Il nome di Darwin passeggia nella nostra mente in apparente tranquillità. Ma esso è offuscato più di quanto non ci sembri e dimostra la fruizione passiva delle informazioni che contraddistingue questa situazione storica e sociale e il nostro prendere le informazioni come “dati di fatto”, senza sporcarsi le mani e verificare.
Viviamo in un periodo di «darwinismo universale». La teoria darwiniana è stata infatti declinata in tutte le sue possibilità: dalla teoria cosmologica – le stesse leggi e costanti della fisica non sono immutabili, ma si selezionano in determinati momenti e luoghi – a quella epistemologica – stesso ragionamento per le teorie scientifiche.
È sempre più comune infatti ritrovare il nome di Darwin utilizzato come strumento argomentativo o citato ironicamente per alludere ironicamente alle inutili “zavorre” (sic!) meno evolute che si estingueranno.
Al di là dell’aspetto propriamente etico – che non è da mettere in secondo piano, ma che tralascio – nel farlo si commette un fraintendimento notevole del pensiero di una delle figure fondamentali della storia della scienza. Prassi solita è ormai usare inappropriatamente i termini “darwinismo”, “selezione naturale” ed “evoluzione” come se fossero sinonimi. Se infatti chiedessimo cos’è l’evoluzione, molti direbbero che essa è una variazione verso il meglio, uno sviluppo inteso come cambiamento positivo. Ma questo concetto in Darwin è problematico e non possiamo esplicitamente parlare di evoluzionismo in questo senso in Darwin. Bisogna contestualizzare.
Riassumendo il contesto della scoperta darwiniana: dopo l’insuccesso alla Facoltà di Medicina, alla quale si iscrisse per le pressioni paterne, e di Teologia a Cambridge, influenzato da scienziati del calibro Wheewell e Henslow, decide di dedicarsi alla storia naturale e, dopo un viaggio in Scozia, si imbarca sul famoso Beagle. In questo viaggio Darwin entra in contatto con una incredibile varietà di specie animali e vegetali che spesso differiscono di qualche modesta caratteristica. Perciò durante il ritorno, fermatosi a Capo Verde, discute con un altro illustre nome del mondo scientifico, Herschel, del lavoro Principi di geologia (1830-33) di Lyell. Questo, secondo Herschel, non rispondeva al mistero fondamentale della comparsa di nuove specie animali e vegetali, confermata dallo strano fenomeno dei “fossili”, che sembrava suggerire che le specie non fossero fisse e immutevoli. Ecco che Darwin, a partire da questo colloquio – a suo dire il più memorabile della sua vita –, decide di utilizzare le sue raccolte ottenute durante i viaggi per trarre una conclusione. Le specie mutano, ma in che modo?
Darwin non ama il concetto di evoluzione, troppo lamarckiano (preferisce discendenza con modificazione). La teoria di Darwin è differente da quest’ultima: non è la specie ad evolvere per sopravvivere, proprio come teorizza il trasformismo di Lamarck, ma piuttosto casualmente (termine chiave) possono sorgere modificazioni delle specie e, ancora per caso (i termini usati da Darwin, come contingency, casuality sono a tal riguardo evocativi), se queste sono compatibili con una variazione delle condizioni ambientali, vi sarà riproduzione della specie con modificazione che permetterà la sopravvivenza in questo particolare contesto. È riportato che Darwin si compiaceva di far notare ai suoi interlocutori come la degenerazione di un parassita che perde gli organi non necessari alla vita all’interno di un organismo ospite, sia altrettanto perfettamente adattiva del salto di una gazzella. Non vi è dunque un passaggio lineare necessario da uno stato di minore a uno maggiore di complessità della struttura biologica. Jacques Monod in Caso e necessità spiega benissimo la differenza tra Darwin e l'evoluzionismo in termini di invarianza e teleonomia: l’invarianza è la tendenza a replicarsi in maniera simile a sé nei propri discendenti, a trasmettere l’informazione genetica da una generazione all’altra; la teleonomia è la tendenza a formare strutture complesse funzionali alla sopravvivenza. Vi possono essere due modi completamente diversi e antitetici di interpretare il divenire degli esseri viventi: l’invarianza precede la teleonomia, che è semplicemente l’accumulo selettivo di variazioni casuali a partire da una struttura tendenzialmente invariante, che rappresenta la concezione darwiniana, o al contrario la teleonomia precede l’invarianza, e allora abbiamo il concetto di evoluzione come è comunemente inteso. Ma d’altronde è lo stesso Darwin ad affermarlo nell’Origine delle specie: «secondo la nostra teoria, non esiste ovviamente alcuna forza che tenda costantemente ad elevare la specie» e nelle lettere che raccolgono il lavoro poi confluito nella famosa opera darwiniana:
« Probabilmente è la più insignificante differenza che spesso determina chi sopravviverà e chi perirà. Ora prendete il caso di un territorio sottoposto a qualche cambiamento; quest'ultimo tendenzialmente farà sì che avvenga qualche leggera variazione nei suoi abitanti; con questo non credo che la maggior parte degli esseri muti in continuazione in misura sufficiente a far procedere l’evoluzione. » (Lettere 1825-1859)
In questi e altri passi Darwin non sembra concepire alcuna causa finale che sottende un processo evolutivo, eppure in altri, all’incirca contemporanei (anche in quelli più tardi, del periodo 1868-71) ai precedenti, sembra supporre il contrario:
« Si potrebbe dire che esiste una forza come centomila cunei che cerca di spingere ogni genere di struttura adattata nelle lacune dell’economia della Natura, o piuttosto di formare lacune spingendo fuori i più deboli. La causa finale di tutta questa azione dei cunei deve essere quella di vagliare la struttura appropriata. » (Taccuino D, 1838)
Come spesso accade (vedi l’utilizzo socio-politico di un teorema limitativo della matematica come quello di incompletezza di Gödel), questo concetto è stato travisato. Una delle due facce ha prevalso ed è stata utilizzata in chiave sociale, fondando l’antropologia evoluzionistica di E. Taylor e L. H. Morgan: le stesse istituzioni sociali sembrano passare nel tempo da un grado minore a uno maggiore di complessità e quindi evolversi. In questo percorso evolutivo che procede linearmente vi sono gruppi meno evoluti che testimoniano stadi primitivi del processo. Persino Marx individuò in Darwin il fondamento del pensiero socialista, inteso come progressiva emancipazione che si sarebbe trasformata nella realizzazione del programma comunista. Che vi sia un necessario progresso, un miglioramento costante è tutto da dimostrare e sembrerebbe oggi una ipotesi poco condivisibile, al pari della concezione di storia del positivismo ottocentesco (con il quale condivide non poco).
Dove risiede il problema in tutto ciò? Il nome di Darwin passeggia nella nostra mente in apparente tranquillità. Ma esso è offuscato più di quanto non ci sembri e dimostra la fruizione passiva delle informazioni che contraddistingue questa situazione storica e sociale e il nostro prendere le informazioni come “dati di fatto”, senza sporcarsi le mani e verificare. I concetti, se sviluppati in maniera impropria, possono far male. D’altronde la storia del Novecento ci ha insegnato cosa potrebbe accadere manipolando le idee…
« L’evoluzione è deriva, devianza, creazioni, ed è interruzioni, perturbazioni, crisi. » (Edgar Morin, “Dove va il mondo?”)
12 aprile 2018