Lo scrittore David Foster Wallace vedeva nel rap la possibilità di una spinta emancipativa, dettata da una forma artistica originale e nuova. L'impressione era che il rap, grazie ai suoi messaggi dal forte peso sociale, potesse essere uno strumento di insurrezione collettiva contro ciò che non funzionava da un punto di vista musicale (l'estabilishment del mercato discografico), ma anche etico, politico, dando voce a coloro che erano stati messi da parte e relegati nell'oscurità.
Persino il blues, nato in Africa e poi esportato in America con le deportazioni schiavistiche coloniali, era nato come un genere musicale della gente povera (in particolare i coltivatori delle piantagioni), ma era stato privato del suo significato originario, e con la mediazione di figure come Buddy Holly, Bill Haley e Elvis Presley, trasformato in musica popolare, soprattutto nella sua variante movimentata: il rock and roll.
Il rap ha in un certo senso ereditato questa missione artistica. Kurt Cobain disse:
« La musica rap è l'unica forma di vitale di musica esistente dopo il punk rock. »
Per Wallace il rap è addirittura superiore, su vari livelli, al punk. Perché?
« "Alienata" da tutti e da tutto, e in particolare da se stessa, la musica punk non poteva «parlare per» nessuno, perché non poteva neanche aspirare al ruolo di Parte: "Parte" di che cosa? Non c'era nessun Intero di cui essere una Parte, nel nichilismo artefatto e frammentato del punk, nella sua studiata alienazione da ogni "Intero" (trovavano nauseante perfino il sesso). Il "Tutto" dei punk erano loro stessi, ma non come unità, e neppure come somma: era soltanto ciascuno di loro, individualmente; insieme, formavano più il sintomo di un corpo malato che un dito o un arto funzionante. » (David Foster Wallace, Il rap spiegato ai bianchi)
Il punk era una dottrina dell' "anti-", ma la sua filosofia di base nichilista non offriva «nessuno strumento per colmare il divario culturale, niente di umano a cui aggrapparsi».
E il rap? Il rap era empatico: forniva una via d'accesso genuina a certe condizioni di vita (e di morte) di un America sull'orlo dell'implosione. Una via d'accesso alle periferie della civiltà, che ignoriamo, fingiamo di non vedere, o che conosciamo esclusivamente attraverso canali astratti e falsati:
« I telefilm polizieschi e gli speciali del telegiornale, mode commerciali create a tavolino, gli zar antidroga nominati da Bush e gli equilibrati editoriali che pretendiamo in quanto "Cittadini Preoccupati", seriamente preoccupati per il futuro di certe aree urbane in cui, un domani, potremmo voler costruire condomini. » (Ivi)
Il compito è questo: fare i conti con l'altra faccia della medaglia (quella nascosta) del sogno born in the USA, difesa da un rock ormai saturo. Probabilmente è in quest'ottica che dobbiamo leggere l'avversità dello scrittore nei confronti di un gruppo old school come i Beastie Boys (che musicalmente, secondo il mio parere, hanno rappresentato la vetta eclettica più alta, riuscendo ad unire al rap le influenze di maestri della musica rock come i Pink Floyd, o del jazz come Miles Davis), che hanno fondato un rap per "bianchi", che snatura la linfa vitale del genere musicale e lo rende "ossidato". Ma il rap parte da una esperienza reale, un episodio, una condizione riconoscibile che è causa della rabbia che esplode nei testi:
« I bianchi che credevano che [il rap] gli stesse offrendo un'occasione privilegiata di contatto con "l'autenticità" non avevano mai vissuto l'esperienza esotica di farsi spiaccicare in faccia un tocco di merda attraverso il buco nel pavimento dagli inquilini del piano inferiore della loro bella società. » (Stanley Crouch, Do the Race Thing)
Non a caso i Cypress Hill ripetevano nel ritornello di How I Could Just Kill A Man: «Here is something you can’t understand». Ma, come già Wallace aveva notato, nel rap stesso vi è qualcosa di contraddittorio: da genere di ribellione, di protesta contro l'ingiustizia sociale, di critica del potere dei "bianchi" borghesi, una volta incassato il successo, si è trasformato in un genere di ostentazione materialistica: macchine, donne, soldi sono la trinità del rap, che si è mantenuta anche nella sua versione più contemporanea, la trap (basti leggere un testo della Dark Polo Gang o di Sfera Ebbasta). La storia non è cambiata, sono cambiate solo le concentrazioni statistiche del potere. Il fatto che lo 0,02% della popolazione nera abbia avuto un tale successo da potersi permettere macchine lussuose, ville con viste mozzafiato, etc., sembra aver acquietato quella energia, senza chiedersi il senso di quel numero:
« Yeah nigga what, what a surprise
Get ya sumn', make a nigga close both of your eyes
All my niggas gettin' money capitalize
Die little small guy, we on the rise
Everything a nigga touch platinumize! »
« I can fill ya wit' real millionaire shit (I can fill ya)
Escargot, my car go, one sixty, swiftly
Wreck it buy a new one
Your crew run run run, your crew run run
I know you sick of this, name brand nigga wit'
Flows girls say he's sweet like licorice
So get with this nigga, it's easy
Girlfriend here's a pen, call me round ten
Come through, have sex on rugs that's Persian (that's right)
Come up to your job, hit you while you workin' (uh) for certain,
Poppa freakin', not speakin'
Leave that ass leakin, like rapper demo
Tell them hoe, take they clothes off slowly
Hit 'em wit' the force like Obe, dick black like Toby (Obe, Toby)
Watch me roam like Gobe, lucky they don't owe me
Where the safe show me, homey (say what, homey) »
« Dopo il passaggio ad una grande etichetta, i loro brani tendono fin troppo spesso a diventare una celebrazione del neoacquisito benessere e prestigio, dell'accresciuta autorità del loro «Messaggio» - anche se è dura immaginare i Public Enemy che predicano il rinascimento della militanza nera, la rivoluzione e l'apocalisse americana mentre la CBS, bianca come un giglio, li paga milioni di dollari per i diritti a distribuire sul mercato queste stesse esortazioni all'annientamento del sistema capitalistico. » (David Foster Wallace, Il rap spiegato ai bianchi)
Siamo ancora al punto di partenza. Vi sarà anche stata inizialmente una «Parte», ma questa si è poi dissolta in sé stessa e nelle sue contraddizioni, senza mai raggiungere un «Intero». Anche il rap ha fallito. Tocca a noi fare di meglio.
27 giugno 2018
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