La frattura venutasi a creare tra la scienza postmoderna e la filosofia è soltanto apparente: la scienza postmoderna non è che l’applicazione pratica del pensiero dominante relativista.
È indubbio che il progresso tecnologico-scientifico ad oggi abbia raggiunto livelli altissimi: la tecnica è ad un livello così avanzato che sembra quasi onnipotente. Questa onnipotenza però rischia soltanto di essere dannosa per l’uomo, soprattutto di fronte alla poca attenzione che viene riservata alle conseguenze che un progresso scientifico incontrollato sta portando al nostro pianeta. La causa dell’irresponsabilità della scienza, soprattutto davanti alle proprie immense possibilità, è da ricercarsi nel presunto continuo allontanamento che si è venuto a creare tra la filosofia e la scienza. Una testimonianza di questo progressivo distaccamento tra le due discipline può essere data dal significato che viene attribuito a queste due parole.
Nel pensiero postmoderno scienza e filosofia vengono considerate come discipline opposte, inconciliabili; la filosofia per di più viene spesso considerata una disciplina inutile: il suo significato viene infatti spesso fatto coincidere con quello dell’aggettivo astratto. I postmoderni pretendono così di relegarla a qualcosa di inutile, appunto perché astratta, dimenticando che l’astrazione è un processo insito in ogni azione umana che ha il fine di rendere valida universalmente ogni azione che l’uomo compie. La necessità e l’inevitabilità di questo processo deriva dall’impossibilità, da parte dell’essere umano, di poter conoscere tutte le relazioni che vi sono sottese e che dipendono da ogni singola azione umana, poiché il particolare è contenuto nell’intero, la totalità delle cose.
La domanda che bisogna però porsi è: questa differenza di significato che è venuta a crearsi ha un fondamento ed è quindi necessaria, o è un fraintendimento che rischia di non far progredire la scienza come dovrebbe?
La superiorità della tecnica e quindi della scienza postmoderna nei confronti della filosofia è da ricercarsi nell’avanzata della filosofia relativista: questa dottrina si fonda sul presupposto che sancisce l’inesistenza di una verità certa; questa dottrina è però auto-contraddittoria poiché nel tentativo di abbassare ogni opinione allo stesso livello, non fa altro che elevare la propria al di sopra dell’opinione opposta. Così facendo anche la non esistenza della verità diventa essa stessa una verità. In poche parole il relativismo afferma ciò che vuole negare, poiché la necessità di poter negare l’affermazione in assoluto collide con la necessità di dover affermare la negazione in assoluto.
Anche Platone, di fronte alla definizione del concetto di uomo data da Protagora, esplicita la stessa auto-contraddizione presente nel pensiero relativista:
« Protagora, relativamente alla propria opinione [che l’uomo è misura], in quanto riconosce che tutte le opinioni degli uomini sono vere, viene ad ammettere che sia vera anche l’opinione di coloro che alla sua si oppongono e per la quale essi ritengono che egli abbia opinione falsa. »
L’impossibilità di trovare una qualsivoglia verità, ma soprattutto l’impossibilità soltanto di cercarla è ormai qualcosa di assodato nella società moderna. Questo pensiero è così connesso a quest’ultima che esso è diventato inconsapevole; di fronte alla mancanza di valori la società moderna diventa violenta, nel senso appunto che ogni azione o ogni pensiero si impone e si attua nella realtà esclusivamente per il fatto che chi compie l’azione è più forte di chi la subisce; questo pensiero viene riassunto bene da Emanuele Severino nell’opera Téchne: Le radici della violenza:
« Il comandamento di non uccidere non è divenuto la legge suprema della civiltà per l’evidenza del suo contenuto, ma perché un poco alla volta coloro che l’hanno accettato sono diventati più forti di quelli che lo rifiutavano. L’omicidio è divenuto un male da quando l’omicida è diventato più debole dei suoi persecutori. Dove questo non avviene, l’omicidio non è un male. »
Lo scenario violento che possiamo riscontrare nella società postmoderna e nelle sue azioni può essere visto anche nella nuova concezione di scienza che si è venuta a creare: l’adozione di un sistema ipotetico al fine di spiegare la realtà non è altro che la rinuncia davanti alla presunta impossibilità di spiegare ciò che ci circonda. La frattura venutasi a creare tra la scienza postmoderna e la filosofia è soltanto apparente: la scienza postmoderna non è che l’applicazione pratica del pensiero dominante relativista.
Le contraddizioni che inficiano il relativismo obbligano la scienza postmoderna, se vuole affermare se stessa, a svilupparsi come sapere incontrovertibile; altrimenti, come possiamo già vedere, essa rischia di diventare un mezzo che accresce le possibilità empiriche degli uomini di modificare la realtà senza contemporaneamente accrescere la consapevolezza che l’uomo ha nei confronti del significato della realtà che lo circonda. Come la storia mostra, questo progresso tecno-scientifico, non accompagnato da un progresso del pensiero, ha portato danno all’uomo: basti pensare ai danni sempre maggiori prodotti dall’avanzamento tecnologico degli eserciti e delle armi a loro disposizione, ai danni delle popolazioni civili, oppure al continuo inquinamento climatico prodotto dallo stile di vita dell’uomo, che guarda alla propria comodità sempre maggiore a discapito della salute della Terra, dimenticando la cosa più importante: è ospite del pianeta in cui vive. Questi danni non sono nient’altro che la conseguenza delle contraddizioni presenti nel pensiero dominante della società postmoderna: il relativismo.
Come anche le parole di Papa Giovanni Paolo II nella lettera enciclica Fides et Ratio indicavano:
« L’esigenza di un fondamento su cui costruire l’esistenza personale e sociale si fa sentire in maniera pressante soprattutto quando si è costretti a constatare la frammentarietà di proposte che elevano l’effimero al rango di valore, illudendo sulla possibilità di raggiungere il vero senso dell’esistenza. »
30 settembre 2017