Elogio del dialogo

 

Che cosa c'è, quando la mente è stanca e abbattuta, e quasi disgustata dalla lunga e assidua occupazione, che meglio la rinfreschi e rinnovi, dei discorsi scambiati in comune, mentre la gloria, se si superano gli altri, o la vergogna, se si è superati, spingono con maggior vigore a studiare e a imparare?

 

di Leonardo Bruni 

 

Raffaello Sanzio, "Scuola di Atene", 1509-1511
Raffaello Sanzio, "Scuola di Atene", 1509-1511

 

Si celebravano le feste per la resurrezione di Gesù Cristo, e trovandomi io insieme con Niccolò per la grande consuetudine che ci unisce, decidemmo di andare da Coluccio Salutati, senza dubbio l'uomo più eminente del tempo nostro per sapere, per eloquenza, e per dirittura morale. Avevamo fatto pochi passi, ed ecco che ci si fa incontro Roberto Rossi, uomo dedito agli studi liberali ed a noi familiare. Avendoci chiesto dove andassimo, e udito e approvato il nostro proposito, venne anch'egli da Coluccio.

 

Come vi fummo giunti, egli ci accolse con affettuosa dimestichezza, ci fece sedere, e scambiammo le frasi d'uso quando gli amici si incontrano; quindi stemmo tutti in silenzio. Noi infatti aspettavamo che Coluccio desse inizio a un qualche discorso, ed egli pensava che noi non fossimo andati da lui senza ragione, o senza il proposito di discutere qualcosa. Ma poichè il silenzio si prolungava un po' troppo, resultando chiaro che noi, che eravamo andati da lui non avremmo detto nulla, volgendosi verso di noi con quell'atteggiamento che prende quando sta per esprimersi con più impegno, vedendo la nostra attenzione così cominciò:

 

Coluccio Salutati
Coluccio Salutati

« Non posso dire, miei giovani amici, quanto piacere mi faccia incontrarvi e stare con voi, che per le abitudini, per gli studi comuni, per la vostra devozione per me, prediligo di particolare affetto. In un solo punto, ma importantissimo, io tuttavia meno vi approvo: infatti, mentre in tutte le altre cose che riguardano i vostri studi io noto che voi ponete tutta quella cura e quell'attenzione, che si convengono a quanti vogliono esser detti accurati e diligenti, vedo che una cosa invece trascurate senza preoccuparvene abbastanza per il vostro profitto; e questa è l'abitudine e la consuetudine della discussione, di cui non so se vi possa esser qualcosa di più proficuo per i vostri studi.

 

Che cosa può esservi infatti, in nome degli dèi immortali, di più ragionevole, per afferrare a pieno sottili verità, della discussione, quando sembra che più occhi osservino da ogni parte l'argomento posto in mezzo, in modo che nulla ne resti che possa sfuggire, o rimaner nascosto, o ingannare lo sguardo di tutti? Che cosa c'è, quando la mente è stanca e abbattuta, e quasi disgustata dalla lunga e assidua occupazione, che meglio la rinfreschi e rinnovi, dei discorsi scambiati in comune, mentre la gloria, se si superano gli altri, o la vergogna, se si è superati, spingono con maggior vigore a studiare e a imparare? Che cosa può esservi di più adatto ad aguzzar l'ingengno, a renderlo abile e sottile, della discussione, quando è necessario in un istante ad applicarsi alla questione, riflettere, esaminare i termini, raccogliere, concludere?

 

Onde facilmente si comprende come lo spirito, eccitato da tale esercizio, sia reso più rapido a discernere ogni altro argomento. E non c'è bisogno di dire quanto tutto ciò raffini il nostro dire, e ci renda pronti e padroni del discorso; voi stessi potete vedere come molti che si professano letterati e leggono libri, non avendo praticato tal genere di esercizio, non possono parlare latino che con i loro libri.

 

Perciò io che mi preoccupo del vostro bene, e desidero vedervi profittare al massimo dei vostri studi, non a torto mi sdegno con voi perchè trascurate questa consuetudine del discutere, da cui derivano tanti vantaggi. Ed è assurdo parlare seco stessi e molte questioni esaminare tra quattro pareti e in solitudine, e poi nelle radunanze degli uomini tacere come se nulla si sappia; e cercare con gran fatica quel che è di limitata utilità, trascurando poi a cuor leggero cose da cui derivano moltissimi benefici. A quel modo infatti conviene biasimare l'agricoltore il quale, potendo coltivare tutta la sua terra, va arando sterili dirupi e lascia incolta la parte più pingue e più fertile del campo, così bisogna rimproverare chi, pur potendo compiere tutti gli studi, si impegna con la massima cura nei più tenui, e diprezza e trascura l'esercizio della discussione, da cui possono cogliersi tanti e così splendidi frutti.

 

Antonello da Messina, "San Girolamo nello studio", 1474-1475
Antonello da Messina, "San Girolamo nello studio", 1474-1475

 

Mi ricordo che ancor giovanetto, in Bologna, dove studiavo grammatica, avevo l'abitudine ogni giorno di non lasciar momento in cui non discutessi, ora sfidando i compagni, ora chiedendo ai maestri. Né quel che facevo da giovanetto ho mai tralasciato anche in seguito, col passare degli anni; in nessun momento della mia vita nulla mi fu più gradito, nulla ho cercato di più che l'incontrarmi, quando era possibile, con uomini dotti, ed esporre loro quel che avevo letto e meditato, e su cui avevo dei dubbi, per sentire la loro opinione in proposito. »

 

13 luglio 2018 (estratto dai Dialogi ad Petrum Paolum Histrum di Leonardo Bruni)

 




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