La situazione diventa tanto più paradossale di fronte al sempre più marcato divario tra il vero ricco, il grande imprenditore di multinazionali, il politico – tanto per fare degli esempi – e tutti gli altri. Una situazione che ricorda gli anni d’oro della classe sociale aristocratica, contrapposta al popolo e alla piccola borghesia.
Siamo ormai lontani dagli anni in cui la società proseguiva il suo percorso verso quella che negli anni ‘60 era considerata la cultura consumistica. Un autore che seguendo la strada di Marx cercava di capire questa trasformazione è Theodor Adorno, filosofo e sociologo tedesco, esponente di spicco della Scuola di Francoforte.
La critica alla società comincia con la constatazione del tramonto del mondo borghese-liberale e la nascita della società di massa, caratterizzata dalla monopolizzazione della produzione e dal consenso di massa ottenuto grazie ai nuovi mezzi di comunicazione, come il cinema, la radio e la pubblicità, i quali influenzano la mentalità della collettività. L’impianto marxiano della sua teoria si svilupperà presto in modo autonomo. Adorno individua nella teoria marxiana una falla: il modello a cui Marx fa riferimento è quello del capitalismo liberale e concorrenziale, ma la società reale non ha mai funzionato su questo modello. È subentrato il monopolio, lo sviluppo tecnico accelerato e il dominio imperiale sulle risorse mondiali, consentendo alle classi dominanti di elevare il tenore di vita dei lavoratori, previsione che non era stata calcolata da Marx. All’innalzamento del tenore di vita e della quota di acquisto dei beni di consumo dei lavoratori corrisponde un abbassamento della potenza e rilevanza sociale di essi. I lavoratori sono sì sfruttati ma anche gratificati dai beni consumistici. Questa condizione inibisce il formarsi di una coscienza critica. Anzi, l’avvento della società dei consumi ha favorito la percezione di una società senza classi, sviluppando un processo di livellamento: le differenze sono meno visibili; tutti possono raggiungere un certo tenore di vita; tutti si dilettano al cinema, una forma artistica più “democratica” nel senso benjaminiano.
Il consumo diventa una fonte di gratificazione. L’oggetto diventa un mezzo per accrescere il culto feticista della personalità e il suo valore dipende solamente dal valore di acquisto e dalla capacità di accrescere l’ego. Il consumo fornisce agli individui valori e senso.
Le considerazioni di Adorno, per quanto attuali, ci permettono di cogliere la somiglianza, ma anche la grande differenza che intercorre tra la società del consumismo degli esordi e del successivo boom economico, dalla società odierna.
In passato infatti la diffusione del consumo di massa ha portato ad un’accettazione comune, in nome di una vita più comoda e più libera e di una maggiore democratizzazione del benessere – mi riferisco al livellamento espresso da Adorno – grazie alla quale scompariva la rigidità delle classi sociali del passato. Anche laddove una persona era più benestante di un altro vi era lo stimolo, dato dalla possibilità, di poterlo raggiungere.
Diversa è la situazione odierna, caratterizzata da una fase calante dello sviluppo economico, una crisi che ha investito non solo tale aspetto ma anche quello esistenziale e sociale. Il consumismo sta regredendo, perché è diminuito il potere di acquisto della classe media. La positività che in esso si poteva trovare, cioè la garanzia di un futuro migliore e la possibilità di accrescere la propria fortuna grazie alle proprie capacità, non esiste più. Il giovane di oggi vorrebbe aumentare la propria possibilità di riuscita, ma si vede bloccato dal sistema. Se in passato ad esempio lo studio era garanzia di lavoro, anche maggiormente retribuito, oggi un ingegnere avrà sicuramente uno stipendio mediamente più alto di un operaio, ma entrambi si trovano sullo stesso livello sociale ed economico. Ancora più emblematica è la situazione degli studenti di materie umanistiche. Uno studente di filosofia, per riprendere un esempio del filosofo contemporaneo Galimberti, prima sapeva di poter diventare professore, oggi non ha nemmeno più la forza di aspirare a ciò. Forse oggi, più che di un livellamento, si può parlare di “appiattimento” della condizione.
La situazione diventa tanto più paradossale quando a questo “appiattimento” si coniuga un sempre più marcato divario tra il vero ricco, il grande imprenditore di multinazionali, il politico – tanto per fare degli esempi – e tutti gli altri. Una situazione che ricorda gli anni d’oro della classe sociale aristocratica, contrapposta al popolo e alla piccola borghesia. Il sistema sociale rischia perciò di diventare chiuso: gli sforzi per “crescere”, se nell’epoca di Adorno procuravano una potenzialità effettiva, oggi, spesso, risultano vani. Guardiamo ad esempio a quanti laureati faticano per trovare un posto solido e non soggetto al precariato, o al loro ritardo nell’avere una effettiva indipendenza e autonomia.
Il consumismo fin dalle origini ci ha portati alla ricerca esasperata di “cose”, creata da tecniche pubblicitarie tali da far apparire necessari beni superflui. Oggi siamo arrivati all’esasperazione di ciò. Non ci accontentiamo più di avere un telefono funzionale, ma vogliamo l’ultimo modello, modello che casualmente esce “a puntate” con modifiche talvolta minime ma presentate come rivoluzionarie. Un controsenso se si pensa alla crisi ma che in realtà ne rappresenta l’emblema: il sistema di pagamento è rateizzato.
Il rischio di chi non soggiace al consumismo è quello di diventare dei reietti sociali e addirittura quello che, chi non ha o chi non appare, sembra persino “non essere”. L’essere è sempre più minacciato, basta riflettere sul gergo aziendale quando sostituisce la parola “persona” con quella di “risorsa umana”, riducendola a essere inanimato, da cui attingere a proprio piacimento.
Il consumismo di Adorno era avvalorato da una effettiva capacità di acquisto, oggi ridotta e lo status sociale esisteva ma era mobile.
Al contrario, la società di oggi è formata solo da due condizioni: quella delle élite e quella della classe media, nelle quali i membri dell’una difficilmente riescono a sconfinare nell’altra. Prendendo in esame la sola classe media (che comprende la maggior parte della popolazione) possiamo notare come in essa gli individui siano, non potenzialmente, ma effettivamente uguali, e nessuno potrà mai sperare di avanzare ed entrare in quella elitaria. Proprio questo divario ha prodotto una massificazione di modelli di vita “altolocati”. È ciò che vediamo tutti i giorni sui social network, nei quali dilaga la volontà di mostrare uno stile di vita raffinato, in cui tutti siamo esteti alla ricerca di godimenti eletti e sofisticati. I social network ci permettono di colmare il vuoto lasciato da questa diminuzione di potere d’acquisto e quindi di consumismo, dovuto alla fine del boom economico. In essi la massa si crogiola in questa parvenza, dimostrando a sé e agli altri l’eccezionalità della propria vita. L’esaltazione dell’io si esprime tramite mezzi di massa, utilizzando un’estetica di massa.
Facebook e Instagram hanno perciò permesso a milioni di persone di “mostrare”, in una società dove l’avere è sempre più minacciato. Il consumismo sembra essere irrimediabilmente cambiato, aiutato in ciò anche dai social: se prima il consumismo era fonte di un certo progresso, oggi forse è solo ridotto al “mostrare”. Se prima esso aveva portato alla sostituzione dell’“essere” con l’“avere”, oggi l’avere sembra lasciare spazio al mero “mostrare”.
23 luglio 2018
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