Gli ideali estetici sono una delle ossessioni odierne; la cura maniacale del fisico lo dimostra. Tuttavia, andando ad approfondire la questione, scopriamo il carattere effimero della bellezza.
Diamo qui per scontato che un certo senso critico sia cosciente del fatto che nella relazione amorosa ciò che maggiormente conta è la condivisione di valori comuni: ossia, volgarmente, che nell’altro si possa riconoscere una certa "intelligenza". Al mancare di questo rilievo, viene meno la coppia. Così, accolta questa premessa, il criterio che adottiamo nell’accingerci a scegliere un partner si compone in genere di un dualismo che predilige da un lato il senso estetico e dall’altro l’intelligenza.
Se la persona verso cui ci volgiamo soddisfa entrambe le sfere, allora ci interessa. V’è chi a questo aggiunge, portando a fondo la logica della premessa che pone gerarchicamente una qualità prima dell’altra, che l’intelligenza è più importante dell’aspetto; perciò, anche se il fisico è lontano anni luce dalle nostre preferenze abituali, vale la pena scegliere quella persona. Ne risulta infine qualcosa come: "non sei il mio ideale, ma va bene lo stesso perché in te c’è dell’altro". Ora, sebbene in apparenza queste parole siano di una generosità inaudita rispetto alle abitudini grezze dei nostri tempi, in realtà, indagando ancora, sembrano provenire da quel medesimo sottosuolo culturale. Il lato estetico infatti viene a rappresentare la sessualità; e se affermiamo che il nostro partner non ci piace granché fisicamente, e cioè intendiamo implicitamente che preferiremmo avere rapporti avendo di fronte lineamenti e forme diverse, finiremo col creare grosse difficoltà alla relazione stessa. Il cruccio non verrà meno con la prima constatazione della "bruttezza" di quel corpo, né con la consolazione dell’intelligenza.
La soluzione, contrariamente a quanto si possa pensare di primo acchito, non sta nel rivalutare la gerarchia delle sfere, cioè nel rassegnarci a dover continuare a soppesare l’aspetto fisico come fosse un elemento di primaria importanza. E ciò per la semplice ragione che il difetto non alberga in questo o quel fisico, ma nel nostro giudizio malato. Dicevamo che il dualismo che si presenta, ancorché anteponga il lato intellettivo a quello che diciamo estetico, è figlio della cultura sessuale odierna. Vuole esserne un rimedio e un argine, ma ne rimane indissolubilmente legato. Oggi si propinano, sin dall’infanzia, modelli estetici di varia natura, che alle volte sono distantissimi pure tra loro (alle volte c’è l’ideale magro, a volte muscoloso, a volte alto, a volte biondo, ecc.).
La solita critica, di fronte a simili difficoltà, si prodiga nel mostrare quanto alcuni modelli siano frutto di una visione deviata dell’esistenza. Ma qui vogliamo spingerci oltre, e indicare come l’errore di questo aver a cuore dei precisi modelli fisici non consista nei modelli proposti, quando appunto ve ne possono essere di non eccessivi, ma nel fatto che ci si educhi a pensare per modelli estetici. Si abitua a vagliare per il colore dei capelli, la forma del naso, il colore degli occhi, la prestanza di questo e di quel dettaglio fisionomico-muscolare. Non si impone, generalmente, l'obbligo di optare per un modello o per l’altro, ma si conferma come sia legittimo operare una preferenza di tal sorta e farla propria; è normale: "ognuno ha i suoi gusti!". Tuttavia, forse davvero "normale" non è, e lo capiamo dal concreto dell’esperienza quotidiana.
Riflettiamo sulla genesi del "modello". Abbiamo cominciato a maturarlo nella prima adolescenza, quando questo o quel cantante, attore, sportivo, etc. che ci sembrava fantastico nel corpo e nella mente, ha attirato la nostra attenzione. Allora l’ideale fisico era quello che a lui somigliava. D’altronde, però, anche durante l’infanzia abbiamo contribuito inconsciamente alla formazione dell'ideale con dei lineamenti a noi familiari, o quelli che abbiamo associato, in qualche piccolo episodio, a gentilezza e valore. Questo inconscio lavorìo si evidenzia col fatto che se anche alla nostra amica (o al nostro amico) piaceva lo stesso cantante, l'ideale, suo e nostro, non riusciva mai a combaciare appieno. Ma il mutamento della preferenza non si è arrestato qui, e il nostro "ideale" ha assorbito ogni influenza possibile: abbiamo avuto qualche relazione; frequentato città differenti i cui abitanti sono definiti da differente fisionomia; fatto nuove amicizie; etc. Infine, crescendo, abbiamo scoperto che anche chi ad un primo sguardo ci sembrava bruttino, a conoscerlo meglio magicamente nel volto abbellisce; o chi, al contrario, inizialmente giudicato bellissimo, una volta conosciutane la pochezza dell’anima va in questo modo inaspettatamente a svilire il suo stesso aspetto fisico. A quel punto, il modello che adoravamo da piccoli è praticamente svanito. Ne è rimasta qualche traccia, che si somma a mille altri lineamenti e volti e fisici che da allora ci siamo abituati a vedere, e che peraltro rappresentano l’incarnazione dei valori più disparati. Qual è, dunque, il fondamento della preferenza sulla bellezza fisica? Non c’è.
Prendendo atto di queste osservazioni, non può che venire meno quell'ossessione comune che investe il lato estetico degli individui. Ci si accorge che non v’è criterio sensato che ci faccia accogliere a ragione le lentiggini invece di una carnagione più scura, e che queste preferenze, coltivate oggigiorno in maniera compulsiva, varieranno in base alle persone e alle circostanze con cui in futuro avremo a che fare. Insomma, una volta lavorato su questo aspetto della nostra vita, ci accorgiamo che non esistono preferenze fisiche: che ci piace questo e pure quello, più magro e più muscoloso e più alto, ma anche più basso, magari più grosso e con meno capelli, o con i capelli neri e pure biondi, e magari nemmeno i capelli grigi sono poi così male. Non c’è una persona che sia realmente brutta (qui va poi fatta una precisazione) e tutte potrebbero, stando unicamente all’aspetto, piacerci. Ma non piacerci nonostante l’ideale nostro sia altro da quello che la persona in questione incarna, ma piacerci perché il suo è proprio il nostro ideale. Allora il proprio partner non piace anche se si preferiva un altro fisico, ma piace perché anche nel fisico è l’ideale.
Chi dicesse che frequenta qualcuno anche se proprio molto bello non è, sarebbe ancora impantanato nell’astrazione dei modelli estetici. Non ne è uscito perché non si è accorto della sciocchezza della sua affermazione: porta avanti una posizione che non è minimamente aderente alla realtà della sua esperienza, della sua vita, e si sforza di tenerla ferma, cadendo così in contraddizioni e sofferenza.
Qual era la puntualizzazione necessaria a cui si accennava? Che sì, esistono persone brutte realmente, ma non per quello che si è soliti pensare. Persone brutte sono quelle il cui fisico esprime valori cattivi, sia da un punto di vista, diciamo così, morale, sia da quello estetico. Una persona che compie un brutto gesto non ci piacerà per nulla, e nemmeno riusciremo a immaginare di avere una relazione con lei sino a che non mostra di poter cambiare; allo stesso modo, una persona maleducata nel fisico – ovvero che fa male al suo stesso organismo con le sue abitudini alimentari e/o sportive (in difetto e in eccesso) – non ci attirerà affatto. Quindi, in ultimo, la bruttezza non risiede in questo o quel lineamento, in questa o quella genetica, ma interamente nella sua educazione, nel suo valore: nella sua intelligenza! Vediamo allora che l’intelligenza non è solo la porzione più influente di un binomio ineludibile, ma comprende tutto ciò che si può dire sull’estetica.
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