Il problema sta nel fatto che tutti siamo stati abituati sin da piccoli ad ascoltare in silenzio la lezione e a pensare come l’insegnante ci ha obbligati; "perché quello che dico io è giusto!" obbiettano i più ad una qualsiasi domanda e alla semplice domanda "perché?" di un bambino, molti rispondono frettolosamente "perché sì". Ciò comporta la distruzione di un dialogo che porterebbe una crescita sia da parte dell’insegnante che da parte dell’alunno.
di Giulio Zamberlan
Molti studenti e molti professori credono che la scuola serva per trovare un lavoro. Questa convinzione è concepita per dare uno scopo a frequentare la scuola e invogliare così gli allievi a non restare a casa. I professori invece vanno a scuola perché è il loro lavoro, che sarebbe insegnare. Insegnare significa «lasciare un segno nella mente» (Dizionario Treccani online) e questo insegnare comporta automaticamente un imparare. Infatti un insegnante dovrebbe lasciare un segno nella mente dell’allievo e quindi l’alunno impara quel segno, quell’idea contenuta in ciò che afferma l’insegnante.
Se un professore entrasse in classe e cominciasse a parlare e gli studenti non capissero nulla, cioè non rimanesse nulla di impresso nella mente se non un uomo che vaneggia, non si potrebbe parlare di insegnamento, ma di un monologo inutile. Certo, gli studenti hanno imparato ad ascoltare parole vuote (dato che non capiscono) e ciò potrebbe essere considerato un insegnamento, ma certamente non allo stesso livello di un altro nel quale gli studenti possano comprendere le nozioni contenute in quelle parole. Tanto che tornati a casa da scuola, alla domanda dei genitori di cosa abbiano fatto a scuola, la risposta comune è "niente", per confermare che non è rimasto alcun segno della lezione del professore.
Ma quindi perché andiamo a scuola se, come abbiamo visto non impariamo nulla o molto poco?
L’articolo 1.1 dello ‘‘Statuto delle studentesse e degli studenti della scuola secondaria’’ afferma ciò: «La scuola è luogo di formazione e di educazione mediante lo studio, l’acquisizione delle conoscenze e lo sviluppo della conoscenza critica». Scritta così appare chiaro che lo scopo della scuola non è né trovare un lavoro né imparare parole senza alcun significato bensì di creare negli alunni uno spirito di osservazione critica e di passione verso una o più materie; infatti studio deriva dal latino studium che significa «passione, amore, entusiasmo, propensione» (Dizionario latino Olivetti online).
Lo studio e l’osservazione critica servono poi alla maggiore comprensione delle cose che ci stanno attorno e quindi al vivere in modo più sereno la vita. Conoscere più cose aiuta a risolvere alcuni problemi che quotidianamente incontriamo, così che, anziché scansarli come facciamo spesso, li possiamo risolvere andando quindi a fermarne l’espansione, che comporterebbe una difficoltà maggiore di risoluzione alla ricomparsa. Ad esempio, ignorando la spia lampeggiante della macchina il cui serbatoio per la benzina è quasi vuoto, ad un certo punto la macchina non funzionerà più; non si potrà più andare a fare benzina e si dovrà chiamare un amico o un carro attrezzi, con la conseguente perdita di tempo e di soldi (e l’eventuale arrivo in ritardo ad un appuntamento o al lavoro e molte altre conseguenze come per esempio il licenziamento o la fidanzata che, stanca di aspettare, se ne va). Tutto questo per aver semplicemente ignorato una lucina ad intermittenza e non essere andato a far benzina.
Qui sorge spontanea una domanda: come si sviluppa una passione per una materia e una conoscenza critica nello studente?
Sicuramente non con una lezione di ascolto sopra citata e nemmeno facendo imparare pagine e pagine a memoria solo per il "Ti serviranno quando cercherai lavoro o all’università" che continuamente si sente pronunciare. Un altro punto fondamentale è il metodo con cui si valutano le conoscenze o, per meglio puntualizzare, le cose imparate a memoria e poi riportate fedelmente su un foglio. Come un cane che riporta il bastone al padrone solo per sentirsi dire "bravo cane" e ricevere un paio di pacche affettuose sulla testa. Molti studenti sono di questo parere: "perché mai vado a scuola se poi ogni cosa che faccio, impegnandomi o meno, mi ritrovo sotto schemi di valutazione, griglie, punteggi, etc.? non faccio prima a stare a casa e a compilare dei test su internet?". Questo è un altro sintomo della poca comprensione di ciò che l’insegnante afferma in classe, questo pensiero afferma che si potrebbe imparare le cose solo dal libro o da internet per poi compilare dei test online. Certo, non serve a nulla capire le cose se basta ricordarle per poi produrne una fotocopia su un foglio. La forma ottimale di comprensione sarebbe la richiesta all’insegnante di rispiegare quanto detto con parole differenti o spiegazioni dettagliate su ciò che non si è compreso appieno ma il fatto è che spesso neanche l’insegnante riesce a spiegarsi perché nemmeno lui conosce il significato di ciò che sta dicendo e, proprio come gli alunni, ha imparato queste parole a memoria senza avere la conoscenza critica dell’argomento. Quindi tutto si risolve con un nulla di fatto.
Quindi si tenta il metodo più efficace, ma che pochi usano: l’aperto dibattito che permette sia all’insegnante che allo studente di confrontarsi e capire più cose; infatti ognuno possiede una conoscenza diversa, un punto di vista differente che può essere preso in considerazione per accrescere la conoscenza sia da l’una che dall’altra parte. Come scrive Einstein: «Siamo tutti ignoranti. Ma non tutti ignoriamo le stesse cose». Il problema sta nel fatto che tutti siamo stati abituati sin da piccoli ad ascoltare in silenzio la lezione e a pensare come l’insegnante ci ha obbligati; "perché quello che dico io è giusto!" obbiettano i più ad una qualsiasi domanda e alla semplice domanda di un bambino: "perché?", molti rispondono frettolosamente "perché sì". Ciò comporta la distruzione di un dialogo che porterebbe una crescita sia da parte dell’insegnante che da parte dell’alunno. La passione per una materia nasce contemporaneamente alla maggiore comprensione; infatti noi vogliamo sempre sapere di più, scoprire cose nuove e se qualcosa non ci quadra siamo sempre alla ricerca di sciogliere questi nodi. Che appunto possono essere sciolti più facilmente conoscendo più cose: proprio per questo andiamo a scuola.
1 giugno 2018