La storia non è solo fatta da grandi avvenimenti e da date importanti, come se da un giorno all’altro potessero avvenire cambiamenti radicali nella società e nell’umanità. Ma è per la maggior parte questione di piccoli cambiamenti culturali, stratificazioni di usi e costumi, un problema di educazione dell’uomo.
Sovente si sente ripetere che “la storia la fanno i vincitori”. Ma al di là di questa (discutibile) frase, che tiene conto solo del fatto che i vincitori possono dettare le condizioni dopo la loro vittoria e riuscire ad imporre il proprio modo di essere, vi sono un mare di relazioni, cause ed effetti che precedono tale vittoria.
Contro la pretesa quindi di vedere la storia semplicemente come un insieme di date che segnano la vittoria del più forte bisogna tenere conto dei lunghi periodi della storia umana in cui il cambiamento non si è imposto repentinamente, ma al contrario è stato lento e graduale.
« La storia non deve essere presentata come un'accumulazione di risultati conseguiti o come una mera esposizione di avvenimenti, ma come una poderosa realtà in azione. »
(John Dewey, Scuola e società)
Sarebbe infatti miope cercare di identificare il passaggio dall’età classica al Medioevo con la sola data del 476 d.C. e la caduta dell’Impero romano d’Occidente, senza tener conto del decadimento dei costumi nell’Impero, della crescente influenza della Chiesa e del cristianesimo, nonché dell’influenza che ebbero le invasioni barbariche. Questi fattori certamente contribuirono ben più intensamente alla creazione di una nuova società rispetto alla fine dell’istituzione imperiale, già da tempo in crisi e screditata.
Lo stesso discorso potrebbe essere fatto per il passaggio dal Medioevo all’età moderna, la cui data più significativa è a scoperta dell’America nel 1492. Chiaramente l’evento fu piuttosto significativo e scosse il mondo europeo, ma sicuramente non è l’essere a conoscenza dell’esistenza dell’America che può permettere di discriminare l’umanità medievale da quella moderna. Bisogna invece, per notare le profonde differenze che intercorrono tra la società medievale e quella moderna e tra il modo di pensare e concepire il mondo delle due epoche, guardare ai cambiamenti culturali che avvennero, a cominciare dal movimento umanista e rinascimentale, con la riscoperta dei classici, che diedero un bagaglio culturale tutto nuovo agli intellettuali per interpretare il mondo.
Tornando quindi alla domanda che fa da titolo a questo articolo: chi fa la storia?
La storia non è solo fatta da grandi avvenimenti e da date importanti, come se da un giorno all’altro potessero avvenire cambiamenti radicali nella società e nell’umanità. Ma è per la maggior parte questione di piccoli cambiamenti culturali, stratificazioni di usi e costumi, un problema di educazione dell’uomo.
« Il movimento dell'umanità, prodotto da una quantità innumerevole di volontà umane, si compie senza interruzione. […] Ma per capire le leggi del movimento continuo, la ragione umana ammette unità arbitrarie separate. Il primo procedimento storico consiste nel prendere arbitrariamente una serie degli avvenimenti ininterrotti ed esaminarla separatamente dagli altri, quando non c'è e non può esserci inizio di alcun avvenimento. […] Ma per quanto piccole siano le unità di cui la storia si serve, il fatto di separare l'unità, di ammettere il cominciamento di un fenomeno qualunque, di vedere espresse nell'attività di un solo personaggio le volizioni di tutti gli uomini, questo fatto stesso, dico, lo contamina d'errore. Sotto il minimo sforzo della critica, ogni conclusione della storia cade in polvere e non lascia niente dietro di Sé […]. Soltanto prendendo per nostra osservazione l'unità infinitamente piccola – le differenziali della storia, vale a dire le aspirazioni uniformi degli uomini – e acquistando l'arte di integrare (unire le somme di questi infinitamente piccoli) possiamo sperare di comprendere le leggi della storia. »
(Lev Tolsoj, Guerra e pace)
Hegel, nelle sue Lezioni di filosofia della storia, individua delle figure chiave nello sviluppo storico, gli individui cosmico-storici, come Alessandro Magno, Cesare e Napoleone. Mentre la maggior parte degli uomini non fa altro che farsi trasportare dal flusso degli eventi, pochi sono quelli che cambiano e portano avanti il corso degli eventi e lo sviluppo dello Spirito del Mondo.
Ma cosa hanno di speciale questi uomini per poter cambiare la storia? Essi hanno una più chiara visione del mondo, hanno, contrariamente alla massa, una maggior consapevolezza del fine della Storia, e agiscono di conseguenza in vista di quel fine.
Riprendendo il filo del discorso, quindi, è chiaro che vi siano uomini che hanno avuto più peso di altri per la storia, ma anch’essi sono stati tali perché sono riusciti a comprendere il proprio tempo e i cambiamenti che in esso intercorrevano e a sfruttarli per portarli a compimento.
« Le grandi tendenze della storia, quelle che producono cambiamenti estesi, intensi e duraturi, spesso procedono per lungo tempo sommerse e non avvertite dalla maggior parte di noi, per poi manifestarsi all'improvviso. »
(Lorenzo Ornaghi, Avvenire, 16 gennaio 2012)
La storia dunque non è conservatrice, ma anzi progredisce lasciandosi indietro le vecchie idee obsolete, ma comunque mantenendole in sé come momenti del proprio sviluppo, in direzione di nuove conquiste. Essa si muove non vista, cambiando impercettibilmente la nostra società e il nostro modo di vedere il mondo, per poi, a volte, esplodere e rendere finalmente chiaro questo cambiamento in quei periodi che noi chiamiamo rivoluzioni.
Immaginare quindi una storia statica, in cui tutto si mantenga uguale, è una fantasticheria. La storia progredisce, e ogni posizione che abbia voluto essere conservatrice ha finito per essere travolta dal corso degli eventi. La storia è quindi fatta non dai conservatori, da coloro per cui sembra che tutto debba restare uguale nei secoli, ma piuttosto dai visionari, coloro che vogliono cambiare il mondo perché lo sanno ancora inadeguato alla Ragione.
24 agosto 2018