La povertà è una piaga sociale per la quale ancora oggi non si è riusciti a trovare un rimedio efficace. Ecco una proposta che riesce, nel suo piccolo, ad affrontarla guardando all’insieme delle sue problematicità.
Il 26 giugno 2018 l’Istat ha reso pubblici i dati riguardanti la situazione di povertà in Italia nel 2017. Cos'è la povertà? Quando ci si pone questa domanda è importante tenere presente diversi aspetti. Con questo termine solitamente ci si riferisce ad una condizione economica, che limita con più o meno intensità, l’accesso ai beni di primaria importanza (in primis alimenti, mezzi per poter badare alla propria salute, servizi vari). In Italia viene definita povertà assoluta «l'incapacità di acquisire i beni e i servizi necessari a raggiungere uno standard di vita minimo accettabile nel contesto di appartenenza». Gli italiani che si trovano in tali condizioni sono risultati essere ben 5 milioni e 58 mila.
La povertà purtroppo non è solo questo. La limitazione dell’accessibilità a beni di primaria importanza ha delle conseguenze che vanno ben oltre i già gravi problemi che la mancanza di tali risorse può arrecare. Tali conseguenze portano ad aggravare situazioni già difficoltose, incentivando un circolo vizioso da cui è difficile uscire. La condizione di precarietà a cui è associata la povertà implica che, per riuscire a risolvere problematiche quotidiane impellenti, vengano adottate prospettive di breve periodo; è chiaro infatti che risulta difficile pensare a come migliorare il proprio futuro, se non si sa cosa si riuscirà a mangiare il giorno dopo. Altre frequenti ripercussioni della condizione di povertà sono l’emarginazione e l’esclusione sociale, dalle quali spesso deriva la perdita di legami relazionali con conoscenti, amici e familiari. Ciò comporta una mancanza di riconoscimento individuale e sociale da parte dell’Altro, e più in generale della società, a cui spesso è associato un senso di alienazione, di frustrazione e un calo dell’autostima; elementi che non favoriscono l’intrapresa di un percorso di reinserimento. Sono numerose le associazioni che nel loro piccolo tentano di offrire un aiuto a chi si trova nelle situazioni più gravose. Viste le ragioni sopra esposte è importante che tale aiuto, per risultare fecondo, non si limiti ad essere esclusivamente materiale, ma agisca anche su quei fattori determinanti per una riabilitazione il più possibile completa dell’individuo in condizione di povertà.
In questo articolo abbiamo quindi deciso di affrontare la questione descrivendo il luogo e le pratiche di un caso particolare: il Refettorio Ambrosiano della Caritas Ambrosiana nel quartiere Greco a Milano, attraverso un’osservazione partecipante durante le ore di utilizzo della struttura. Nel testo che seguirà si vorrebbe quindi mostrare come diversi fattori – a partire dall’analisi di vari elementi architettonici, artistici legati alla nascita della struttura e attraverso la descrizione delle azioni di chi vi partecipa – concorrano alla costruzione di un luogo che si adopera quotidianamente a favore di una lotta alla povertà intesa nelle diverse accezioni sopra affrontate.
L’edificio nel quale si trova il Refettorio Ambrosiano – un vecchio teatro in disuso – fu riqualificato in occasione di Expo 2015. Per l’occasione, infatti, fu ristrutturato e arredato da grandi artisti, architetti, designer e aziende, divenendo un luogo bello e unico nel suo genere, dove si incontrano arte e solidarietà, nella convinzione che la stessa bellezza sia veicolo di promozione della persona e strumento per riconoscerne la dignità. Scopo principale del Refettorio è quello di servire pasti caldi a persone in difficoltà trasformando le eccedenze alimentari in cibo da consumare. Durante i mesi di Expo vi hanno cucinato alcuni tra i più grandi chef al mondo, utilizzando il cibo in eccesso che quotidianamente proveniva dall’esposizione universale. Tutto l’ambiente pullula di opere d’arte e di elementi di design estremamente significativi e in linea con quelli che sono gli obiettivi del Refettorio Ambrosiano. All’esterno è presente, di poco staccata dall’edificio, una grande porta, la Porta dell’Accoglienza, ricoperta da molti adornamenti simbolici: il capitello e l’anafora fanno riferimento alla sacralità dell’ospite presso gli antichi greci; il pane, i pesci, i piatti, le bottiglie di acqua e vino richiamano episodi della cultura cristiana e pongono l’accento sui valori di condivisione e inclusione; il busto umano sopra il varco simboleggia colui che offre accoglienza; i cappelli e le mani ricordano i gesti di riverenza di chi possiede il pane quotidiano e lo dona e i gesti di chi ne è privo e ne ha diritto.
L’obiettivo del Refettorio Ambrosiano non è quello di dare soltanto un pasto a chi ne ha bisogno, ma è quello di creare un percorso di reinserimento sociale dell’individuo nella comunità, o, come dice lo chef e fondatore Bottura, di «riconsegnare la propria dignità agli ospiti del Refettorio al di là della basica esigenza di nutrimento». Ciò viene fatto associando la bellezza dell’ambiente alla solidarietà dei volontari. Come detto, all’interno dell’edificio le opere sono innumerevoli. Nella sala di ingresso è interessante notare un grande bancone. Questo è composto da diversi pezzi di legno e di ferro che erano stati scartati. È quindi un iniziale richiamo contro lo spreco, un messaggio che intende indicare come anche ciò che viene scartato possa in realtà essere prezioso; la stessa premura viene infatti rivolta al cibo, il quale, da possibile scarto, viene trasformato in prelibatezza. I vari ambienti non sono separati da barriere architettoniche, ma costituiscono aree comunicanti di un unico spazio. Dalla sala principale si ha, ad esempio, la possibilità di osservare la cucina e la preparazione della cena da parte dei cuochi al di sotto della grande cappa, che ha sostituito la vecchia torre scenica del teatro. Proprio la cappa, che domina lo spazio della cucina, richiama il focolare domestico. All’interno del Refettorio Ambrosiano si ha perciò l’impressione di trovarsi all’interno di un luogo familiare e curato. A darne la sensazione sono anche le luci che scendono dal soffitto e che eliminano l’effetto straniante dell’altezza dei soffitti; e ancora, l’ampio utilizzo del legno e le grandi tavolate che sono anch’esse ognuna un’opera di importanti architetti.
Un altro elemento importante è il tentativo di far nascere nei 96 ospiti il sentimento del sentirsi attesi. Ogni tavolo viene preparato con cura. Vengono prima di tutto disposte le tovagliette per ogni posto che è unico, per un solo ospite, e non sarà utilizzato da altri. Il posto non è nominale o fisso, ci si può sedere dove si vuole, ma ne vengono preparati per l’appunto 96, esattamente tanti quanti gli ospiti attesi. Li si vuole fare sentire aspettati, come se fossero in una famiglia, facendo provare ad ognuno di loro la sensazione che quel posto è stato preparato proprio per lui e sarà soltanto suo per tutto l’arco di tempo in cui verranno erogati i pasti durante la serata. Il sentimento del “sentirsi attesi” – che provano i 96 ospiti e che fa sì che tutti vengano chiamati per nome, che tutti abbiano il loro tavolo, ritrovino gli stessi commensali, abbiano la possibilità di cenare in un ambiente bello e pulito, vengano serviti come degli invitati speciali, ecc. – fa sentire ogni individuo importante o perlomeno considerato dignitosamente, non più un “cittadino di serie B” dimenticato dalla società. Tutto ciò crea anche un clima di familiarità che, come in ogni famiglia, comporta anche delle ulteriori regole da rispettare. Per poter usufruire dei servizi del Refettorio, è necessario fare richiesta di una tessera, che sarà valida per un anno. Siccome a venire erogato è un numero limitato di tessere è importante che chi ne è provvisto ne usufruisca con regolarità. Qualora una sera ciò non sia possibile è allora importante che l’ospite avvisi che non ci sarà, proprio come in un nucleo familiare dove, essendo attesi, si avverte se si mancherà per cena. Se per tre sere di fila la propria assenza rimane ingiustificata la tessera viene bloccata, revocata e consegnata a qualcun altro. Di nuovo si può leggere in tutto ciò una pratica di rivalutazione e riconoscimento dignitoso dell’individuo (egli, proprio lui, è atteso e aspettato perché considerato importante e considerata importante è la sua presenza), che in cambio presuppone però il rispetto da parte di quest’ultimo di una serie di norme (proprio perché è riconosciuto con considerazione e riguardo, questi deve farsi carico di una serie di comportamenti da seguire).
Ritrovandosi quotidianamente ogni sera consapevoli di condividere tutti il medesimo ruolo in virtù del comune possesso della tessera, gli ospiti iniziano a riconoscersi man mano parte di una stessa comunità. Iniziano perciò un po’ alla volta a parlare tra di loro, ad aprirsi verso l’altro, a riconoscersi parte di una collettività. La cena diventa in questo momento, prima ancora di un nutrimento fisico, un nutrimento sociale. Si vanno a creare reti e legami sociali, che quotidianamente vengono fortificati e approfonditi, dando vita ad un senso di appartenenza comunitaria.
I volontari controllano i tavoli che si sono suddivisi e man mano che arriva una persona si recano in cucina, prendono il piatto contenente il primo e glielo vanno a servire. Gli ospiti attendono seduti di venire serviti e all’arrivo del volontario per la maggior parte ringraziano in modo sentito. Man mano che l’ospite ha terminato il primo piatto, il volontario gli porta il secondo e, infine, il dolce o il gelato. La scena è simile a quella che si può svolgere all’interno di un ristorante, dove il cameriere va a servire educatamente l’ospite, il quale rispettosamente rende grazie. Sono probabilmente proprio gli atti di deferenza dei volontari nei confronti degli ospiti che fanno sì che questi ultimi inizino a ricambiare la gentilezza che probabilmente in pochi altri momenti della giornata si sentono loro rivolta. Il Refettorio Ambrosiano si costituisce quindi come un microcosmo ribaltato nei confronti della realtà esterna. In quel luogo, infatti, il povero emarginato diventa ospite rispettabile servito e riverito, mentre il volontario che è normalmente un comune cittadino benestante si trasforma in umile servitore.
È interessante a questo punto ricordare che ci si trova in un ex teatro. Che cosa rappresenta un teatro? In questo caso il teatro può fungere da ottima metafora per descrivere l’obiettivo che il Refettorio si pone nei confronti dei suoi ospiti e nel loro rapporto con la società. Un teatro rappresenta la vita, spesso una rappresentazione teatrale rappresenta il dramma della vita. Se in un teatro il focus d’attenzione viene rivolto al palcoscenico, qui la situazione è ribaltata e il focus è la platea. La platea diventa un nuovo palco e nel palco c’è ora in scena chi era prima spettatore – seguendo la metafora: chi era marginalizzato, nascosto. Questi individui che erano stati “esclusi” dalla società, dalla scena, dal palco della società per essere relegati nelle retrovie, diventano qui il centro dell’attenzione, salgono su un nuovo podio e vengono collocati in primo piano. Gli attori, dunque, non sono più nel palco, ma nella platea. Nella sala principale gli ospiti entrano in scena, nella ribalta goffmaniana, e interpretano nel miglior modo possibile la loro parte in questo nuovo ruolo che devono ricoprire. Quella che si svolge ogni sera è una rappresentazione che denuncia quella che dovrebbe essere la necessaria rivalutazione delle molte marginalizzazioni che si assistono nelle società odierne.
È chiaro che il crearsi del senso di comunità vale per la maggioranza, ma non per tutti. Alcuni entrano in ritardo, altri provano a portarsi via del cibo (comportamento che è vietato) o a mettere in atto altre condotte spiacevoli. Si viene a creare dunque in certi casi una tensione tra rigidità normativa e princìpi caritatevoli di cui si fa portabandiera il Refettorio Ambrosiano; da questi episodi, per quello a cui si è assistito, non è mancata la capacità di far nascere un dialogo e un confronto alla ricerca della soluzione più adeguata. Nell’amministrazione e nel relazionarsi tra loro di un così ampio e diversificato gruppo di persone, compresi gestori, volontari e ospiti, possono sorgere delle difficoltà: è però importante notare che il buon funzionamento di un progetto come questo non sta nel negare tali problematiche, quanto nel risolverle.
Nell’analisi fatta dal sociologo Durkheim nella sua opera Le forme elementari della vita religiosa il cibo rientra nel modello rituale, di cerimonia, attraverso cui gli individui riconfermano la loro appartenenza alla collettività. Le pratiche di servizio attraverso cui i volontari trattano i commensali come degli ospiti importanti a cui ridare dignità, rendono l’ospite importante prima di tutto a se stesso, gli donano questa consapevolezza. Una volta terminata la cena, la condizione economica di coloro che vi partecipano rimane la stessa, ma l’auspicio che il Refettorio Ambrosiano vuole consegnare loro è di entrare in un modo e di uscirne in un altro. Ogni sera, con la ripetizione di questo rituale, si vuole concorrere a facilitare il più possibile un cambiamento anche della propria condizione sociale esterna al Refettorio.
« Il modo migliore, e il solo efficace, cioè, per convincere che l'uomo non vive di solo pane è di por fine praticamente alla lotta intraumana per il pane. » (G. Bontadini, Per una filosofia neoclassica)
16 novembre 2018
DELLO STESSO AUTORE
Morte, rinascita e sacrificio nei miti
Alla ricerca di una semplice complessità
Con-vincere, per vincere insieme
L'importante non è partecipare
Contro la polarizzazione delle opinioni sul dramma di Macerata
Democrazia: diretta o rappresentativa?
Le festività e il ritmo del tempo sociale
L'indifferenza del nostro sguardo: espressione dell'ignoranza, limite della conoscenza