Non esistono diritti senza uomini che li riconoscano come obblighi nei confronti degli altri: la mancanza di questa consapevolezza è uno dei principali problemi della nostra epoca.
"Possedere dei diritti" e "vedersi riconosciuti dei diritti": entrambe le formulazioni vengono impiegate nella Dichiarazione universale dei diritti umani. Apparentemente esse descrivono lo stesso concetto, cioè che la vita di un individuo viene realizzata anche grazie a oggetti che può possedere (come una casa o del denaro) e ad azioni che può svolgere (come lavorare, esprimere pubblicamente il proprio pensiero, pubblicare un libro, ecc.). Tuttavia, se ammettiamo che una persona “detenga” dei diritti, stiamo accettando che ciò di cui abbiamo parlato sopra gli appartenga in ogni caso, sebbene possiamo osservare nella vita di ogni giorno che non sempre ciascuno può avere la certezza di possedere una casa in cui tornare, o di poter esprimere liberamente ciò che pensa. D’altra parte il dire che i diritti “vengono riconosciuti” implica che essi non hanno altra dimensione se non l’effettivo, l’empirico godimento che gli individui possono avere degli stessi. È possibile conciliare queste due prospettive apparentemente discordanti?
Innanzitutto va preso in considerazione il fatto che ogni individuo, dal momento in cui nasce, è circondato da altri esseri umani e che, in ogni caso, non potrà mai prescindere da questo legame. Tutti gli esseri umani, quindi, «hanno un potere tutto loro», scrive Simone Weil ne L’Iliade o il poema della forza, «quello di fermare, reprimere o modificare ogni movimento abbozzato dal nostro corpo», il che, ampliando il discorso, significa che la nostra vita è immediatamente influenzata da ogni cosa che ci circonda. Dato ciò, noi siamo costretti dalla mera presenza degli altri a compiere determinate azioni, e in questo modo essa si presenta come ciò che crea un nostro obbligo nei confronti degli altri, che da parte loro pretendono che venga riconosciuto loro come diritto. Un diritto è un obbligo che è, come accennato sopra, ineludibile: se nostro figlio piangesse, richiedendo la nostra attenzione, tappandoci le orecchie non placheremmo la sua fame, la sua sete o il suo disagio; né, considerando l’amore che nutriamo per quel bambino, vorremmo fingere che non stia chiedendo il nostro aiuto. Sebbene il bisogno non scompaia se ignorato è anche vero che l’unico modo per esprimere il nostro desiderare il benessere del pargolo è quello di soddisfare il suo bisogno, e in questo senso si può dire che il godimento del diritto sia essenziale, e che nella prassi non ci si possa accontentare di riconoscere astrattamente che gli individui “detengano dei diritti”. Simone Weil esprime questo concetto nell’incipit de La prima radice:
« Un diritto non è efficace di per sé, ma solo attraverso l'obbligo cui esso corrisponde; l'adempimento effettivo di un diritto non proviene da chi lo possiede, bensì dagli altri uomini che si riconoscono, nei suoi confronti, obbligati a qualcosa. L'obbligo è efficace allorché viene riconosciuto. L'obbligo, anche se non fosse riconosciuto da nessuno, non perderebbe nulla della pienezza del suo essere. Un diritto che non è riconosciuto da nessuno non vale molto »
Ecco che la contrapposizione tracciata all’inizio, quella che vedeva come inconciliabili il “possedere” e il “vedersi riconosciuti” dei diritti trova coerenza: le altre persone non cessano di esistere per il solo fatto che le ignoriamo, e in questo senso esse possiedono dei diritti; allo stesso tempo, dal momento in cui ci convinciamo della verità di ciò non possiamo fare altro che ammettere il nostro obbligo nei loro confronti e metterli nella condizione di poter godere dei loro diritti. Non ha senso pensare che, una volta appurata in toto la contraddittorietà di un sistema che incrimina gli omosessuali, si continui comunque a incarcerare delle persone sulla base del loro orientamento sessuale.
Chiaramente questo obbligo riguarda ognuno di noi, ma la figura che più immediatamente pare implicata nel processo di presa di consapevolezza delle prerogative dei vari individui, e quindi dei loro diritti, è quella del politico; a patto che faccia una politica consapevole di se stessa. La politica infatti tratta delle relazioni fra gli uomini. L’uomo o la donna, in quanto politici in un’organizzazione democratica, dovrebbero gestire le modalità istituzionali in cui le persone interagiscono. Se questo compito viene svolto perseguendo il riconoscimento dei bisogni di coloro che il politico si trova a dover rappresentare, ecco che la frase spesso ripetuta ma ben poco messa in pratica, per cui il politico sarebbe il “servitore del popolo”, trova la sua realizzazione.
27 febbraio 2018
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