Si ha ragione quando si sa di averla, e cioè quando si sanno le proprie ragioni, perché è appunto sapendole che si può mostrare l'insostenibilità delle affermazioni contrarie.
Al di fuori del filosofare, l'affermazione non sa escludere la negazione e questa non sa escludere quella. Poiché d'altronde l'urgenza della vita o della prassi esige la decisione, ossia la scelta di uno dei due lati, la scelta ha alla sua base la semplice volizione di uno dei due, determinata dalla sua maggiore «convenienza» (e si assuma questo termine nel suo significato più ampio). La volontà è il risolvimento pratico dell'aporia, o l'infondatezza è tolta praticamente, nel senso che la fondazione di uno dei due lati è data appunto dal fatto che uno dei due è scelto per la sua maggiore convenienza. Gli accordi realizzati dal prefilosofico sono quindi dovuti alla «buona volontà»; che è «buona» soltanto perché è volontà di andare d'accordo. Voler andare d'accordo significa decidere o scegliere in modo tale, che si realizzi ciò che è «conveniente» per tutti coloro che così scelgono. Certo che quando per qualcuno la scelta non è più conveniente, o quando sopraggiungono altri per i quali la scelta non è mai stata conveniente, l'accordo rivela tutta la sua gratuità, onde è del tutto indifferente scegliere l'affermazione o la negazione (e tanto l'una che l'altra trovano coloro per i quali l'una o l'altra rappresentano il conveniente). La crisi di significati di cui soffre il mondo contemporaneo non meno e non più di ogni altra epoca storica, sono crisi della buona volontà; ma insieme, ciò che più conta, sono la naturale conseguenza dell'oblio della filosofia.
[…] da un lato, un gruppo di asserti, che sono tenuti fermi dalla coscienza prefilosofica, è originariamente conservato come fondato, anche per la coscienza filosofica; e dall'altro, che un altro gruppo di asserti della coscienza prefilosofica o sono posti come contraddizioni, o sono lasciati valere come possibilità di fondatezza.
[…] Questa conservazione degli asserti della coscienza prefilosofica è l'atto stesso della loro fondazione o significazione originaria. Da questo punto di vista, poiché un asserto, che viene considerato al di fuori della sua relazione al fondamento, è essenzialmente diverso da ciò che si dice che è il «medesimo» asserto, «ma» assunto in quella relazione – onde il processo di verificazione o fondazione è lo stesso processo di significazione del verificato –, da questo punto di vista è invece necessario dire che non c'è nulla del sapere prefilosofico, che venga «conservato» nel sapere filosofico; o ciò che in questo viene conservato è soltanto l'astratta materia di quello. Non si può dunque dire che la filosofia accerta che qualche volta il buon senso, o il senso comune «ha ragione»: non lo si può dire, proprio perché il prefilosofico non si sa tener fermo e cioè non ha ragioni. Le «ragioni» gliele conferisce tutte la filosofia; ma poiché quello, come tale, non le riceve, non le fa sue – che se ciò facesse esso non varrebbe più come il prefilosofico, ma come lo stesso filosofare –, è soltanto e propriamente la filosofia che ha «ragione». E cioè si ha ragione quando si sa di averla, e cioè quando si sanno le proprie ragioni, perché è appunto sapendole che si può mostrare l'insostenibilità delle affermazioni contrarie.
[…] Essere nella verità (nel fondamento), esserlo cioè semplicemente, significa quindi non essere nella verità. Poiché essere in questa – esserlo in modo che, insieme, non si sia un non esserlo – significa possederla, saperla, comprenderla. (Mentre, al contrario, nell'errore si può soltanto essere, ché quando l'errore è saputo, se ne è già fuori, nella verità).
18 gennaio 2019 (passo tratto da La struttura originaria)
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