Bisogna andare contro chi crede che il progresso scientifico «corre veloce» solo perché viene scoperto qualcosa di nuovo ogni giorno; questo avanzamento risulta effimero se non ha ciò che lo sorregga: è inutile avere infiniti mezzi se non si ha uno scopo per cui usarli; anzi, si rischia di creare più danni di quelli che si sarebbero fatti se si fosse stati fermi.
L’età postmoderna sta attraversando – ed è appena all’inizio – una serie di problemi che minacciano l’intero pianeta Terra e la popolazione mondiale: inquinamento globale, carenza di combustibili fossili, lo stato di povertà in cui vivono milioni di persone. La risonanza che viene data a questi problemi è quasi nulla: si preferisce parlare di problemi minori come la presunta invasione degli immigrati o la crescita di mezzo punto percentuale del PIL.
Davanti a questi problemi il sapere scientifico dovrebbe aver già fatto il proprio corso; l’enorme potenzialità tecnica di cui disponiamo avrebbe dovuto risolvere questi problemi. Eppure le cose sembrano andare di male in peggio: più tecnologie si scoprono più i problemi aumentano.
Questa inefficacia nell’agire per il bene futuro deriva dalla concezione di progresso che la società e gli scienziati hanno, affermatasi negli ultimi tempi e diventata una verità incontestabile: la dicotomia tra progresso scientifico e progresso del pensiero.
Ecco un esempio di questa presunta differenza tra scienza e pensiero proposta, guarda caso, negli ultimi esami di Stato, lì dove la professionalizzazione tecnica sembra qualcosa di irrinunciabile, a discapito della crescita come cittadino e come persona: la scuola.
« Per progresso si possono intendere almeno due diversi tipi di successione di eventi. Da una parte c’è un progresso materiale, fatto di realizzazioni e conoscenze, di natura prevalentemente tecnico-scientifica; dall’altra, un progresso morale e civile, che coinvolge soprattutto i comportamenti e gli atteggiamenti mentali. Il primo corre veloce, soprattutto oggi, e raramente mostra ondeggiamenti. È il nostro vanto e il nostro orgoglio. Il secondo stenta, e a volte sembra retrocedere, seppur temporaneamente. I problemi nascono in gran parte dal confondere tra loro questi due tipi di progresso. Che sono molto diversi. […] E con due velocità molto diverse: veloce il primo, lento o lentissimo il secondo. » (E. Boncinelli, Per migliorarci serve una mutazione, «Corriere della Sera», 7 agosto 2016)
Si può credere che il progresso scientifico e il progresso del pensiero siano separati, o addirittura contrari; questa è appunto la sindrome della società odierna: anteporre la pratica alla teoria proprio perché si crede che non serva più pensare. Ma da dove arriva questa superiorità della pratica se non dal pensiero che ritiene la teoria inutile?
Quando si cerca una definizione a ciò che è "pratico" si finisce sempre con il dare un significato a ciò che è "teorico": poiché queste due sfere della realtà sono collegate, proprio nel momento in cui le unifichiamo ci ricordiamo del motivo per cui le avevamo separate e viceversa. La loro definizione deve comprendere la correlazione che c’è tra le due sfere. La continua necessità dell’unificazione e la separazione di quest’ultime ci dà però la certezza dell’inevitabile dialogo che esse devono intraprendere. Il confronto dialettico tra le due sfere dell’essere umano, pratica e teorica, è ciò che lo caratterizza e lo determina; negare questa correlazione è sintomatico di una società che non pensa più, che non sa più, che non si conosce più.
« Un qualcosa ha realtà indipendente soltanto nella misura in cui è messo in relazione alla facoltà pratica dell’io; in quanto è messo in relazione a quella teoretica, è compreso nell’io, contenuto nella sua sfera, sottomesso alle leggi della sua rappresentazione. Ma inoltre, quel qualcosa come può essere messo in relazione alla facoltà pratica se non tramite la teoretica, e come può diventare oggetto della facoltà teoretica, se non per mezzo della pratica? Insomma, qui trova nuovamente conferma, o piuttosto qui si mostra in tutta nettezza, la proposizione: nessuna idealità, nessuna realtà e viceversa. » (J.G. Fichte, Fondamento dell’intera dottrina della scienza)
La metafora che riassume l’atteggiamento della società in cui viviamo è quella di chi vede l’albero e non la foresta; anzi il progresso scientifico continuerà a specializzarsi fino a che non saprà nemmeno più di guardare un albero. La necessità è quella di specializzarsi e conoscere in modo particolare ciò che ci circonda senza però perdere lo sguardo d’insieme, lo sguardo sulla Totalità composta dal particolare.
« La grande avventura della scienza ha disimparato a vedere oltre il proprio naso; a tal punto che questa stoltezza viene scambiata – o millantata – per modestia. Così, il rigore della scienza implode su se stesso: per essere sempre più esatto diventa talmente piccolo da non avere più notizia di ciò da cui era partito. Tanto più vuole essere esatto, tanto meno riesce ad esserlo. » (Gabriele Zuppa, Platone democratico)
I disastri che la scienza compie oggigiorno derivano da questo tentativo di continua settorializzazione, che deriva appunto dalla presunzione della superiorità tecnica sul pensiero. Dobbiamo invece tornare a fare vera filosofia, confrontandoci con noi stessi e con gli altri nel tentativo di eliminare quante più contraddizioni possibili.
Il progresso viene infatti ormai visto come qualcosa che porta solo benefici, e non si mette più in discussione ciò che si segue: la ricerca della crescita a discapito di tutto e tutti. Si è tornati alla legge del più forte dove ora l’obiettivo non è più quello di sopravvivere ma di aumentare il proprio PIL.
Bisogna andare contro chi crede che il progresso scientifico «corre veloce» solo perché viene scoperto qualcosa di nuovo ogni giorno; questo avanzamento risulta effimero se non ha ciò che lo sorregga: è inutile avere infiniti mezzi se non si ha uno scopo per cui usarli, anzi si rischia di creare più danni di quelli che si sarebbero fatti se si fosse stati fermi.
1 marzo 2018