienza e con essa necessariamente di tutta la società per il semplice ma non banale principio di una collettività relazionata al suo interno.

 

È proprio in questo senso che il voto al referendum restituisce l’essenza della democrazia: non si esaurisce nell’atto di scrivere sulla scheda, ma comincia molto prima con il processo di crescita spirituale condiviso da tutti, democratico appunto; crescita che ha i suoi semi nella modalità stessa di prepararsi a quell’atto. Non a caso, Stefano Rodotà risponde con queste parole:

 

« L’informazione oramai è una pre-condizione della democrazia. Non può esserci vero processo democratico senza un’informazione adeguata. Non basta offrire al cittadino l’informazione, ma occorre fornirlo dei mezzi per valutare criticamente i quesiti proposti dal referendum. In altri termini, assieme all’informazione pura e semplice, occorre dare al cittadino il pro e il contro, gli argomenti di valutazione, una massa critica di informazioni. In caso contrario si distorce il processo di decisione democratica.  »

 

Stefano Rodotà
Stefano Rodotà

 

Così la potenza dimostrata da questo appello al popolo si riconosce in modo autentico nell’approccio al voto, che comprende in sé una società nuova, evoluta nel suo complesso e più capace nel suo potere, conditio sine qua non di una sana democrazia. Potrà sembrare paradossale, ma se si ha preso parte a questo processo anche non votare risulterebbe esercizio di democrazia.

 

Mentre nella Costituzione italiana questo strumento si mostra come il vero custode della democrazia per come è stata intesa qui, nei fatti, come detto prima, esso a quanto pare non è ancora compreso appieno nel suo significato, e il processo che lo vedrebbe in quelle vesti purtroppo non è automatico per tutti; ci si confronta ancora troppo poco. Allora, forse, quelle che prima sono state considerate divagazioni, non lo sono completamente, e affrontarle nello specifico potrebbe essere d’aiuto nell’attuazione di una compiuta democrazia.

 

Il germe ad ogni modo è già presente: andare ad una conferenza sulle ragioni del sì e del no e rimanerne esclusi per il sovraffollamento dell’aula è un segnale che infonde fiducia in questo senso.         

 

28 ottobre 2017

 




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