È ormai opinione comune ammettere questo: le scienze naturali, cioè quelle che si occupano di porzioni dell’empirico, sono etichettate come scienze certe, vere, oggettive; ad esse si contrappongono le scienze dello spirito, cioè quelle che si rifanno alla totalità, che sono viste come qualcosa di soggettivo, non dimostrabile e che appartiene alla sensibilità individuale. Dove sta l’errore dietro a questo ragionamento?
Sin da Platone la scienza (ἐπιστήμη) è vista come l’arte che permette di non contraddirsi; facendo un ulteriore passo in avanti, possiamo dire che scienza è la capacità di fare il bene, in quanto non è nostro interesse affermare qualcosa per poi negarlo ‒ che questo poi avvenga è un altro discorso, in quanto noi non partiamo mai con l’idea di compiere il male. Dunque, se la scienza è vista come fare il bene, essa non potrà che avere delle ripercussioni nella nostra vita: tanto meno ci contraddiremo, tanto più saremo scientifici. Sembra quindi che ci sia una continuità tra vita e scienza: potremmo affermare che la conoscenza ci porterà a risolvere i problemi, cioè a togliere contraddizioni.
Secondo tale ragionamento, qualsiasi ambito del nostro vivere è soggetto della scienza: chiameremo dunque politica la capacità di non contraddirsi nei rapporti sociali; biologia la capacità di non contraddirsi nello studio degli esseri viventi; arte la capacità di non contraddirsi nel rappresentare la realtà; matematica la capacità di non contraddirsi nel calcolo, ecc. Dagli antichi greci in avanti l’uomo si è posto sempre di più questa domanda attorno a quale fosse il vero bene, andandolo a cercare nella propria vita, in vista di un miglioramento. Per progredire dal punto di vista della nutrizione ha visto che era più fruttuoso coltivare in un determinato modo le piante, così è andato perfezionando la sua scientificità di agricoltore; per migliorare la propria salute si è messo a sperimentare nuove forme di medicinali, così è diventato sempre di più medico e farmacista; per migliorare l’educazione della propria prole ha preferito dei metodi d’insegnamento ad altri, così è andato perfezionando la sua scientificità pedagogica; ha studiato la staticità delle costruzioni e i vari materiali affinché potesse vivere in case sempre più sicure, così è andato a perfezionare la scienza dell’essere architetto.
Ciò che accomuna tutte le scienze è quindi la ricerca della verità: possiamo ritenere una cosa scientifica fin tanto che essa sarà vera; una volta dimostrata la sua falsità, essa sarà non-scientifica, in quanto contraddittoria. Affermare che la Terra è piatta o che il Sole gira intorno ad essa non è molto scientifico, anzi per nulla. D’altro canto dire che la Terra è un geoide senza saperlo dimostrare, o senza fornirne delle spiegazioni efficaci, è allo stesso modo essere dei non-scienziati. Possiamo dunque affermare, sulla scorta di Platone, e di tutto quello che è stato detto in precedenza, che saremo tanto più astronomi quanto più saremo capaci di non contraddirci e di fornire la verità nella descrizione dei pianeti.
« Quando essa [l’anima] si fissa saldamente su ciò che è illuminato dalla verità e dall’essere, ecco che lo coglie e lo conosce, ed è evidente la sua intelligenza; quando invece si fissa su ciò che è misto di tenebra e che nasce e perisce, allora essa non ha che opinioni e s’offusca, rivolta in su e in giù, mutandole, le sue opinioni e rassomiglia a persona senza intelletto. » (Platone, Repubblica)
Facendo un salto nella storia di più di 2000 anni, la situazione odierna sembra aver preso una direzione che a Platone, e a chi la pensa come lui, risulterebbe abbastanza inappropriata. All’interno della scienza si sono formate due fazioni: da una parte le scienze naturali, quelle che cioè si riferiscono all’empirico, come ad esempio la matematica, la biologia, l’ingegneria, la statistica; dall’altra le scienze dello spirito, che sono proprie solo del singolo, come l’arte, la religione e la filosofia. Le scienze dello spirito si manifestano con i siffatti pensieri: nella religione cristiana in chi dice che “ognuno ha la propria fede”, “l’atto di fede è qualcosa di personale”, “la fede non si può esprimere”; nell’arte in chi dice “non è bello ciò che è bello, ma è bello ciò che piace”, come ad alludere che la Cappella Sistina e la Fontana di Duchamp abbiano lo stesso valore; nella filosofia in chi dice che “tutte le opinioni si equivalgono”, “quello che è giusto per me, non è detto che sia giusto per te”, “ognuno ha le proprie opinioni e nessuno ha il diritto di giudicarle”. La scientificità, in ambito spirituale, non sembra più dipendere dalla non contraddittorietà delle opinioni, ma ogni opinione è valida solo in quanto si dà. Così possiamo affermare che ognuno ha la sua idea di fede, di bello e di giustizia levando tali concetti dalla critica e dal processo di toglimento delle contraddizioni.
Qual è il risultato di tutto ciò? Che ognuno è considerato artista solo per il fatto che riesce a rappresentare qualcosa, che ognuno è religioso solo per il fatto che non conoscendo tutto allora fa di continuo degli atti di fede, che ognuno è considerato un filosofo solo per il fatto di possedere la ragione. Sì, questo è in parte vero, siamo tutto questo: artisti, religiosi e filosofi, ma non avevamo posto come obiettivo di queste e delle altre scienze la ricerca del bene? Come potremmo avvalerci solo della nostra esperienza nella ricerca di tale bene e fare a meno del confronto con ciò che ci propone l’altro? Qualora l’altro ci mostrasse qualcosa di migliore, non saremmo dei buoni scienziati se dicessimo: “Caspita, hai perfettamente ragione, sembra proprio che sia così!”? Non ammetteremmo dunque che per essere dei veri scienziati, in particolare dei veri artisti, religiosi e filosofi, dovremmo avvalerci del rapporto che c’è tra quello che pensiamo noi e quello che ci viene offerto dagli altri? Ecco dunque scomparire la soggettività e apparire l’oggettività di ciò che è meno contraddittorio.
« Poiché il pensiero è ciò che la filosofia rivendica come forma peculiare delle sue operazioni ed ogni uomo da natura può pensare […] a questa scienza tocca spesso lo spregio che anche coloro che non si sono affaticati in essa, s’immaginano e dicano di comprendere naturalmente di che cosa si tratti, e d’esser capaci, col solo fondamento di un’ordinaria coltura e in particolare dei sentimenti religiosi, di filosofare e di giudicare la filosofia. Si ammette che le altre scienze occorra averle studiate per conoscerle, e che solo in forza di siffatta conoscenza si sia facoltati di avere un giudizio in proposito. Si ammette che, per fare una scarpa, bisogna aver appreso ed esercitato il mestiere del calzolaio, quantunque ciascuno abbia la misura della scarpa nel proprio piede, e abbia le mani e con esse la naturale abilità per la predetta faccenda. Solo pel filosofare non sarebbero richiesti né studio, né apprendimento, né fatica. » (Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche)
Secondo l’opinione comune tutti abbiamo una filosofia, ma non tutti possiamo costruirci delle scarpe anche se sappiamo quanto grandi sono i nostri piedi e abbiamo le mani per poterle costruire. Tradotto: ci sono delle conoscenze particolari che bisogna sapere per costruire delle scarpe, mentre tutti possono essere filosofi, in quanto tutti possiedono il pensiero. Ecco quindi che si va delineando, grazie a questo esempio, la fazione delle scienze naturali: si sarà dei veri scienziati della natura solo se si studieranno i dati che essa produce e si saprà applicarli nella realtà. Ci illudiamo di isolare la conoscenza di quell’ambito particolare da tutto il processo conoscitivo che si è dispiegato per arrivare ad essa; in questo modo la etichettiamo come oggettiva sostenendo che i dati non ne vadano dell’interpretazione dello scienziato: si potrà essere matematici solo se si avrà imparato alcune formule, si sarà psicologi solo se si avranno apprese delle teorie che la psicologia ammette e si potrà parlare di vaccini solo se si avrà l’etichetta d’immunologi. Siccome ciò che si scopre non è l’interpretazione della realtà, ma la realtà stessa, cioè la verità, non si pone neanche la discussione su quella determinata scoperta: solo chi è competente in materia ne può discutere, in quanto ha accesso alla verità: si è passati dalla religione rivelata alla scienza rivelata, con l’uomo, da buon burattino qual è, sempre a fidarsi ciecamente.
Ed eccoci giunti alla nostra cara Italia e al buon Burioni, il quale sentenzia che “la scienza non è democratica”: non si può parlare di vaccini fin tanto che non si abbia studiato immunologia. Burioni e chi la pensa come lui va contro il vero significato di ἐπιστήμη, che non è altro se non la ricerca del non contraddittorio: non possiamo permetterci di escludere nessuno da tale ricerca, ma essa stessa eventualmente si riserverà l’onere di escludere le opinioni infondate, cioè non scientifiche. Il non parlare con qualcuno di qualcosa, solo perché non l’ha studiata, sembrerebbe una scusante per la propria mancata preparazione in materia. Se sappiamo di qualcosa, risulterà facile esprimerlo all’altro, in quanto l’abbiamo fatta nostra: ciò che dico non può privarsi del contraddittorio, perché la mia stessa teoria sarà sempre di più fortificata a mano a mano che confuterà le altre, quindi non può farne a meno. Tanto più un’opinione vuole essere vera e scientifica, tanto più dovrà essere democratica, cioè tener conto del maggior numero possibile di relazioni/prospettive. Possiamo dunque concludere: tutte le scienze sono soggettive, in quanto necessitano di un processo di conoscenza da parte del singolo e grazie ad esso si rifanno alla realtà, ma allo stesso tempo sono oggettive, in quanto risultato dell’emergere della verità attraverso il confronto.
24 dicembre 2018
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