I confini della nostra famiglia

 

Visioni che sembrano utopiche e molto di là da venire possono a volte dare un respiro e una prospettiva capaci di modificare da subito la nostra realtà più prossima.

 

di Giulia Contin

 

 

Si costruiscono case in cui abitare, relazioni in cui poter trovare protezione, amicizie che scaldano il cuore. Nel mondo di oggi è, però, preferito il verbo distruggere, perché più facile, più veloce; questo rivela il nostro problema con il volere sempre “tutto e subito”, impazienti e incapaci di goderci la bellezza dell’attesa, di imparare ad amare lentamente. Basti pensare ai boschi che in pochi anni sono diminuiti di una dimensione pari a tre volte la superficie dell’Italia: perché per far crescere degli alberi, bisogna essere armati di pazienza e amore, essere capaci di aspettare in silenzio e guardarli diventar grandi lentamente; mentre per abbatterli basta solo essere armati di una motosega, e guardarli cadere velocemente con il caos che fa da sottofondo. Pensiamo poi a tutto ciò che facciamo giornalmente per distruggere quel che di buono è rimasto al mondo. Perché per distruggere l’anima di una persona basta un insulto, per distruggere la società basta il razzismo, per distruggere il genere umano basta la violenza; tutto ciò è materiale di cui sentiamo parlare tutti i giorni e non c’è da preoccuparsi solamente quando a fine anno si ottiene un’alta percentuale o un numero preciso di persone che hanno subito tale brutalità, ma dovremo farlo anche quando si parlerà di un solo caso annuale, perché quando accadrà falliremo tutti assieme. Avremo fallito nell’educazione che ogni persona dovrebbe avere, nella bontà verso il prossimo che dovrebbe riempirci di gioia ogni giorno, nel non aver aiutato quella persona quando ne aveva bisogno. Falliremo in tanti modi, tutti dipendenti tra loro, perché costruendo relazioni, costruiremo voglia di aiutare e ci educheremo l’uno con l’altro, pronti ad affrontare la vita nel migliore dei modi.

 

 

Non è forse significativo che la proposta della “società ideale” descritta da Platone nella Repubblica – che vorrebbe tutte le donne mogli di nessuno ma amanti di tutti e i figli come figli di tutti – sia stata per lo più intesa come una comunione materiale e non piuttosto il principio direttivo per pensare a tutte le donne come se fossero nostre madri, nostre sorelle, nostre amanti e a tutti i bambini come se fossero nostri figli? Così saremmo più attenti alle parole che ci lasciamo sfuggire di bocca, ci sarebbe senso di protezione, ci sarebbe amore, tanto amore, e zero odio. Perché delle madri, delle sorelle, degli amanti e dei figli, si amano anche i difetti, si accetta ogni lato del carattere, si è attenti ad ogni più piccolo dettaglio: per un loro miglioramento magari, ma con la comprensione che soccorre e che non si limita a condannare. Se fossimo tutti fratelli smetterebbe di esistere l’odio e crescerebbe la voglia di sapere l’altra persona felice, ponendo che il suo bene è anche il nostro, che ciò che farà felice lui, farà felice anche noi stessi. Perché è così che si fa tra fratelli, o con la propria mamma, con il proprio amante, con il proprio figlio. Immaginare di essere una vera grande famiglia, renderebbe possibile il preoccuparsi degli altri in modo naturale, del volere la pace per i propri ‘familiari’ e quindi ridurrebbe a dismisura la corruzione, la violenza, la crudeltà.

 

La scuola di Hatton Garden: Mazzini in esilio insegna ai bambini poveri di Londra
La scuola di Hatton Garden: Mazzini in esilio insegna ai bambini poveri di Londra

 

Come scrive Giuseppe Mazzini ne I doveri dell’uomo:

 

« Poco importa che adoriate nell’anima vostra la verità: se l’errore governa i vostri fratelli in un altro angolo di questa terra che ci è madre comune, e voi non desiderate e non tentate, per quanto le vostre forze lo concedono, rovesciarlo, tradite i vostri doveri. »

 

Se l’umanità fosse allora una vera famiglia, mi preoccuperei di te, anche se io mi trovassi in Italia e tu in Nuova Zelanda.

 

15 aprile 2018

 




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