Paradigmi della schiavitù sistemica: il Black Friday

 

Black Friday e consumismo sfrenato: siamo dinanzi ad una ricorrenza di semplici sconti ed offerte limitate o ad un meccanismo surrettizio di sfruttamento e schiavitù in chiave capitalistica?

 

Tutte le immagini sono di Bansky

 

Per la ricorrenza del Black Friday, si è soliti essere bombardati di offerte e prezzi imperdibili ovunque. Il processo di pubblicizzazione dei prodotti e dei servizi è capillare e gode di sistemi di calcolo progettati per comprendere gli usi e i gusti degli individui, insieme a tutto ciò che potrebbe influire sulle scelte di stampo economico e, dunque, sugli acquisti. La pubblicità è ben mirata: arriva via posta, o tramite sms, via televisione o, ancora, con e-mail mirate e pubblicità online.

 

Non sorprende tutto ciò. Il sistema consumistico necessita di vendere i beni e i servizi prodotti. Dunque, si rende necessario un sistema capillare di diffusione dei prodotti, dei servizi, delle loro qualità e del loro impatto sulla nostra vita. I prodotti divengono quasi idoli moderni. Potrebbero, d'altronde, non essere nemmeno realmente utili per le nostre vite. Eppure, il sistema necessita di costruire un impianto di desideri e voglie inconsce negli individui, ignari dei complessi meccanismi che sottostanno alla creazione delle pubblicità, delle scelte di marketing e di sviluppo dei prodotti. In effetti,

 

« Il capitalismo moderno necessita di uomini che senza difficoltà cooperino in vasto numero; che vogliano consumare sempre di più; i cui gusti siano standardizzati e possano essere facilmente previsti e influenzati. » (Erich Fromm, L’arte di amare)

 

I prodotti non possono restare invenduti in una società che di consumismo vive. Perché, dunque, non rateizzare gli acquisti? Perché, allora, non creare una serie di sconti ed offerte stracciate, al fine di poter vendere quanto più possibile e con minor impegno rispetto al solito? Non sarà la merce ad andare dall’uomo, ma sarà l’uomo ad andare dalla merce; e ne sarà plagiato, e ne sarà estasiato. Si è schiavi, d’altronde, di ciò che ci vince. E oggi vince un irrefrenabile impulso all’acquisto, sia questo anche slegato da qualsiasi reale necessità. L’acquisto è, allora, necessità, o come tale si configura nell’individuo consumistico.

 

 

E quale modo migliore di celebrare il precetto consumistico, se non quello di creare dei veri e propri giorni sacri? Ecco, allora, il Black Friday: giorni di festa e di celebrazione dell'individuo consumatore, che acquista quanto più egli possa, mosso dall'impulso e dal desiderio, dal vano e dal superfluo. Ecco gli altari del progresso che vengono eretti; ecco i nuovi idoli. Il sistema offre tante di quelle inutilità e superfluità, che per venderle bastano degli sconti, dei ribassi dei prezzi per accrescere la domanda improvvisamente, per attirare l'homo consumens nei Templi moderni, votato al consumismo, al guadagno, al livellamento più spietato. D’altronde,

 

« La libertà a cui aspira l'uomo moderno non è quella dell'uomo libero, ma quella dello schiavo nel suo giorno di ferie. » (Nicolás Gómez Dávila, Escolios)


La celebrazione del consumo è aperta a tutti; è globale e “democratica”. Il sistema non discrimina se non in base al reddito e alle ricchezze possedute. Il nuovo modello antropologico di homo consumens conferma, allora, la misera esistenza dell’uomo contemporaneo, che, con l'acquisto indiscriminato, col ricorso a forme d'agevolazione (e, dunque, di debito) per poter comprare e possedere sempre più (ma senza sapere perché) dà senso alla sua esistenza. Una esistenza ridotta all’acquisto non solo di beni e servizi, bensì di costrutti culturali e sociali. Una esistenza ora ridotta ad un ciclo prefissato dal sistema medesimo: lavora per consumare. A ciò si riduce la vita dei molti.  

Il sistema rifiuta qualsivoglia discriminazione spirituale. Il sistema è il più democratico possibile: un democratico livellamento e appiattimento delle diverse discriminanti spirituali a favore del più becero ugualitarismo, perciò si sostanzia una «non democratica libertà», che rende tutti consumatori. Ancora, Marcuse, nel suo L’uomo a una dimensione, ci ricorda:

 

« Ci troviamo dinanzi ad uno degli aspetti più inquietanti della civiltà industriale avanzata: il carattere razionale della sua irrazionalità. La sua produttività ed efficienza, la sua capacità di accrescere e di diffondere le comodità, di trasformare lo spreco in bisogno, e la distruzione in costruzione; la misura in cui questa civiltà trasforma il mondo oggettuale in una estensione della mente e del corpo dell'uomo, rendono discutibile la nozione stessa di alienazione. Le persone si riconoscono nelle merci; trovano la loro anima nella loro automobile, nel giradischi ad alta fedeltà, nella casa a due livelli, nell'attrezzatura della cucina. »

 

L'uomo non già è per ciò che egli realmente è, quale individuo e persona, quale identità con una sua storia, con delle sue emozioni, con dei suoi pensieri. L'uomo non già è tale perché riconosce la drammaticità dell'esistenza e la follia del progresso, dell’avvicendarsi umano. Non già è tale perché si confronta dialetticamente con l’interiorità dell'Io, l’estraneità dell'Altro e l’Infinità di Dio, in ultimo.

 

L'uomo è ciò che acquista. L'uomo è nella misura del suo possedere, o meglio: l'uomo è la misura di ciò che possiede. Emo ergo sum. Questo è tutto. Ha valenza solo ciò che può essere comprato, solo ciò che è suscettibile di valenza economica. In tale percorso di depauperamento della ricchezza spirituale propria dell’umanità, ora l’uomo corre verso la sua distruzione. È una perdita di tempo l’onore, il sacrifico, il dolore, l’abnegazione, l’infinito e tutto quanto ancora possa smuovere la finitezza delle nostre carni, tutto quanto ancora possa stordire i sensi fisici a favore del senso universale che è in noi, che permette all’uomo ancora una volta un Aufhebung.

 

Siamo di fronte, oggi, ad un progresso materiale che si sostanzia in un regresso spirituale. Siamo di fronte alla vittoria dei beni e dei servizi, alla vittoria del soddisfacimento dei sensi, degli impulsi e dei desideri più sfrenati. Siamo di fronte, nel medesimo tempo, a quanto colse già Dostoevskij nel suo I fratelli Karamazov:  

 

« Essi hanno la scienza, ma la scienza si occupa solo di ciò che è percepibile dai sensi. Il mondo spirituale, la metà superiore dell’esistenza umana viene del tutto respinta, ricacciata con una certa aria di trionfo, persino con odio. […] Il mondo ha proclamato la libertà, soprattutto negli ultimi tempi, ma che cosa vediamo nella loro libertà? Solo schiavitù e autodistruzione! Giacché il mondo dice: “Se hai un’esigenza soddisfala, tu hai gli stessi diritti della gente più nobile e ricca. Non temere di soddisfare le tue esigenze, anzi moltiplicale pure”: ecco l’insegnamento che oggi dà il mondo. In questo essi vedono la libertà. Ma che cosa ingenera questo diritto di moltiplicare le esigenze? Per i ricchi, l’isolamento e il suicidio spirituale, per i poveri invece l’invidia e l’omicidio, giacché coloro che hanno dato loro i diritti non hanno ancora mostrato i mezzi per soddisfare le loro esigenze. Essi sostengono che il mondo si stia unendo sempre di più, che si stia organizzando in una comunità fraterna, dal momento che accorcia le distanze e trasmette i pensieri nell’aria. Ahimè, non credete a questa unione fra gli uomini!
Concependo la libertà come moltiplicazione e rapido soddisfacimento dei desideri, gli uomini distorcono la propria natura giacché generano in se stessi molti desideri e abitudini insensati e sciocchi, molte sventatissime fantasie.
Vivono solo per invidiarsi l’un l’altro, per lussuria e ostentazione. Fare pranzi, viaggi, possedere carrozze, gradi e servi che li accudiscano – si considerano tutte necessità per le quali vale la pena di sacrificare persino la vita, l’onore, l’amore per il prossimo; e gli uomini sono pronti ad ammazzarsi se non riescono a soddisfare queste necessità. […] Sono riusciti ad accumulare una maggiore quantità di beni materiali, ma la gioia è diminuita. »

 

23 novembre 2018

 









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