L'Occidente ad oggi rappresenta la porzione geografica che primeggia in tecnologia, economia e politica; nonostante questo la paura per la morte rimane un problema insito nelle moderne culture postindustriali, diversamente da paesi che, nonostante la scarsità di mezzi e di ricchezze, sono riusciti a conciliarsi con uno degli interrogativi più antichi dell'uomo.
« La più antica e potente emozione umana è la paura, e la paura più antica e potente è la paura dell'ignoto » (H. P. Lovecraft, Supernatural Horror in Literature)
Legge intrinseca della natura, fardello inscrollabile, enigma senza tempo, temuta, divinizzata, giusta e ingiusta, certezza dolorosa o sublime liberazione: la morte è da sempre uno dei più grandi interrogativi esistenziali. L' essere umano ha tentato di cimentarsi nella sua comprensione attraverso svariati campi del sapere come la biologia, la chimica, la filosofia, sino a giungere all'arte e alla letteratura. Ma una risposta definitiva e facilmente comunicabile sulla natura e sul senso della morte non è mai stata trovata.
La morte sembra sfuggire alla comprensione delle umane strutture conoscitive: persino il rodato metodo scientifico, attraverso il quale l'uomo sottopone i fenomeni ad un' accurata comprovazione logica, risulta evidentemente limitato; vengono a mancare infatti la dimensione della sperimentazione e dell'esperienza diretta, elementi senza i quali risulta inattuabile il metodo stesso. La natura della morte pare quindi vada oltre a qualsiasi possibilità di cognizione umana.
Si sa, ciò che agli occhi, e alla mente, dell'essere umano risulta incomprensibile genera timore e reverenza; la morte rievoca in noi paure ancestrali ma ben diverse dalla paura del fuoco: la morte infatti, oltre ad essere inconoscibile, è semplicemente indomabile. Non solo: ciò che spaventa maggiorente è il fatto che la morte coincida con la fine della parabola della vita; ci si domanda quindi cosa possa esserci oltre alla cessazione delle normali attività vitali e il concetto di morte non viene limitato al solo instante in cui si spira, ma esteso a tutto quello che di probabile possa esserci dopo la vita.
L' esistenza – nella quale ogni nostra singola cellula vive, ogni molecola del nostro corpo vibra e muta in accordo con il mondo esterno, dove ogni attimo è riempito dal flusso inarrestabile delle nostre produzioni mentali –, sembra incompatibile con una condizione di assoluto nulla. Immersi nella dinamicità degli eventi, pare impossibile immaginare una condizione opposta alla vita.
La moderna società postindustriale occidentale è il luogo dove la paura della morte sembra abbia affondato i suoi artigli. Nell'Occidente tecnologicamente avanzato, la morte è un tabù: il solo parlarne crea scandalo, imbarazzo, ribrezzo. Si vuole tenere la morte lontana anche solo con le parole, figurarsi l'entrare in diretto contatto con una sua manifestazione. A testimoniare questa tendenza basti pensare agli innumerevoli riti scaramantici e alle superstizioni che permeano la nostra società, e che dai villaggi rurali si sono insinuati nelle grandi metropoli.
La genesi dell'attitudine all'avversione per la morte comincia sin da piccoli: ai bambini non la si menziona mai, perché pare diseducativo e di cattivo gusto, tutt'al più si mente loro sulla morte; comunemente si lascia che l'individuo, con l'avvento dell'età adulta, maturi una visione personale della questione sulla base dei riscontri con la realtà, ma il mancato supporto nell'elaborazione di un concetto come la morte non fa altro che determinare una presa di posizione negativa nei confronti di essa da parte dell'individuo, che rimane arroccato su convinzioni dettate dall'istinto e dalle suggestioni.
Il risultato di questo processo educativo conduce alla generale paura della morte che si cristallizza come vero e proprio fattore culturale.
Questo timore mai fu così percepito nella storia occidentale come oggi; a riprova di ciò basti pensare alle filosofie che si sono alternate nel corso del tempo, che non trovavano certo una soluzione all'enigma della morte, ma che ne esaltavano l'accettazione, come ad esempio la filosofia epicurea.
Se il passato accettava serenamente la morte o quantomeno non ignorava la sua esistenza, il presente, come sottolineato, la nasconde e la teme.
Una causa di questo atteggiamento può essere ricercata nel progresso della scienza medica. La moderna medicina è stata in grado di debellare innumerevoli malattie che avevano straziato l'umanità nei secoli passati, e ancora oggi la sua ricerca continua. Di per sé non vi è nulla di male in ciò, anzi i risultati ottenuti dalla medicina sono ampiamente condivisibili; il problema è il meccanismo che inconsapevolmente si è inculcato col tempo nella mente delle persone. Malattie una volta letali ora si curano con una manciata di pastiglie e la morte appare come un evento lontano nello spazio e nel tempo che non ci riguarda e al quale conviene poco pensare. La medicina ha contribuito ad allontanarci progressivamente dal contatto e dalla presenza della morte.
In questo processo gioca un ruolo importante anche la progressione scientifica generale e l'evoluzione della tecnica che hanno cambiato il nostro modo di vivere e i nostri stili di vita, distraendoci anche dall'eventualità della morte, la cui incidenza nei paesi industrializzati si è abbassata anche per via di tecnologie, strumentazioni e controlli che tentano di evitarla nei più disparati ambiti sociali. Le migliorate condizioni generali di vita, il senso di sicurezza, l'intervento tempestivo di specialisti pronti a prendersi cura di noi in tempi brevi e l'estensione della vita media ci proiettano verso un utopico e disperato slancio di contrasto nei confronti della morte. I nostri corpi medicalizzati sembrano negare il deperimento naturale cui vanno incontro e si sogna l'immortalità, della quale diversi studi si stanno già occupando. Inseriti un contesto sociale che ci spinge al godimento sfrenato di beni di consumo, non c'è spazio per la negatività della morte.
Tutto ciò evidenzia una marcata ambivalenza nella moderna società occidentale: risulta quasi assurdo notare come un'evoluzione e un progresso scientifico come quelli che ci caratterizzano abbia creato una società che ancora non riesca a cogliere e ad accettare le leggi basilari della natura e anzi le teme.
D'altra parte, la psicoanalisi ha dato più volte dimostrazione di come i più gravi disturbi psicologici e le ansie derivino dalle verità che non vogliamo accettare o ammettere a noi stessi.
Diventa interessante a questo punto effettuare un paragone con il piccolo stato del Bhutan. Si tratta di uno degli stati più poveri del pianeta, ma sorprendentemente a questo dato, è anche uno degli stati più felici al mondo e il più felice di tutta l' Asia. Un' equipe di psicologi dell'università del Kentucky si recò nel 2007 in Bhutan, carpendo il segreto della felicità direttamente dai suoi abitanti: pensare alla morte almeno cinque volte al giorno. Perché in Bhutan la morte è sempre dietro l'angolo: si può morire di malattia o per aver ingerito un fungo velenoso, si può morire sbranati da un animale selvatico oppure a causa di un incidente stradale lungo le strette e pericolose strade del paese. La differenza con l' Occidente sta nel fatto che il Bhutan non ha perso il contatto con la morte, tantomeno ci tiene a nasconderla quando è palese agli occhi di tutti.
I Bhutanesi imparano sin da bambini ad accettare la morte come parte integrante della vita stessa, che merita di essere rispettata e tenuta in considerazione, e tramutano la paura per essa in uno slancio vitale.
L'Occidente necessita quindi di una sorta di rieducazione alla morte, che conduca ad una totale accettazione di essa, nonché al germogliare di un profondo senso di rispetto nei suoi confronti. Pare che in tal senso a beneficiare di questa condizione siano i popoli e le società tecnologicamente più arretrate, che nella loro ignoranza tecnologica non hanno dovuto affrontare le conseguenze della speranza nel superamento della morte. Con ciò non si vuole certo minimizzare il progresso tecnico e scientifico che ci permette una vita agiata e dignitosa, ma si vuole evitare un allontanamento eccessivo da un'eventualità che nella sua normale naturalezza viene ora ricacciata e rifiutata con terrore. Così come accettiamo la natura del nascere dovremmo accettare la natura del morire. Lo stesso Friedrich Nietzsche, a suo tempo, notava come l'amor fati, ovvero la tendenza ad accettare coraggiosamente il proprio destino e quindi anche la morte, fosse un elemento imprescindibile per passare dallo stato di uomo a quello di oltreuomo.
13 maggio 2018