Alle origini del sistema liberale: una casa edificata sulla sabbia

 

È necessario trovare una motivazione più profonda che possa portare chiunque al governo. La ragione è l’arma fondamentale che Locke schiera a suo favore: è la legge che governa lo stato di natura e che per tutti è vincolante; a suo dire ci insegna che siamo tutti uguali e che per questo non dobbiamo danneggiare gli altri. Su questo errore concettuale di fondo si è basata la storia della filosofia successiva: ricercare la libertà non nel “naturale” inteso come non contraddittorio, ma nel “naturale” inteso come immediato e facilmente raggiungibile.

 

di Antonio Martini

 

Pensando agli attuali Stati occidentali e volendo farsi un’idea il più possibile completa della loro conformazione liberale è necessario risalire a chi ne è stato il primo teorico: John Locke. Tutti i Paesi occidentalizzati si confessano liberali, nel senso che sono a favore delle libertà dell’individuo, e a dimostrazione di ciò si può vedere come in quasi tutti i partiti è ormai manifesta l’idea liberale, sia a destra, sia a sinistra, che al centro. Non sarà questa la sede dove discutere come queste idee di libertà si siano sviluppate, ma con il presente articolo si vorrebbe risalire direttamente a chi, secondo la critica, è considerato il padre della teoria classica.

 

Prima di entrare nel cuore della questione è importante sottolineare che l’idea liberale non è qualcosa inventato da Locke, ma, semplicemente, il filosofo inglese è stato il primo che l’abbia sistematizzata e messa al servizio di una forza politica. Il concetto di libertà è qualcosa che si è sviluppato sicuramente prima di Locke: è un’analisi alquanto banale e sbagliata far risalire un’idea ad una persona, ma ai fini della nostra attività di ricerca ci è conveniente prendere la disposizione che ha dato il filosofo all’idea liberale, anche perché tale concezione è stata poi fautrice di molti episodi determinanti della storia.

 

Siamo in Inghilterra, seconda metà del ‘600 ed è in corso una vera e propria battaglia politica tra Tories e Whigs: i primi sono sostenitori del vecchio mondo assolutistico ed aristocratico, i secondi rappresentano il nuovo che avanza e si dichiarano più progressisti. Dietro al partito dei Whigs si cela la figura di Locke, che si ritrova a dover sistematizzare e fondare un complesso apparato concettuale che faccia fronte alla nuova esigenza da parte del partito di consolidarsi al potere. È ancora presente l’idea che i più ricchi siano i detentori della gestione del Paese e non chi ne avesse veramente il merito. Si trova così a dover legittimare il loro bisogno di governare, necessitando di valori differenti dalla forza e del denaro. Questi ultimi infatti sono connaturati nelle file dei Tories e risulterebbe palesemente contraddittorio cercare di soverchiarli con i loro stessi princìpi. È necessario quindi trovare una motivazione più profonda che possa portare chiunque al governo. 

 

House of commons
House of commons

 

Addentrandosi nello sviluppo del pensiero di Locke, si può vedere come questa legittimazione, di cui è alla ricerca, non riesca a trovare delle fondamenta solide.

 

« Nulla invero è più evidente del fatto che creature della stessa specie e grado, destinate senza discriminazione al godimento dei benefici della natura e all’uso delle stesse facoltà, debbano essere anche uguali fra loro. » (John Locke, Il secondo trattato sul governo)

 

Se fosse così evidente che siamo tutti uguali, come sarebbe possibile che alcune persone non riescano ad arrivare a fine mese a causa di un lavoro precario o che i disabili non siano messi nelle condizioni di poter fare tutto quello che facciamo noi “normodotati”? (Sono giusto due esempi molto sentiti nel nostro periodo storico, ma che fanno capire come il fatto di essere tutti uguali non sia per niente scontato). A me sembra che attualmente ci siano enormi differenze di trattamento da parte dello Stato nei confronti dei singoli cittadini, tanto più all’epoca di Locke, ma questo non viene notato. Andiamo avanti e non sostiamo oltre nel commento di questo passo.

G. Kneller, Ritratto di Locke (1697)
G. Kneller, Ritratto di Locke (1697)

 

 

« Lo stato di natura è governato dalla legge di natura che è per tutti vincolante, e la ragione ‒ che è quella legge stessa ‒ insegna a tutti gli uomini, purché vogliono consultarla, che essendo tutti uguali e indipendenti, nessuno deve recar danno ad altri nella vita, nella salute, nella libertà o negli averi. » (Locke, Il secondo trattato sul governo)

 

« Ed essendo forniti delle stesse facoltà e partecipando tutti di una comune natura, non si può supporre alcuna subordinazione fra noi tale da autorizzarci e distruggerci l’un l’altro, come se fossimo stati creati gli uni ad uso di altri. » (Locke, op. cit.)

 

La ragione è l’arma fondamentale che schiera Locke a suo favore: un elemento presente in ognuno di noi e quindi capace di essere alla base dell’uguaglianza tra le persone. È la legge che governa lo stato di natura e che per tutti è vincolante; a suo dire ci insegna che siamo tutti uguali e che per questo non dobbiamo danneggiare gli altri. Ancora una volta l’indagine non spiega il perché del fatto che siamo tutti uguali: non si va in profondità nella ricerca e si rimane sul vago. Non è sufficiente sostenere che siamo uguali perché tutti disponiamo della ragione. Rincara la dose poi nel secondo passo citato, portando la dimostrazione verso il proprio obiettivo ‒ cioè la possibilità che tutti possano governare ‒, sostenendo che non è possibile presupporre una subordinazione se si partecipa tutti alla medesima natura.

 

« La libertà naturale dell’uomo consiste nell’essere libero da ogni superiore potere sulla terra, e nel non essere subordinato alla altrui volontà o autorità legislativa ma nell’avere per propria norma la sola legge di natura. La libertà dell’uomo in società consiste nel non essere soggetto a nessun altro potere legislativo che non sia quello stabilito per comune consenso nello Stato; nel non essere soggetto al dominio di alcuna volontà o alla limitazione di alcuna legge che non sia quella che il legislativo promulgherà, conformemente al mandato affidatogli. » (Locke, op. cit.)

 

P. Tillemans, “La camera dei comuni” (1710)
P. Tillemans, “La camera dei comuni” (1710)

 

Il terreno che Locke aveva preparato con i passi precedenti era finalizzato a poter sostenere questo: il legislatore deve essere scelto di comune accordo, in quanto per natura si è liberi quando si sottostà all’unica legge di natura, cioè alla ragione, e non ad altri poteri superiori. Questo è il filo conduttore di tutto il ragionamento di Locke: tutti abbiamo la ragione che è l’unica legge naturale a cui dobbiamo obbedire, per questo siamo tutti uguali e dunque tra di noi siamo “liberi” e non dobbiamo essere subordinati a nessun altro, quindi il legislatore deve essere deciso di comune accordo. In particolare in questo estratto è significativo il termine naturale, che per Locke sembra essere sinonimo di qualcosa che è presente nella natura, immediato, alla portata. Tale uso del termine “naturale” associato al concetto di “libertà” ha riscontrato molto successo sia in patria che fuori, grazie all’appetibilità che una tale concezione possiede.

 

« […] l’aggettivo naturale esprime una doppia istanza polemica contro una situazione storica preesistente. Infatti il diritto consuetudinario non era, come sappiamo, che diritto privilegiato, che veniva attribuito all’uomo non in quanto uomo, ma in quanto vivente ed operante in situazioni storiche determinanti. Il diritto naturale invece è la radicale negazione del privilegio, per il fatto stesso che risale al più antico e fondato di tutti i privilegi: quello di essere uomo. » (Guido De Ruggiero, Storia del liberalismo europeo)

 

Volendo prendere le distanze dal “privilegio” con una soluzione facile e veloce, si è dato all’aggettivo naturale questo determinato significato, influenzando poi la storia del pensiero per i secoli a venire. L’aggettivo naturale, quale era stato concepito da Aristotele, è tutt’altro che qualcosa d’immediato: è più propriamente inteso come “non contradditorio”, quindi fortemente mediato e dialettico.

 

« Ciò che è naturale è ciò che ha il principio in se stesso, è ciò che è attivo e che, mediante la propria attività, perviene al suo fine o al principio. » (Hegel, Lezioni sulla storia della filosofia)

 

Ecco che, secondo quest’accezione, la libertà sarebbe sì qualcosa di naturale, ma nel senso che sarebbe il prodotto dell’attività del pervenire al nostro scopo e ricercare il principio, e non qualcosa d’immediato e privo di un’opportuna argomentazione, in quanto intuibile da ognuno come un'evidenza. Su questo errore concettuale di fondo si è basata la storia della filosofia successiva: ricercare la libertà non nel “naturale” inteso come non contraddittorio, ma nel “naturale” inteso come immediato e facilmente raggiungibile.

 

16 gennaio 2018

 




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