Le opere di Magritte si configurano come una profonda riflessione sulle problematiche inerenti al vedere e alla nostra percezione del mondo. Le riproduzioni, i cui accostamenti sono apparentemente illogici, inducono a porsi domande sulla percezione che abbiamo di quello che ci circonda.
di Iris Rrokaj
È piuttosto insolito incontrare negli scritti del surrealista belga René Magritte riferimenti a filosofi. Nonostante ciò egli propone un’originale riflessione sul linguaggio. Ricordiamo un celebre scritto del 1929 Les mots et les images, che contiene il seguente enunciato:
« Un oggetto non è mai tanto legato al suo nome che non se ne possa trovare un altro che gli si adatti meglio. »
Un oggetto non è mai tanto legato al suo nome che non se ne possa trovare un altro che gli si adatti meglio. Le cose non hanno fra loro una somiglianza, ma hanno o non hanno similitudini. Spetta solo al pensiero essere somigliante. Somiglia essendo ciò che vede, sente o conosce. Durante una conferenza tenuta a Bruxelles nel 1959 il pittore ricorda:
« la pittura è chiamata familiarmente: un’arte della somiglianza. »
Ma aggiunge che conviene:
« distinguere somiglianza e similitudine. Da un lato, la somiglianza appartiene al pensiero, e un’immagine dipinta ha soltanto similitudini possibili con aspetti del mondo visibile. È opportuno anche osservare che le similitudini e le differenze sono rivelate esclusivamente da atti possibili del pensiero, ossia dagli atti di considerare, comparare, distinguere e valutare. »
La conoscenza dell’oggetto si presenta come un processo, in quanto nuovi elementi continuano a presentarsi al pensiero nel corso del tempo. L’apparizione di una nuova relazione implica una riflessione sulle relazioni presenti, che continuano ad arricchirsi, modificarsi o semplicemente celarsi in tale processo. L’oggetto dunque non può mai essere conosciuto nella sua totalità. Il tentativo di definirlo presenterà sempre delle imperfezioni, vista la difficoltà di abbracciare la totalità. Il tentativo di definirlo presenterà sempre delle imperfezioni, vista la difficoltà di abbracciare la totalità e l’impossibilità di conoscere tutte le relazioni che si presenteranno. Non è corretto considerare un insieme particolare di relazioni uguale ad un altro insieme di relazioni. Allo stesso modo dunque non posso affermare che due oggetti siano uguali tra loro, in quanto non conoscendoli in ogni loro parte, non ho la certezza che ve ne possa essere o meno una di non uguale, e anche se possedessi tale certezza, la divergenza di tempo tra l'affermare prima uno e poi l’altro sarà elemento sufficiente a non renderli identici. In questo modo le opere di Magritte si configurano come una profonda riflessione sulle problematiche inerenti al vedere e alla nostra percezione del mondo. Le riproduzioni, i cui accostamenti sono apparentemente illogici, inducono a porsi domande sulla percezione che abbiamo di quello che ci circonda. La tecnica usata dal pittore rivoluzionario per problematizzare il rapporto fra parola e immagine è costituita dai titoli ermetici, quasi sempre spiazzanti, che egli dà alle proprie opere. Il pittore stesso ha dichiarato:
« I titoli sono scelti in modo tale da impedire di situare i miei quadri in una regione familiare che lo svolgimento automatico del pensiero potrebbe trovar loro allo scopo di non doversi inquietare. »
Un modo di evidenziare la natura ambigua del nostro linguaggio, le cui parole non sono in grado di definire l’oggetto reale cui si riferiscono. Il sentimento umano non è il primo elemento ad emergere nella sua arte. L'artista è cosciente dell’impossibilità di poterla riprodurre. Il rapporto tra immagine e linguaggio è un tópos sul quale Magritte gioca con grande intelligenza ed ironia. Focalizziamo l'attenzione su uno dei quadri più importanti del pittore: La Trahison des images.
« È semplicissimo. Chi oserebbe pretendere che la rappresentazione di una pipa è una pipa? Chi potrebbe fumare la pipa del mio quadro? Nessuno. Quindi non è una pipa. »
Rivela l'autore. Il fine inganno si svela ben presto. Come si potrebbe pensare di chiamare pipa ciò che in realtà è solamente un’immagine e non l’oggetto? L’artista, ancora una volta, gioca con i termini di realtà e rappresentazione, proponendo una riflessione sul confine, non sempre coscientemente chiaro, tra i due termini.
Il tutto non si limita solamente a un gioco di significati. L'intento dell'autore è quello di far riflettere l'osservatore su elementi ed oggetti che ogni giorno vengono dati per scontati. E se basta una semplice paradossale spiegazione ad ingannare la mente dell'osservatore, il vero intento dell'artista è cercare di eliminare quel muro che ogni giorno costruiamo intorno a noi stessi e che ci separa dalla presa di coscienza effettiva della realtà. In questo modo l'autore mette in risalto il rapporto che vi è tra oggetto e attributo. Ciò che l'artista vuole evidenziare è l'inafferrabilità della realtà completa e di conseguenza l'impossibilità di poter attribuire un nome a ciò che è manifestazione della presunta pura essenza o cosa in sé.
In quest'ottica il quadro assume un nuovo connotato. Oltre il gioco di parole vi è l'impossibilità di definire diversi insiemi di relazioni allo stesso modo. L'accorgimento che ci deve risultare è che l'appellativo attribuito ad ogni oggetto è un semplice tentativo di facilitazione della comunicazione nel mondo empirico. Cosa accomuna un uomo come René Magritte al noto filosofo ateniese Socrate? Cosa condividono questi due uomini? Il rifiuto del dare per scontato. Lo scopo di un surrealista e maestro del mistero come Magritte è proprio questo: interrompere la tranquillità, scombussolare, far insorgere dubbi e sgretolare i pregiudizi e far riflettere su questioni che vengono trapassate nel parlare e vivere comune. Lo scopo che l’artista belga persegue è proprio quello di disilludere l’occhio dello spettatore, liberandolo dalla pigrizia di ogni percezione automatica.
« La realtà non è mai come la si vede: la verità è soprattutto immaginazione. »
« Quanto al mistero, all’enigma costituito dai miei quadri, dirò che era questa la prova più convincente della mia rottura con l’insieme delle assurde abitudini mentali che generalmente sostituiscono un sentimento autentico dell’esistenza. »
La grandezza dell'artista non è da cercarsi nella qualità pittorica ma nel suo sguardo spregiudicato e critico nei confronti di tutte le abitudini comunemente accettate, quelle che ci inducono a voler vedere le persone e gli oggetti recitare il loro ruolo consueto e rassicurante. Ѐ proprio questo che suscita simpatia e interesse nei confronti di Magritte, impegnato nella sua lotta a contestare i luoghi comuni. La filosofia è lo spostamento e la trasformazione delle cornici di pensiero, la modifica dei valori ricevuti, tutto il lavoro che si fa per pensare. L’artista fa ricorso alla realtà unicamente per esprimerne l’inafferrabilità. Ogni sua opera è da leggersi come un’allusione ossessiva all'impossibilità di conoscere veramente la nostra essenza e quella degli oggetti che ci circondano, che sembrano ricoperti di un velo misterioso. L’enigma del mistero dell’esistenza resterà sospeso. Il messaggio della pittorica di René Magritte è il seguente: la realtà non può essere afferrata o compresa pienamente e tantomeno può essere esaurito il senso dell’esistenza. I suoi dipinti non forniscono risposte. Si limitano ad immergerci in un’atmosfera di attesa e ci incitano al tentativo di trovare una risposta. Ma forse il vero senso e la bellezza della vita sono racchiusi all’interno del tentativo di una risposta a questo interrogativo.
6 gennaio 2018