Il concetto di isolamento è una delle maggiori ossessioni che appartengono al nostro tempo: c’è l’esigenza di mostrare come quest'idea, questa necessità di impedire l'accesso ad altre persone, sia assurda e contraddittoria.
Marx, nel primo paragrafo dell'Introduzione alla critica dell'economia politica, si scaglia contro le idee del XVIII secolo secondo cui nella “società civile” di quel periodo l'individuo sarebbe indipendente rispetto alla società, sarebbe cioè esterno alla stessa, dal momento che viene considerato «non come un risultato storico, bensì come il punto di avvio della storia», non un individuo che «sorge storicamente» ma che «è posto dalla natura stessa». Il problema è che, come nota Marx, più si retrocede nella storia, più ci si accorge che l'individuo «ci appare non autonomo, parte di una totalità più vasta» e l'epoca che, invece, mostra l'individuo isolato, in realtà «è proprio quella dei rapporti sociali finora più sviluppati». Secondo Marx, l'uomo non può essere concepito isolato, esterno alla società: è «un'assurdità pari al formarsi di una lingua senza che esistano individui che vivano e parlino assieme». David Harvey, nel suo testo Introduzione al Capitale. 12 lezioni sul primo libro e sull'attualità di Marx, cerca di rendere il più chiari e fruibili possibile i concetti marxiani racchiusi nel Capitale. In particolare, riguardo al paragrafo quattro del capitolo I, egli spiega come «la nostra relazione sociale con l'altrui lavoro è travestita da relazioni tra cose»: quando andiamo al supermercato e decidiamo di comprare una lattuga, ciò che noi prendiamo in considerazione è la lattuga, il suo prezzo e quanti soldi abbiamo. È nascosto, però, il lavoro che ha permesso di produrre la lattuga e soprattutto i lavoratori che l'hanno prodotta. Non conosceremo mai quest'ultimi e non sapremo mai se quando hanno prodotto la lattuga fossero «tristi, felici o schiavizzati»; ecco quindi che «all'interno di sistemi di scambio complessi è proprio impossibile, anche volendo, sapere qualcosa sul lavoro che ha reso possibile la produzione della merce: da questo si capisce quanto il fenomeno del feticismo sia inevitabile nel mercato mondiale». Marx, infatti, nel Capitale, afferma che «gli uomini eguagliano l'uno all'altro come lavoro umano i loro pur diversi lavori in quanto eguagliano l'uno all'altro nello scambio, come valori, i propri prodotti eterogenei. Non sanno di farlo ma lo fanno».
Il buon Marx, dunque, mette in luce una società i cui individui non ne sono esterni e in cui avviene una personificazione delle cose e una reificazione delle persone. Inoltre mostra, attraverso l'analisi del processo di produzione, quanto poco siamo a conoscenza di essere dipendenti gli uni dagli altri. Proprio questo è il punto cruciale che interessa a chi scrive, che si vede perciò costretto ad abbandonare l'analisi di Marx per concentrarsi più specificamente l'assurdità dell'idea di isolamento; è importante, perseguendo tale obiettivo, fare riferimento al concetto di autonomia. Autonomia deriva dal greco αυτονομος, cioè “che si governa con proprie leggi”. L'essere umano nasce all'interno di una famiglia (se il bambino viene abbandonato si trova comunque all'interno di un insieme). Naturalmente una famiglia per essere tale dev'essere un insieme di membri i quali si danno delle regole. Le leggi, quindi, dipendono dai membri dell'insieme e affinché si possano creare delle leggi, necessariamente i membri collaborano l'uno con l'altro. Se tale ragionamento, poi, viene fatto all'interno di una tribù e lo si allarga dalla città fino allo Stato, possiamo notare come necessariamente gli individui dipendano gli uni dagli altri. E questa dipendenza è altresì un legame, una relazione che impedisce all'individuo di essere isolato. Considerare l'individuo come isolato è pensarlo come al centro del mondo; ma ci sono gli animali, le piante, le pietre, la terra, il mare, il fuoco, l'aria, le stelle, gli altri pianeti e quindi l'universo. L'uomo è solo parte del tutto. L'unica concezione possibile di isolamento è: A è isolato perché B, C, D, ecc. non sono o non sono percepiti. Per esempio, se A si trova in una stanza senza B e C, può affermare di essere “da solo”, ma in senso assoluto l'isolamento non è possibile dal momento che insieme ad A, mancando B e C, ci saranno D, E, F (rispettivamente una casa, la terra sotto i piedi, e il sole).
Inoltre, affermare che qualcosa non è percepito non equivale ad affermare la sua non-esistenza. Proviamo, per un momento, a concepire l'individuo singolarmente, introducendo - ai fini di questa ricerca - la differenza tra autonomia ed eteronomia. La prima indica chi “si governa con proprie leggi”, la seconda chi “si governa con leggi di altri”; se prendiamo in considerazione un individuo, che per comodità chiamiamo A, è facile notare che nell'autonomia c'è il risultato del pensiero di A, frutto in parte di A e in parte di tutte le relazioni che A ha avuto: il contributo attivo di A consiste nell'analizzare le sue relazioni. Eteronomia, invece, significa che la partecipazione di A si limita ad affermare un pensiero altrui in cui manca quasi totalmente il contributo della riflessione propria. Per evitare un comportamento del genere risultano fondamentali il pensiero, la riflessione e l'analisi di tutto ciò che ci sta innanzi, perché solo attraverso il «dialogo con se stessi», «il due in uno», per citare Hannah Arendt, si può riuscire a fare consapevolmente del bene. Essere più autonomi, dunque, significa pensare il più criticamente possibile e non significa essere in-dipendenti, cioè non dipendenti e quindi senza legami. E lo stesso vale per uno Stato che si consideri autonomo e che magari proponga delle assurde politiche isolazionistiche pensando di stare al sicuro, di stare meglio perché privo di legami. Tale ragionamento appare contraddittorio: pensare di essere isolati (quindi staccati dagli altri), ma essere in verità dipendenti; anche il semplice fatto di aver deciso di chiudere i ponti con un altro Stato, in un certo senso, equivale a considerare quello Stato come legato a noi, dal momento che se non fosse così non ci sarebbe stata l'esigenza di spezzare il ponte.
Il protagonista della commedia di Menandro intitolata Il Misantropo, a tal proposito, crea una contraddizione evidente alla fine della sceneggiatura. Cnemone è un misantropo e prova odio verso tutti; nonostante ciò Gorgia, schiavo dell'amante di sua figlia, salva lo stesso Cnemone dopo che questi è caduto in un pozzo. Ed è a seguito di tale salvataggio che il protagoista si rende conto che l'uomo non può “bastare a se stesso” . La sua conversione però è vera solo in parte perché, sebbene sembri rendersi conto di ciò, ribadisce che se tutti fossero come lui e volessero stare da soli non ci sarebbero più le guerre: afferma allo stesso tempo che non è possibile bastare a se stessi ma che sarebbe la condizione migliore e in un certo senso quella a cui tutti dovremmo tendere.
In primo luogo gli individui non possono stare da soli perché sono parti di una totalità e dipendenti gli uni gli altri e dal resto delle parti che la formano; in secondo luogo per eliminare il male, le guerre, le violenze, la soluzione non è certo quella assurda di “pensare di stare da soli”, bensì essere autonomi: analizzare ciò che ci sta di fronte per capire se ci siano contraddizioni e cercare di eliminarle per capire il più possibile cosa sia il bene e cosa sia il male per evitare di commetterlo, come ci insegna il grandissimo Socrate nel Critone:
« Noi, invece, dato che così vuole la ragione, dobbiamo esaminare quanto dicevamo prima, cioè se ci comporteremmo giustamente, distribuendo denaro e riconoscenza a questi tipi che ci porterebbero via, tanto loro col tirarci fuori di qui, quanto noi nel lasciarci tirar fuori, o se, in realtà, agiremmo ingiustamente facendo tutto questo; e se apparirà chiaro che, così facendo, si commettono azioni ingiuste, allora non è nemmeno il caso di chiederci se, restando fermi e tranquilli al nostro posto, si debba morire o subire qualsiasi altra cosa, piuttosto che comportarci ingiustamente. »
Dunque è fondamentale attraverso l'autonomia capire la contraddizione che si insinua nell'isolamento, cercando di eliminarla. E fare ciò al nostro tempo significa, tra le tante cose, provare ad evitare le stragi che quasi ogni giorno si verificano nei nostri mari. Un articolo della giornalista Alessandra Ziniti racconta che nell'ottobre 2017 è avvenuto uno sbarco nel porto di Palermo di ben 241 minori, la metà dei quali non accompagnati. Ciò che succede ai migranti oggi è paragonabile a ciò che gli ebrei subirono nei campi di concentramento. Ecco, dunque, che il pensiero critico, la filosofia, si rivelano necessari nel nostro e in ogni tempo per cogliere e superare le contraddizioni che ci attanagliano.
6 aprile 2018
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