Il criticismo kantiano è un sistema filosofico che non risulta essere soltanto un sistema il cui utilizzo sia lecito durante l’Illuminismo come epoca della ragione che muoveva l’uomo, ma può perfettamente essere rapportato al cambiamento dei tempi e dello stato delle cose. Un criticismo che porta verso la verità in maniera soggettiva, un atteggiamento filosofico volto a smontare l’impatto immediato delle cose sul sé.
Nelle caratteristiche intrinseche dello spirito del nostro tempo riecheggiano quelle tipiche della realtà post-moderna. Le crisi di valore che hanno provocato la rottura con i grandi sistemi filosofici, dall’illuminismo al marxismo e all’idealismo, hanno generato un clima globale di scollamento pulsionale dalla ragione. Quest’ultima, base concettuale della morale illuministica, se viene a mancare dal suo ruolo di guida dell’agire umano, alimenta una totale e disarmante mancanza di progettualità funzionale al bene collettivo. Questo aspetto è stato da Kant ben definito attraverso le sue tre opere critiche. Il filosofo tedesco ha analizzato la ragione dal punto di vista della Ragione stessa: ha spiegato come il ritorno dell’uomo conoscitore attivo della realtà costituisce il concetto di “Io penso”, proprio perché su questo passaggio attraverso il reale e attraverso il come esso si presenta di fronte all’individuo, si fonda lo spirito critico. Se per Kant la via dell’Illuminismo, dunque della Ragione, era la via per uscir fuori dallo stato di minorità, in che modo si potrebbe ritornare a pensare oggi, in un clima di necessità e di crisi dei grandi sistemi filosofici, un modo per riattualizzarlo attraverso le sue teorie?
Sono svariate le vie attraverso cui tornare a ri-pensare Kant. In una società dove vige la globalizzazione oggettivante a discapito dell’emergere dell’individuo, ritornare a una posizione critica nei confronti dell’essere non è un’idea ambiziosa. Interrogare il reale, opporre resistenza concettuale al fine di una de-costruzione del senso del vissuto fa emergere l’intelletto del singolo individuo, facendo partire la conoscenza dal soggetto che pensa e critica. Questa è l’intenzionalità di fondo che vede in Kant una sintesi tra gli a priori e gli a posteriori della conoscenza, che presi singolarmente avevano rappresentato l’impianto filosofico, rispettivamente, di razionalisti ed empiristi. Per questo si parla anche con Kant di “rivoluzione copernicana”, perché, come Copernico aveva invertito il rapporto tra sole e terra, Kant lo aveva fatto tra oggetto e soggetto. Non è più quel meccanismo che ci porta a capire come sono fatte le cose in sé stesse, ma si tratta di un ragionamento che ci porta a capire come sono fatte le cose per essere conosciute da noi, cioè come fanno le cose per manifestarsi in noi stimolando i sensi. Dunque, si parla del soggetto che manipola i sensi, stimolati dall’oggetto dato, attraverso le proprie strutture mentali. Con Kant prendiamo coscienza del fatto che all’interno dell’essere noi possediamo delle categorie che ci permettono di interpretare quel sistema di segni (o significati) che sta al di fuori di noi, facendo partire la conoscenza dall’intenzionalità del soggetto.
Questo sistema di pensiero è rapportabile ad ogni epoca o società e tende a far emergere il soggetto inteso come singolo o come una comunità che decide, sceglie e che con il suo intelletto esce fuori da quello stato di minorità intellettuale. È questa l’essenza del concetto di Aufklarung, che vede il soggetto prendere coscienza e pensare con la propria mente senza aver bisogno dell’altro che ci guida nelle nostre scelte. Scelte svariate e di diverso genere che possono identificarsi con un dovere civico o con l’aderire a un nuovo credo. Questa posizione non deve però portare alla demonizzazione dell’altro, anzi sulla scia della presa di coscienza della potenza incarnata nel nostro intelletto de-costruttore del reale oggettivante, bisogna ugualmente cercare il confronto tra posizioni differenti, poiché in questo si innesta quella criticità del pensiero che tra confronti e differenze mantiene illesa la differenza intesa come identità soggettiva.
Nella nostra società, rappresentata da una unidimensionalità economica pervasiva, che antepone al soggetto il mero scopo di lucro in qualsiasi attività umana, sbiadendo nel nulla le pulsioni soggettive dell’uomo, questo ha bisogno di una presa di coscienza al fine di capire che un sistema di tal genere tende a oggettivare lo sviluppo individuale dei soggetti. Dunque, prendendo coscienza di una situazione di crisi su tutti i punti, in questa modernità intrisa di contraddizioni, l’atteggiamento lecito e consono al superamento dialettico di quelle contraddizioni non consiste nel trascendere e negare il presente, ma al contrario si basa nel consapevolizzare le proprie scelte al fine di un’autorealizzazione dell’uomo di fronte a un futuro che si manifesta sotto incerte spoglie.
Il criticismo kantiano, dunque, è un sistema filosofico che non risulta essere soltanto un sistema il cui utilizzo sia lecito durante l’Illuminismo come epoca della ragione che muoveva l’uomo, ma può perfettamente essere rapportato al cambiamento dei tempi e dello stato delle cose. Un criticismo che porta verso la verità in maniera soggettiva, un atteggiamento filosofico volto a smontare l’impatto immediato delle cose sul sé. Esempi come il sistema pervasivo dell’economia che vuole solo lucro; l’etnocentrismo religioso del Medio Oriente e dell’Occidente; la politica che si sintetizza nella solita frase, “stiamo lavorando”, durante le interviste nei vari talk show; dunque, un mondo che ha la necessità di un atteggiamento critico da parte dell’uomo. Un mondo che ha bisogno di ripensare le categorie del pensiero per riproporre un quadro specifico all’interno del quale analizzare il reale. Però, il concetto di “critica” non lo si deve far sfociare nella mera relatività che distrugge ogni senso e significato; per tale motivazione vanno ripensare quelle categorie del pensiero che secondo Kant sono insite nel nostro intelletto. L’atteggiamento critico risponde a determinati concetti, che sono per l’appunto queste categorie kantiane, le quali servono all’uomo per non sfociare in idee strampalate che stravolgono il fine conoscitivo di tale sistema di pensiero. Dunque, il criticismo porta l’uomo verso la verità; esso è un sistema astorico, fuori dal tempo e che sempre troverà modo di attecchire nel ragionamento che l’uomo conduce tramite l’intelletto. Come sistema di pensiero non corrisponde alle logiche temporali che tendono a rendere obsoleto qualcosa. Al di fuori di una visione storicista che vede un fine oggettivo realizzarsi nelle varie società in divenire nel tempo, tale impianto filosofico rimane lo stesso, come succede alla “struttura” in Levi-Strauss o in Merleau-Ponty, applicandosi alle trasformazioni interne del sistema sociale. Dunque sono le cose, gli oggetti dati, a cambiare, ma non cambia la metodologia di interpretazione del reale; quell’impianto critico rimane invariato, adattandosi al mutamento dei tempi.
In un’epoca post-moderna come questa in cui l’individuo è immerso senza trovare punti di riferimento – se non nell’unico modo di rifarsi a un passato che non può rimanifestarsi – ritornare a pensare secondo i dettami della propria mente, trascendendo (o addirittura “negando”) le tendenze omologatrici, potrebbe risultare un modo non soltanto adatto al superamento delle contraddizioni del presente, ma un modo per ritrovare, ricercare, scorgere stimoli per le proprie pulsioni. A cadere sono proprio quelle categorie che permettono l’esistenza di un senso critico. La mancanza di caratterizzare il reale attraverso categorie è un dato culturale del post-moderno, in cui la mancanza di punti di riferimento interpretativi portano ad una mancanza di canoniche categorie per leggere il mondo circostante.
Con un richiamo così diretto al criticismo bisogna armarsi e posizionarsi in maniera trasversale di fronte all’omologazione culturale della morale e dei valori di un sistema sociale. Il richiamo kantiano del pensare con la propria mente significa dare un giudizio soggettivo sulla nostra realtà divisa tra strutture e sovrastrutture; dunque, significa interrogarsi di fronte al processo di organizzazione del soggetto dal di fuori. Un meccanismo subdolo in cui il dogma che sta alla base non è l’uomo che pensa, ma l’uomo che si omologa. L’omologazione è un concetto totalmente differente dall’adattarsi, poiché nell’adattarsi è implicata una volontà di potenza che riporta l’uomo a comprendere uno stato di cose e sopravvivere di fronte alle avversità. Dunque, nell’omologazione scompare il soggetto, diventando oggetto di un male collettivo mascherato e pubblicizzato come bene. È nell’autoriconoscimento del sé che il soggetto ritorna a quella libertà intellettuale che gli permette di praticare la libertà di fronte alla scelta della tipologia di vita da condurre. Fuoriuscendo dalle logiche di un potere che manipola il sapere e i discorsi che ne legittimano l’ontologia, l’uomo potrebbe (se ne prendesse coscienza) respingere l’invadenza di un sistema strutturato secondo l’intenzionalità di circoscrivere le sue aspettative.
Ovviamente oggi, ancor di più viene enfatizzata la tesi sviluppata da Michel Foucault riguardo all’Illuminismo e Kant, secondo cui non si sa se il lavoro critico implichi ancora la fede nell’Illuminismo , ma ugualmente, questo lavoro intende evidenziare le possibilità del conoscere umano e dunque intende spingere il soggetto verso una constatazione del vissuto e del reale principalmente attraverso il sé.
9 giugno 2018