Morte, rinascita e sacrificio nei miti

 

I miti permettono di ripercorrere i primi passi che l’uomo ha intrapreso verso la conoscenza del mondo. Come hanno iniziato ad essere affrontate le domande esistenziali? Quali risposte sono state date e a quali comportamenti hanno dato origine?

 

di Simone Basso

 

Cupola della Sala dei Giganti di Palazzo Te a Mantova, affresco di Giulio Romano
Cupola della Sala dei Giganti di Palazzo Te a Mantova, affresco di Giulio Romano

 

Tentare di comprendere il funzionamento del mondo, indagare le parti per avere una più giusta visione dell’intero e viceversa, queste sono le fondamenta per lo sviluppo della conoscenza da parte dell’uomo; tanto oggi quanto secoli e millenni orsono. Scoprire il mistero della vita. Proprio nei diversi popoli, nelle culture, nelle religioni, nei miti, nelle tradizioni e, più in generale, nella filosofia, tale ricerca ha proliferato (alcune volte con ottimi risultati, altre meno). 

Molte popolazioni primitive iniziarono a venerare diverse divinità, alle quali furono attribuiti i nomi e le caratteristiche delle più imponenti forze della natura: l’acqua, il mare, il sole, il fuoco, il vento, i fulmini, la terra, le piante e gli animali. Tutti fenomeni naturali dei quali non si sapeva l’origine, non si conoscevano le cause né i possibili modi in cui sfruttarne le proprietà o da cui, nel caso rappresentassero un pericolo, proteggersi. Individuare tali forze e cercare di dare loro una prima spiegazione attraverso i miti, è stato uno dei primi passi verso la conoscenza che oggi, grazie all’approfondimento di quello stesso pensiero scientifico, è stata migliorata. La mitologia, appunto, è l’insieme dei racconti che erano utilizzati per dare risposte a domande riguardanti in particolar modo l’origine del mondo e dell’uomo. I miti tentano di indicare la miglior spiegazione di cosa siano quelle forze e di fornire i migliori consigli alla comunità su come conviverci; i racconti mitologici sono tra le prime risposte, a livello sociale, ai dubbi umani sull’esistenza. In qualunque luogo le mitologie si sviluppino, ciò da cui non possono prescindere è il loro legame con la vita: esse aspirano ad essere spiegazioni in grado di dare prova di sé e di trovare nel vivere di ogni giorno le proprie motivazioni: siano esse spiegazioni che si autodefiniscono razionali, magiche, divine o soprannaturali (Per approfondire: La cometa della superstizione). Così si è cercato di fornire le prime argomentazioni e attribuire i primi significati agli eventi ritenuti più importanti a cui si assisteva, quali le stagioni, il dì e la notte, le malattie, la morte, la nascita di una nuova vita… È estremamente interessante notare come nel mondo i popoli abbiano sviluppato credenze mitologiche con tratti talvolta simili anche tra culture distanti nello spazio e nel tempo. Ciò significa che a fronte di domande esistenziali riguardanti gli stessi temi, diverse civiltà sono giunte a risposte somiglianti. 

 

La vita rappresenta uno dei misteri che ha suscitato, fin dalla comparsa dell’essere umano, maggior interesse. Qual è la sua origine? Cosa la permette? Quali forze la governano? Morte e nascita sono due eventi attorno ai quali si sono concentrate molte delle narrazioni e dei miti che hanno cercato per primi di cogliere il senso generale dei dubbi che, per l’essere umano, rappresentavano dei profondi arcani. Ecco allora alcune delle domande che sorgono all’uomo davanti a tale mistero: cosa succede dopo la morte? Cosa ne è dell’individualità che ogni soggetto sente di possedere? E di conseguenza: da dove proviene la vita? Come ha origine? Ha un inizio? Se sì, quando? 

Grazie all’osservazione e alla riflessione sul mondo, gli esseri umani hanno cominciato a fare le prime constatazioni. Ciò da cui essi ricavavano nutrimento erano piante e animali che, prima di venir mangiati, erano qualcosa di vivo; anche loro nascevano, crescevano e morivano. Accorgendosi di trarre sostentamento dalla vita, dedussero che ciò che in precedenza era vivo, una volta morto, poteva ridivenire il cibo che permetteva agli altri esseri di continuare a vivere. Ampliando tali considerazioni si è cominciato a ritenere che la vita di un singolo essere vivente fosse delimitata all’interno di un determinato periodo di tempo.  La nascita e la morte cominciarono allora ad essere identificati come gli eventi che ponevano inizio e fine alla vita; allo stesso tempo, però, si comprese che l’energia che permetteva la vita di un essere, continuava a rimanere presente nel mondo in altri esseri, trasformandosi in nutrimento. 

Nascita e morte divennero i momenti di transito da una condizione all’altra: prima di nascere, ciò che non era ancora vita, mancava di una propria individualità, ma l’energia che l’avrebbe generata era già presente nel mondo; dopo la morte, invece, la vita si tramutava in energia che sarebbe servita come alimento per gli altri esseri viventi. Da tali osservazioni, delle prime comunità, hanno preso forma i racconti mitologici, i quali hanno portato ad una prima costituzione organica di un sistema di credenze; in essi il tema della nascita è risultato essere originariamente connesso alla questione della morte: l’entità che permetteva la vita dunque doveva essere la stessa che possedeva la facoltà di toglierla. 

 

Psicostasia. Libro dei Morti di Ani, XIII secolo a.C.
Psicostasia. Libro dei Morti di Ani, XIII secolo a.C.

 

« Il dio della morte è anche il signore del sesso. […] È sorprendente scoprire come queste divinità siano allo stesso tempo divinità di morte e di generazione. Il dio della morte Ghede, della tradizione wudu haitiana, è anche il dio del sesso. Il dio Egiziano Osiride era giudice e signore della morte e anche della rigenerazione della vita. Questo è un tema fondamentale: per morire bisogna essere nati e devi morire per vivere » (Joseph Campbell, Il potere del mito)

 

Nei miti dunque fu trovata una risposta che fosse in grado di dissolvere, almeno in parte, l’alone di mistero che circondava le prime domande esistenziali degli uomini. Che cosa c’è all’origine di ciò che l’uomo conosce come “vita”? Nella sua creazione e nel suo annientamento è stato individuato lo stesso Dio. Tali narrazioni infatti affermano una relazione indissolubile tra i due momenti della nascita e della morte. Campbell, a conclusione della precedente citazione, mostra quale fosse l’interpretazione che gli antichi avevano dato, attraverso i miti, riguardo al funzionamento del mondo: «per morire bisogna essere nati e devi morire per vivere». La vita è fondamentale alla conoscenza della morte, e la morte, oltre che evento inevitabile, viene riconosciuta come necessaria al prosieguo e alla continua riaffermazione della vita stessa. Venne dunque identificato un processo circolare che da una parte metteva in relazione l’uno all’altro ogni essere vivente della terra, dall’altra costituiva tale connessione quasi come un vincolo da cui, sin dal momento in cui si nasceva, o forse anche prima, non ci si poteva estraniare. Nei miti la vita si nutre della vita, e da tale ciclo dipendono non solo gli uomini ma ogni specie vivente. Ecco allora che il Dio che permette la vita è lo stesso che ha potere sulla morte. 

C’è però una differenza all’interno delle diverse mitologie, afferma lo stesso Campbell nella continuazione dell’intervista condotta da Bill Moyers. È doverosa infatti la distinzione tra i miti dei popoli prevalentemente cacciatori e quelli dei primi popoli contadini. 

 

« MOYERS: Che cosa successe all’immaginazione mitica quando gli esseri umani compirono il passaggio dalla caccia all’agricoltura?

CAMPBELL: Si è verificata una trasformazione spettacolare e totale, e credo non solo dei miti, ma della stessa psiche. Un animale è un’entità totale, qualcosa che sta dentro una pelle. Quando uccidi l’animale, l’animale muore: è la sua fine. Nel mondo vegetale invece non c’è nulla di simile a un individuo contenuto in se stesso. Se tagli una pianta, nascerà un nuovo germoglio. Per una pianta è utile essere potata. L’essere in quanto entità totale è, invece, un essere contenuto in se stesso. L’idea associata alle foreste tropicali è che la vita nasca dalla putrefazione. […] Infatti, se tagli il ramo di una pianta ne nascerà un altro; prova invece a strappare l’arto di un animale: salvo che in un certo tipo di lucertola, non rinascerà di certo. Nelle culture delle foreste e in quelle agricole, la morte non viene considerata come un fatto in sé, bensì in funzione della nuova vita che origina. L’individuo non è semplicemente un individuo, ma è un ramo della pianta. » (Joseph Campbell, Il potere del mito)

 

Luca Giordano, "AC 100637"
Luca Giordano, "AC 100637"

 

Gli esseri umani che iniziano, con l’agricoltura, a trarre sostentamento da ciò che coltivano, sviluppano un rapporto differente con la morte rispetto a coloro che sopravvivono cacciando l’animale. Come descrive lo studioso Campbell, nell'animale l’individualità del singolo appare con più forza che nelle piante. In entrambi i casi, comunque, il ciclo osservato dalle prime popolazioni, evidenziato in precedenza, si riconferma. L’animale ucciso e la putrefazione dei componenti organici (nel caso delle piante) divengono fonte di sostentamento. (Inoltre, volendo approfondire i miti che descrivono come abbia avuto origine l’agricoltura, è possibile osservare come spesso si ripresenti la morte di un animale o di un uomo che ha permesso ad un certo gruppo di appropriarsi del sapere della coltivazione).

 

Attraverso queste osservazioni si giunse a sviluppare la credenza che all’interno dell’animale ucciso o delle piante si celasse la presenza di una divinità, la quale offriva la garanzia all’uomo che una certa pianta o un certo animale si ripresentassero in futuro sotto la stessa forma, in modo tale da ridiventare nutrimento. Per questa ragione il cibo, che in precedenza era vita, diveniva la rappresentazione del Dio. Dunque, agli occhi delle popolazioni, non è solo l’individualità dell’essere vivente, ma è il Dio stesso che muore per diventare nutrimento dell’uomo e che garantisce il ripetersi della sequenza sopra descritta – ovvero il ridiventare di ciò che è morto ingrediente essenziale alla nuova vita. Nelle sue svariate declinazioni colui che dà origine alla vita, la permette e che muore facendosi cibo è quindi ancora una volta un’entità divinizzata. Questa osservazione che ripercorre le diverse fasi del rapporto dell’uomo con Dio viene riconosciuta ed esposta dal filosofo Emanuele Severino, il quale amplia le osservazioni fatte a molti altri miti nel mondo. 

 

« Per quanto ci dicono le scienze storiche si può dire che ogni forma della religiosità arcaica (e monoteistica) abbia al proprio centro il mito in cui lo smembramento del Dio è la condizione dell’esistenza del mondo. Dall’Oceania alla Mesopotamia, dall’India alle popolazioni germaniche e alle società greco-cristiane i miti raccontano la creazione del mondo come effetto del sacrificio originario di un Dio, di una Dea, di un Eroe, di uno sposo o di una sposa del Dio: Hainuwele (Nuova Guinea) Tammuz, Dumuzi, Timat (Mesopotamia), Ymir (presso i Germani), Purusha e Prajapati (India), Osiride (Egitto), Dionisio (Grecia), Cristo. 

La creazione del mondo è lo squartamento del Dio, che diventa cibo dell’uomo. L’uomo vive solo in quanto usa, consuma, gode le membra, le parti del Dio. » (Emanuele Severino, La potenza dell’errare)

 

Il Dio muore per donare la vita all’essere umano. Ma qual è l’elemento che garantisce il ripresentarsi del ciclo che va dalla vita alla morte? Come potevano tali popolazioni essere sicure che il Dio non avrebbe cessato di offrire nuova vita (in altre parole “dare il nutrimento”)? Oppure che il Dio non avrebbe esaurito se stesso?

A tal proposito si cercò un modo in grado di assicurare il perpetuarsi di quel ciclo che permetteva la sussistenza alla popolazione. Come accennato nella precedente citazione, viene “inventato” il sacrificio. Il sacrificio – termine che etimologicamente significa «rendere sacro» (sacer-ficere) – era un gesto ritenuto necessario alla riappacificazione con il Dio che assicurava agli esseri umani la sopravvivenza. Il Dio era colui che garantiva i frutti delle piante e il riprodursi degli animali anno dopo anno. Così gli esseri umani, per far sì che ciò continuasse ad avvenire, trovarono un modo di restituire al Dio l’energia vitale di cui avevano goduto. Dopo avere descritto il consumo del Dio, Severino continua. 

 

« Ma il divino rimane pur sempre la fonte della vita. L’esaurirsi della fonte è la morte dell’uomo […] E la morte è il pericolo estremo da cui ci si deve difendere. Diventa quindi necessario che si restituisca al divino quel che gli si è tolto e che tuttavia è stato consumato e non c’è più. È a questo punto che il genio religioso deve inventare il sacrificio compiuto dall’uomo (che assume anche la forma del sacrificio dell’uomo) come ripetizione del sacrificio divino e dunque come rifondazione del mondo. Acquisterà le forme più diverse, nei tempi e nei popoli, ma l’essenza della ripetizione del sacrificio divino e della fondazione divina del mondo è la consapevolezza della necessità che, per continuare a vivere, non venga spenta la fonte dell’energia. » (Emanuele Severino, La potenza dell’errare)

 

Rappresentazione di un sacrificio nell’antica grecia
Rappresentazione di un sacrificio nell’antica grecia

 

Il Dio muore per l’uomo e l’uomo lo richiama in vita. L’atto del sacrificio riporta l’equilibrio nel mondo. Ciò che è stato preso viene restituito e la simbiosi tra gli esseri umani, il Dio e il tutto che li circonda può continuare; viene impedito così che il Dio si esaurisca. Il sacrificio nei miti, fungendo da collegamento tra l’essere umano e ciò che lo trascende, è il sugello della relazione tra la vita e la morte, l’elemento che assicura la restituzione dell’“energia” vitale in cambio del nutrimento ricevuto.

 

Questa è in parte la descrizione di come hanno iniziato a diffondersi e a venir usati alcuni concetti come “Dio” e “Sacrificio”.  È solo l’inizio dello sviluppo del significato di questi due termini che con l’approfondimento della riflessione filosofica hanno esteso e arricchito il valore del proprio contenuto. Essi però contengono domande, problematiche e questioni sulla vita, sul mondo e sull’esistenza che non smettono tutt’ora di essere poste. 

I miti sono espressione di conoscenze e saperi che al giorno d’oggi non meritano di essere liquidati superficialmente come banali e superstiziosi. Essi sono l’esteriorizzazione del pensiero degli uomini di millenni e secoli orsono, il sapere da cui le società odierne derivano. Siamo sicuri di poterci sbarazzare con facilità del loro contenuto? Siamo certi che i limiti e gli errori in essi contenuti non ci appartengano più? E di essere riusciti nella vita di oggi, sia individuale che sociale, a conservarne i pregi e le qualità? Il miglioramento del sapere non può prescindere dalla conoscenza del processo che ci ha condotto ad esso: per questa ragione, sapere come si è giunti a sviluppare le conoscenze odierne è fondamentale per orientare il proprio pensiero e riuscire a riconoscere le credenze che ancora oggi necessitano di essere studiate.  

 

12 ottobre 2018

 








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