Immaginazione teoretica: via d'uscita dalla finta scelta del consumismo

 

“So di non sapere”. L’unica frase che certe persone ricordano dopo tre anni di filosofia studiata al Liceo, un’affermazione che si pronuncia quasi scherzando per evitare una conversazione su qualcosa di poco noto, o ancora meglio una citazione per accompagnare una foto profilo un po’ hipster che punta a raggiungere 200 likes.

 

di Filippo Lusiani

 

È paradossale, ma forse non più di tanto, che la nostra epoca sia così poco affamata di conoscenza, nel vero senso della parola, ma costellata da una miriade di convinzioni scoordinate e senza pretese. Nel XXI secolo la parola “verità” ha un odore troppo stantio per essere ancora presa sul serio, meglio persuadersi del fatto che qualsiasi opinione sia giusta e buona finché è corretta politicamente e non lede quella altrui; a meno che non si tratti di una protesta pubblica in cui ci si denuda senza motivo: questo è ricco di significato e va subito condiviso sui social!

Non si sente il bisogno di legare le proprie e altrui esperienze ad un senso di collettività che vada al di là delle varie tendenze consumistiche che accomunano – peraltro in modo indifferenziato – gli individui, non si sente il bisogno di comprendere se stessi e la propria realtà se non quel poco che basta per inserirsi nel meccanismo economico-sociale di cui tutti fanno parte.

Lo studioso Mino Conte, nel testo La forma impossibile, definisce questa situazione nei termini di una mancanza di immaginazione teoretica, ossia l’incapacità di sviluppare una critica e una opposizione nei confronti dei modelli preconfezionati che vengono proposti dalla società. Il sistema capitalistico necessita di persone che credano di aver bisogno di ciò che viene prodotto e offerto, che comprino, guardino, scarichino, ascoltino ciò che viene anticipatamente pensato: tutto deve avere una sua utilità, intesa come vendibilità e quantificabilità, tutto assume l’aspetto di una merce che genera profitto. I milioni di persone che ascoltano il classico tormentone dell’estate sono una enorme macchina da guadagni, e persino quella nicchia di oppositori che vogliono dichiararsi indipendenti o alternativi rientrano benissimo nel meccanismo. Finché gli scontri sono basati su gusti e preferenze danno l’impressione che ognuno sia libero di scegliere cosa vuole davvero; finché i contrasti non sono strutturali e non minano le fondamenta, il sistema regge e si perpetua.

Scrive Conte:

 

‹‹ Ogni cambiamento reale implica capacità di immaginazione teoretica che vuole scoprire verità e non accumulare fatti e dati empirici. ››

‹‹ Il Consumismo, forse la più grande invenzione politica conservatrice della storia, è dunque una forma di contenimento sociale e prevenzione nei confronti di eventuali rivolgimenti o trasformazioni degli assetti sociali fondamentali. La razionalità capitalistica nel mentre difende e mantiene se stessa, si arricchisce. Essa non necessita più di forme di coercizione fisica, il soggetto è indotto ad aderirle spontaneamente. ››


La ragazzina quattordicenne che non vuole vestirsi come tutte le altre e decide di indossare magliette dei Nirvana, spesso senza averne ascoltato nemmeno una canzone e pensando che Kurt Cobain sia ancora vivo, rientra perfettamente nel sistema; ormai ogni oggetto, ogni preferenza ha un suo specifico mercato. Se questo è inevitabile, evitabile è che ci si riduca a combattere le proprie guerre solo a questo livello, e non con obiettivi di miglioramento concreto. Basta aprire Facebook per vedere che a quanto pare il mondo è pieno di esperti di sport, immigrazione, medicina, diritti umani e qualsiasi cosa sia d’attualità, ma solo finché ci si limita a dibattere sotto un post o a mettere un like per sostenere un’iniziativa.

Il nostro comportamento dimostra che abbiamo bisogno di esprimere ciò che pensiamo, che inorridiamo di fronte a certe affermazioni e che quindi non pensiamo davvero che qualsiasi opinione sia legittima, ma allo stesso tempo non abbiamo la forza e la volontà di affrontare delle vere discussioni, di studiare, di spendere del tempo per approfondire e ragionare. Ciò è comprensibile, perché la sterminata quantità di informazioni e input che ci sommergono rendono difficile orientarsi; perché la frenesia e multimedialità della nostra vita ci portano a consumare tempo ed energie; perché più si apprende più ci si accorge che c’è tanto altro che si ignora, e perché far ricerca significa mettere in discussione ciò che si è sempre dato per presupposto; ma comprendere non significa scusare o giustificare!

 

 

Quella che è appena stata delineata è una delle contraddizioni più grosse della nostra epoca, un’epoca che si proclama senza verità ma che possiede, eccome, una verità; una verità però povera e atrofizzata, bisognosa di rinascere dalle sue ceneri. Se il mondo capitalistico fatto di consumismo ed omologazione è oggettivamente l’unico mondo attualmente esistente, l’unica soluzione per evitare l’appiattimento su di esso è una vitale immaginazione teoretica, una collettiva predisposizione alla ricerca.

 

12 settembre 2017

 




  • Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica