Chiunque è importante allo stesso modo perché indispensabile, ma il come sia indispensabile fa variare il suo valore.
Ogni mattina vediamo sorgere il sole, c'è chi fa colazione con latte e cereali, chi con il caffè, chi va al lavoro di corsa, chi a lezione, chi va in macchina, chi in bici, chi a piedi e chi in pullman; c'è chi si spacca la schiena a lavorare, chi la testa a studiare; c'è chi giorno per giorno lotta per un pezzo di pane, per far sopravvivere la sua famiglia; c'è chi va a dormire tranquillo non aspettando altro di vedere quale bella cosa gli accadrà il giorno successivo e chi invece non ha idea se il giorno dopo continuerà a vedere il sole... Ed è a tutto questo teatro di esseri viventi, di eventi, di oggetti, di desideri, di azioni che noi possiamo dare il nome di società. Una società è un'organizzazione, un insieme di individui con delle regole e dei ruoli diversi da rispettare. E come in ogni organizzazione, c'è chi ha un peso maggiore di altri per diversi fattori, variabili che determinano la posizione di uno rispetto a un altro. Ma allora si può parlare di gerarchia? Di qualcuno che è superiore a un altro? In un certo senso sì. Per esempio superiore per responsabilità, per maggiori impegni verso gli altri, per maggiori capacità, conoscenze, per aiuto da dare al prossimo, ecc... Ed essere in una posizione più bassa rispetto a un'altra non significa essere considerati delle “mezze calzette” oppure addirittura “dei rifiuti” perché non sarebbe uno possibile e due sarebbe sbagliato. E anche questa volta il nostro buon amico Dante ci dà una grande lezione. Nel canto XXI del Purgatorio (vv. 124-136) Dante e Virgilio incontrano Stazio il quale non si era reso conto di avere davanti agli occhi il suo più grande modello, Virgilio, e dopo aver sentito chi aveva davanti si inginocchiò ai suoi piedi. Il buon maestro, però, a disagio, lo pregò di rialzarsi perché entrambi erano fatti della stessa materia, entrambi peccatori, entrambi prima uomini poi “ombre”.
« Questi che guida in alto li occhi miei,
è quel Virgilio dal qual tu togliesti
forza a cantar delli uomini e de' dei.
Se cagion altra al mio rider credesti,
lasciala per non vera, ed esser credi
quelle parole che di lui dicesti. ̶
Già s'inchinava ad abbracciar li piedi
al mio dottor, ma el li disse: ̶ Frate,
non far, ché tu se' ombra e ombra vedi. ̶
Ed ei surgendo: ̶ Or puoi la quantitate
comprender dell'amor ch'a te mi scalda,
quand'io dismento nostra vanitate,
trattando l'ombre come cosa salda. »
E Gesù allora che si inginocchiò per lavare i piedi ai suoi discepoli? Nel Vangelo di Giovanni è scritto:
« Capite che cosa vi ho fatto? Voi mi chiamate Maestro e Signore e dite bene, perché lo sono. Se dunque io, il Signore e il maestro, vi ho lavato i piedi, anche voi dovete lavarvi i piedi gli uni gli altri. Infatti vi ho dato un esempio, affinché anche voi facciate come io ho fatto a voi. In verità, in verità io vi dico: il servo non è più grande del suo padrone né l'apostolo è più grande di colui che l'ha mandato. Se capite queste cose, siete beati se le mettete in pratica. »
È chiaro che Gesù definendosi Maestro si pone in una posizione superiore rispetto agli apostoli ma proprio perché riconosce il suo ruolo e anche quello dei discepoli li può trattare con carità, dignità e rispetto.
Una società, dunque, è tale grazie a tutti coloro che la costituiscono. Ma per formarne una è necessario essere uniti. Pensiamo per esempio a un cubo di Rubik: se siamo in procinto di completarlo ma ci manca una casella, per quella casella è necessario mettere in discussione tutto il cubo o una gran parte di esso, e tutto ciò solo per una casella. Ma nel cubo si può dire che ci siano caselle più importanti di altre? No, però nel cubo ci sono diversi modi per completarlo ma tali processi proprio per il fatto di essere procedimenti hanno tappe “più importanti” di altre: alcune devono essere fatte prima. Ma allora cosa c'entra il cubo e l'ultima casella da completare con la società? C'entra per far capire, attraverso una metafora, che tutti noi abbiamo la stessa, medesima importanza poiché tutti noi siamo indispensabili gli uni gli altri per l'esistenza della società: senza di “te” “io” non posso vivere. E riprendendo il discorso sulle gerarchie, c'è, appunto, chi ha un ruolo di maggior valore rispetto a un altro a seconda di COME è indispensabile per la società: chiunque è importante allo stesso modo perché indispensabile ma il come sia indispensabile fa variare il suo valore.
In quel meraviglioso film con Aldo Fabrizi intitolato “Mio figlio professore”: Fabrizi interpreta il ruolo di Orazio Belli, bidello di un liceo che sebbene in povertà e con tanti sacrifici riesce a dare al figlio la possibilità di studiare e di diventare professore. Ricoprendo, però, un ruolo di maggior rilevanza rispetto a quello del padre, il figlio lo tratterà proprio come un “semplice” bidello. Ed è qui il problema per il quale emerge così tanta tristezza che il magistrale Aldo Fabrizi riesce a trasmettere. Il problema sta nel fatto che il figlio commette tre errori: il primo disconoscere il ruolo fondamentale e il valore che acquista suo padre con sudore e sacrifici, il secondo di non vedere il valore del ruolo di bidello (seppure minore rispetto a quello di professore) e il terzo di non comprendere la stessa importanza che c'è per indispensabilità tra lui, professore, e suo padre, bidello.
Il rispetto deve essere reciproco. La dignità è di tutti. I due principali problemi delle scale gerarchiche sono l'invidia e la megalomania, il reputarsi superiori agli altri. Chi guarda il mondo dal basso è invidioso, chi lo guarda dall'alto è megalomane e nessuno di loro purtroppo si accorge di quanto bella possa essere la propria prospettiva. Com'era? Ah sì: “L'erba del vicino è sempre più verde!” Si è invidiosi dei successi degli altri invece di ringraziare chi si prende maggiori responsabilità al nostro posto, chi ci aiuta a crescere, chi ci educa, chi ci fa scoprire cose che prima non conoscevamo, chi ci guarisce, chi ci libera dalle catene. I megalomani, invece, sono quelli che si vantano di essere superiori; ma a tal proposito qualcuno potrebbe obiettare dicendo: “Ma come? Un tizio viene posto a un livello più alto della scala gerarchica e nello stesso tempo viene accusato se si vanta di sentirsi superiore?” Detta così, infatti, potrebbe sembrare una contraddizione... Ma è possibile dire che un uomo è superiore agli altri quando manca di rispetto a coloro che gli stanno accanto? È possibile definire un uomo superiore quando deride o prende in giro gli altri delle loro mancanze invece di aiutarli a colmarle? È possibile definirlo superiore quando usa gli altri per un proprio tornaconto o per sentirsi dire bravo? Questa è ipocrisia non superiorità. Uno può anche diventare professore ma solo su carta, così come può diventare medico, politico, contadino, sarta, ecc... Ogni lavoro, ogni ruolo, ogni persona ha un valore, una dignità, un'importanza che giorno per giorno dobbiamo costruire. E se anche dovessimo arrivare all'apice della scala dobbiamo sempre ricordarci di tutti coloro che ci hanno permesso di arrivare fino in cima e soprattutto di tutti coloro che come noi sono indispensabili per l'esistenza della nostra società.
13 ottobre 2018