Sbrigativamente, per scarsa attitudine e comprensione filosofica, ci facciamo prendere dalla mania della separazione: cuore e mente, sensi e ragione, particolare e universale. Crediamo di procedere spediti, ma ignoriamo che la destinazione non potrà che essere il nulla della contraddizione.
di Alice Polerà
La saggista statunitense Marilyn vos Savant scrive: «Se la testa vi dice una cosa e il cuore ve ne dice un’altra, prima di agire dovreste decidere se intendete avere più cervello o più cuore».
Molto spesso capita di leggere citazioni di personaggi più o meno celebri, trovandosi poi a riflettere sulla propria vita e quindi anche su quella, in generale, dell’essere umano.
Dalla citazione sopra riportata, si può desumere che nell’agire di un uomo c’è una lotta continua di fronte ad ogni decisione. Bisogna quindi optare per quanto dice la testa, cioè utilizzando la ragione, oppure seguire il cuore e quindi i nostri sensi, i sentimenti? In realtà la soluzione al rompicapo è molto semplice, anche se sembra essere diversa da persona a persona.
Lo stesso Aristotele suddivideva l’anima in tre parti: vegetativa, sensitiva e intellettiva. L’anima vegetativa che governa le attività biologiche; l’anima sensitiva, tipica degli animali, che comprende le sensazioni. Infine, l’anima intellettiva, di cui soltanto l’essere umano può goderne perché dotato della ragione. Ponendo la propria attenzione sull’etimologia dei termini “ragione” e “senso” si può notare che il primo deriva dal latino rationem, “calcolo, conto, misura”, mentre il secondo da sensus, “percezione”.
Per capire il vero significato delle due parole sensi e ragione, possiamo far riferimento ad un altro esempio: il ragionamento potrà di primo acchito sembrare distante, anche se in realtà è analogo. Pensiamo all’ambiente scolastico, più precisamente alle materie affrontate dallo studente che possono variare da scuola a scuola, o da indirizzo a indirizzo. Prendiamo casualmente il liceo scientifico; le materie che vengono insegnate sono varie, si passa dalle materie umanistiche come l’arte, la letteratura, il latino, a quelle scientifiche come la matematica, la fisica e appunto la scienza. Ma cosa sta dietro a questa divisione? Quale sottile differenza si cela dietro “umanistico” e “scientifico”? Molto semplicemente come dice la parola stessa “umanistico” stiamo parlando di discipline appartenenti alla sfera dell’Umanesimo, un movimento culturale sorto alla fine del XIV secolo in Italia e diffusosi in Europa fino al secolo XVI, caratterizzato dal rifiorire degli studi classici e dall’affermarsi di una concezione di vita basata sulla riscoperta di valori umani e storici per promuovere la dignità dell’uomo. Poi, dall’altra parte, abbiamo la parola “scientifico” che fa riferimento alla “scienza” che, con i suoi numeri, le sue conclusioni basate sul calcolo, l’osservazione e i suoi fini pratici, è la maggior rappresentazione dell’oggettività. Ed eccoci di fronte a un nuovo inghippo. Cosa sarebbe questa oggettività? Si è soliti prendere come oggettivo, ciò che concerne l’oggetto, che si fonda sulla realtà, in opposizione a quanto è soggettivo, ciò che deriva dal modo di pensare, sentire e giudicare del singolo individuo e perciò è spesso parziale e limitato poiché relativo e non rappresentativo della realtà. Proprio per tale motivo, definiamo le materie umanistiche come soggettive, poiché, prendendo come esempio la disciplina dell’arte, guardando un’opera ognuno di noi dà un giudizio diverso, che varia relativamente al soggetto. Mentre, quando si pensa alla matematica, cosa c’è di più oggettivo che 1+1 faccia 2? Ma allora, pensando alla filosofia, che tipo di materia stiamo trattando, umanistica o scientifica? Se si prende la filosofia come l’attività del pensiero, è facile dire che la filosofia sia una disciplina umanistica perché il pensiero cambia, è relativo alla persona in esame.
In realtà dietro questo discorso credo si siano dimenticati alcuni elementi, elementi che ognuno di noi trascura sempre e, d'altronde, le considerazioni fornite prima, oserei dire, rappresentano una mentalità sbagliata, parecchio diffusa. Esaminiamo meglio. L’azione della ricerca svolta da parte degli scienziati ha come scopo quello di giungere a una soluzione vera che valga sempre. Se una soluzione non è contraddittoria, cioè non è incoerente con il resto (con altre affermazioni asserite), allora è vera; se invece è contraddittoria crolla e quindi quell'affermazione muore assieme alla sua contraddittoria, poiché il contenuto di una contraddizione è il nulla. Dato che qualsiasi cosa noi prendiamo in considerazione è in relazione al tutto – poiché qualsiasi cosa fa parte del tutto –, un'affermazione dovrebbe essere non contraddittoria rispetto alla totalità. Quindi possiamo dire che la fisica, la scienza, la matematica rappresentano l’accesso alla totalità (intesa come verità) attraverso la parte. Basta un caso, in cui una teoria, una dimostrazione non sia vera, che tutto il ragionamento crolla. Passiamo adesso alla filosofia, spesso considerata da alcuni studenti come inutile per un ragionamento troppo affrettato o perché inseriti in una società che ha creato questa mentalità.
La psiche umana non può che avere come obiettivo il tutto – poiché altrimenti non si preoccuperebbe di contraddirsi, quindi di nullificarsi – e se diciamo che il pensiero abbia come scopo il tutto, la filosofia va definita come questa tensione verso il tutto.
Dunque, quando parliamo di qualsiasi cosa, stiamo parlando del tutto; infatti qualsiasi cosa, secondo la teoria dei contrari esiste perché esiste il suo contrario: un computer è un computer perché non è un astuccio, e nel momento in cui diciamo che il computer è l’astuccio allora ci stiamo contraddicendo, dunque stiamo dicendo il nulla. Il computer possiamo confrontarlo con qualsiasi cosa appartenga alla totalità (non solo con l’astuccio), poiché esso ne fa parte.
Date tali considerazioni possiamo dire che la filosofia è la scienza e la scienza è la filosofia, non nel senso che una sia uguale all'altra, ma in quello per cui una non può esistere senza l’altra come la parte non può esistere senza il tutto e viceversa.
Ma questo discorso cosa c’entra con sensi e ragione? I sensi sono l’approccio che abbiamo con la totalità, la nostra conoscenza particolare, della parte appunto; mentre la ragione va considerata come la conoscenza universale, sintesi non contraddittoria delle parti. È in questa sintesi che consiste lo scopo della nostra vita, verso una conoscenza totale che si realizza attraverso un confronto e la considerazione delle relazioni che si conoscono (tante o poche), per giungere a una comprensione globale la meno contraddittoria possibile. Ognuno di noi non è altro che i propri sensi e la propria ragione: quando si sta seguendo il cuore, non si sta escludendo la ragione e viceversa; non c’è bisogno di scegliere tra mente e cuore.
Platone, nel Sofista, scrive:
« questa mania di voler sempre separare tutto da tutto, mi sa di quegli atteggiamenti un po' stonati che, nonostante la loro affettazione, sono la spia di un ingegno poco coltivato e, certamente, non speculativo. »
La citazione del filosofo fa comprendere che, non solo c’è questa “mania” di separare due cose che sembrano contraddittorie, ma anche di separare ogni cosa dalla totalità, quando invece essa esiste perché è l’insieme delle sue relazioni. È difficile conoscere tutti i legami con il resto, ma per questo motivo è importante incrementare il proprio sapere, perché conoscere poche relazioni vuol dire conoscere poco le cose, anzi, non conoscerle per niente. È poi nel momento in cui non si comprendono le relazioni che si cade in errore poiché sembra accadere qualcosa che non si era previsto. In realtà lo sbaglio più grande non è l’essere ignorante ma «la presunzione d’essere sapiente, senza esserlo» (Platone, Apologia di Socrate). Ed è qui che l’uomo compie il male, pensando che sia bene, per il semplice fatto che non sa realmente in cosa esso consista, ma avendo la presunzione di saperlo. Egli sarà così ignorante che continuerà a sostenere che stia facendo il bene, anche se non si sottoporrà ad un confronto con gli altri, a un confronto fra le varie parti. Per curare questa “mania di separazione” non dobbiamo fare altro che incrementare il nostro sapere attraverso il confronto, per non considerare le cose in modo parziale facendo il male degli altri e di noi stessi.
17 marzo 2018