L'ignoranza è ciò da cui dobbiamo scappare, è da lì che si genera il male. E la critica alle nostre azioni è fondamentale per poter ottenere, un passo alla volta, il miglioramento di noi stessi: pensare permette di non estraniarsi da sé, di vedersi parte di un tutto e di non dominare sugli altri.
Feuerbach, in Essenza del cristianesimo, cerca di comprendere il concetto di umanità intendendolo come l'essenza più propria di ogni singolo essere umano, il fondamento di ciascuno. Egli accusa l'uomo di alienare se stesso, di estraniare il suo più proprio essere fuori di sé e per questo di non comprendersi a fondo. Da tale affermazione questa riflessione vuole partire (affermazione che è solo una parte del ragionamento dell'autore) per mostrare appunto come il singolo – ancora oggi – continui a non analizzare se stesso, trascurando un aspetto fondamentale della propria esistenza.
Il grande Hegel, dal canto suo, aveva capito che la religione ha racchiusa in sé la sostanza di un popolo, che attraverso la filosofia della religione possiamo conoscerne l'essenza, e che quindi attraverso la filosofia possiamo cercare di conoscere l’intimità dell'uomo.
« La filosofia della religione deve scoprire la necessità logica nel progresso delle determinazioni dell'essenza, conosciuta in quanto assoluto; a quali determinazioni corrisponda dapprima la guisa del culto; come inoltre l'autocoscienza mondana, la coscienza di ciò che sia la suprema determinazione dell'uomo e quindi la natura dell'eticità di un popolo, il principio del suo diritto, della sua libertà reale e della sua costituzione, nonché della sua arte e scienza, corrispondano al principio che costituisce la sostanza di una religione. Che tutti questi momenti della realtà di un popolo costituiscano una totalità sistematica, e un unico spirito li produca ed informi, questa veduta giace a fondamento dell'altra, che la storia delle religioni coincide con la storia del mondo. » (G.W.F. Hegel, Enciclopedia delle scienze filosofiche in compendio)
Se si tentasse di individuare in maniera generale il nostro rapporto, oggi, con la religione, forse si potrebbero trovare tre vie: una imboccata da coloro che, desiderosi di ribellione, vogliono andare contro la tradizione, rifiutandosi di seguire una determinata religione e di praticarne i culti; un'altra è quella di coloro che, invece, sono schiacciati dal peso della tradizione a tal punto che, non riuscendo a risollevarsi e per il terrore di un eventuale senso di colpa, decidono di continuare a “credere”; l'ultima (devastante) seguita da coloro che alla religione che scelgono di praticare sono radicati superficialmente.
Quest'ossimoro serve per sottolineare la contraddizione che si viene a creare: essi sono talmente convinti che ciò che i testi sacri affermano sia il vero che purtroppo non li analizzano o addirittura li imparano a memoria, ripetendo qualcosa di cui non sanno il significato, e così facendo li seguiranno solo alla lettera, senza comprendere ciò che, invece, è racchiuso in profondità.
Dante con la Commedia ci ha insegnato che non esiste solo il senso letterale, ma ce ne sono tanti altri! Se ci fossimo limitati a imparare a memoria i suoi grandi versi o a leggerli senza cercare di comprendere quello che egli ha nascosto al loro interno forse non avremmo potuto capire l'universalità delle sue parole. Come scrive Roberto Benigni in una lettera che gli dedica:
« Sei entrato nella mia vita di corsa, Dante, con un'allegria e una potenza strepitose, come quando ho conosciuto le albicocche! Ecco, per me, Dante, tu fai
parte della natura come le albicocche, il sole, l'erba. E quando mi chiedono se sei moderno, è come se mi chiedessero se è moderna l'erba. Dopo un po' che ti leggevo ho fatto un salto sulla sedia
per davvero. Mi sono accorto che non ero io che leggevo te; eri tu che leggevi me come nessun altro mi aveva mai letto, con parole antiche e commoventi, che hanno attraversato i secoli per
posarsi sulle nostre labbra. M'hai fatto provare quella sensazione tremenda che, come me, nel mondo ci sono solo io, e che però ero uguale a te. E che io e te eravamo uguali a tutti. Ogni cosa
che avevo sempre sentito fin da quando ero nato, tu gli hai dato una forma memorabile. Quanto t'ho voluto bene, Dante! » (R. Benigni, Lettera a Dante Alighieri)
Il problema, allora, non è andare a messa o meno, non è imparare a memoria i passi dei testi sacri, non è nemmeno sforzarsi di seguire il Vangelo o chi per esso: il vero problema è capire ciò che è scritto, ciò che ci è stato tramandato: solo così potremmo sapere se le azioni che compiamo sono buone, solo così potremmo portare avanti il bene e potremmo dare valore alla nostra vita.
L'illustre Ungaretti nella poesia “Accadrà?” si domanda se mai un giorno ci possa essere la pace oppure se invece le ceneri prevarranno sulla terra che viene dilaniata, assassinata ogni giorno. Ogni giorno rinasce e ogni giorno ci dà la possibilità di migliorare, ma noi siamo troppo concentrati a pensare alla nostra esistenza: quando il nostro praticello è sicuro il resto del mondo potrebbe anche crollare! Non ci rendiamo conto che «ci teniamo tutti per mano» e che senza la parola altro la parola io non potrebbe essere. È da secoli che viviamo, nati forse da una scintilla d'amore, ma ci ostiniamo a non comprendere. L'ignoranza è ciò da cui dobbiamo scappare, è da lì che si genera il male. E la critica alle nostre azioni è fondamentale per poter ottenere, un passo alla volta, il miglioramento di noi stessi: pensare permette di non estraniarsi da sé, di vedersi parte d un tutto e di non dominare sugli altri.
Ma allora dialogare silenziosamente con Hegel, Feuerbach, Ungaretti, Dante, a cosa ci porta? Alcuni ritengono a perdere tempo, dal momento che non sono questi filosofi che ci portano la pagnotta a casa: bisogna infatti “stare con i piedi per terra” e non fare voli pindarici con la filosofia, a causa della quale si diventa poveri e basta. Questa purtroppo è un'opinione comune, molto diffusa soprattutto oggi che siamo invasi dalla tecnica, in un tempo in cui “si estranea” il proprio pensiero, nel senso che appunto lo si usa al minimo. Ma cos'è? Abbiamo forse paura di pensare troppo?
Le nostre azioni derivano dal pensiero: criticando il pensiero dunque critichiamo le azioni, e migliorando il pensiero miglioriamo le stesse. È difficile? Molto. Non a caso, ovviamente, Hegel, nella Fenomenologia dello spirito, afferma che la coscienza deve affrontare «il cammino del dubbio e della disperazione» per poter conoscersi; ma se è la felicità della nostra anima a cui tendiamo allora forse è necessario impegnarsi per essere davvero uomini e trovare il nostro posto nel mondo, perché solo allora corpo e spirito potranno essere davvero sazi.
25 giugno 2018
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