Spesso capita all’uomo qualcosa di strano: sentire la propria anima morta senza alcuna vitalità, quando il corpo invece è vivo. L’errore è quello di non saper abitare nel mondo.
È strano, abitiamo nel mondo ma non sappiamo effettivamente come abitarci adeguatamente per vivere sereni. Sin da quando siamo piccoli sentiamo spesso gli adulti lamentarsi sulla condizione della propria vita, invitandoci a non compiere gli stessi errori. Abitare nel mondo significa conoscere quest’ultimo: la conoscenza è il nutrimento dell’uomo felice; mediante tale soddisfacimento l’uomo realizza la propria essenza e si approssima alla felicità. L’amore per la conoscenza ci rimanda alla filosofia, una delle più nobili attività umane: l'educazione ad essa consente agli uomini di realizzare il fine più autentico della propria esistenza e rifuggire da una vita altrimenti subumana e animalesca. Lo spirito che consente di abitare il mondo è quello di porsi delle domande continue — rapiti dal mondo stesso. A tal scopo non si necessita di essere per forza dei filosofi illustri, o filosofi di professione: ogni uomo possiede dei dubbi, dei crucci dai quali possono fiorire delle domande. A ragione è chiamato filosofo la persona che possiede per natura una certa inclinazione naturale verso i grandi interrogativi della vita umana mettendo in moto la riflessione e la capacità di pensare con la propria testa.
« Se la conoscenza può creare dei problemi, non è tramite l'ignoranza che possiamo risolverli. » (Isaac Asimov)
Affinché la nostra esistenza si configuri in maniera autentica, dobbiamo conoscere e saper individuare due forze della vita: il bene ed il male. Illustri filosofi, scrittori, poeti hanno parlato spesso del bene e del male: potremmo associare il “male” ad un disvalore — sintomo di un uso disordinato del libero arbitrio —, mentre con il termine “bene” tutto ciò che agli individui appare desiderabile e tale che possa essere considerato come fine ultimo da raggiungere nella propria esistenza. Il cammino dell’uomo dunque deve essere quello di andare alla ricerca dei valori più preziosi della vita, comprendendo che bisogna prendersi cura di sé e degli altri rapportandosi in modo appropriato all’interno della comunità in cui si vive. La nostra concezione di cosa è il bene e cosa il male fa sì che conserviamo all’interno delle diverse realtà storiche delle memorie durature, per tramandarle di generazione in generazione.
« Esiste un solo bene, la conoscenza, ed un solo male,
l'ignoranza. » (Socrate)
Notiamo che ogni realtà storica possiede i propri cambiamenti, ma esiste un principio immutabile per tutti gli esseri umani seppur cambiando il contesto storico? La storia ci ha insegnato che nel mondo sono presenti delle memorie che non hanno scadenze, di quegli uomini che hanno lottato per cambiare qualcosa all’interno della società; per portare cambiamenti che giungono fino a noi. La memoria — si dice — è figlia della lentezza, si coltiva nello spazio della riflessione; in quanto quest’ultima serve proprio a rafforzare la memoria, proteggendola gelosamente nello spazio più intimo della nostra interiorità. Riflettere — dicevamo — è il compito principale che si pone la filosofia. Riflettere è farsi presente ciò che ha ancora valore: è ricordare. Ciò che ci permette di compiere questo passo è capire noi stessi, comprendere la missione per cui ci siamo trovati improvvisamente nel mondo.
« La memoria è tesoro e custode di tutte le cose. » (M.T. Cicerone)
Il principio della passione, ci fa mettere in moto il pensiero. Poiché quando amiamo fare qualcosa, ci avviciniamo — sempre più rapidamente — verso la conoscenza. È la storia di quegli uomini — magistrati, poliziotti, filosofi etc. — che hanno lottato pur sacrificando la propria vita; lasciando in eredità al mondo delle nuove speranze, dei nuovi orizzonti. Il compito del mondo è quello di ricambiare mediante una memoria collettiva. Secondo la definizione di Pierre Nora la “memoria collettiva" è il ricordo o l’insieme dei ricordi, più o meno consci, di un'esperienza vissuta o mitizzata da una collettività vivente della cui identità fa parte integrante il sentimento del passato. Esistono memorie che segnano collettivamente positivamente ed altre negativamente. Un esempio di memoria collettiva — negativa — è il fascismo, un movimento politico nato in Italia all’inizio del XX secolo, soprattutto per iniziativa di Benito Mussolini; caratterizzato come un movimento nazionalista, autoritario e totalitario. Un altro esempio di memoria collettiva — positiva — è il ricordo di un uomo che ha lottato contro la mafia, il magistrato Giovanni Falcone; assassinato nella strage di Capaci per opera di Cosa nostra. Assieme al collega e amico Paolo Borsellino è considerato una delle personalità più importanti e prestigiose nella lotta alla mafia in Italia e a livello internazionale. Inoltre, mi preme affermare che nella memoria collettiva vi deve essere spazio non soltanto per i morti, ma anche di quegli uomini che continuano a lottare — cercando di migliorare il nostro paese — è il caso di Sergio De Caprio, conosciuto come Capitano Ultimo; noto per aver arrestato Totò Riina nel 1993. A causa delle sue indagini antimafia è stato nel mirino di Cosa Nostra, tutelato dallo stato da quando è stata resa nota la sua vera identità. Hanno provato anche ad attuare dei progetti per ucciderlo: il pentito Gioacchino La Barbera riferiva in udienza pubblica che il killer Leoluca Bagarella aveva offerto ad un carabiniere che forniva notizie a Cosa Nostra un miliardo di lire per avere informazioni su dove alloggiava il Capitano Ultimo. Peccato che Ultimo non avrà più la scorta dal 3 settembre.
« La lotta alla mafia dev’essere innanzitutto un movimento culturale che abitui tutti a sentire la bellezza del fresco profumo della libertà che si oppone al puzzo del compromesso morale, dell’indifferenza, della contiguità e quindi della complicità. » (P. Borsellino)
Questi uomini hanno reso e continuano a rendere il nostro paese migliore grazie ad una “fiamma” interiore che non si spegne mai. La passione ci scuote dalla banalità della vita. Salva la nostra anima e forse non ci accorgiamo di ciò: amare ciò che si fa è la massima ispirazione che dovrebbe guidare la vita di ogni uomo. Ogni uomo muove i propri passi all’interno del mondo diversamente, scoprendo il proprio io più interiore. È il percorso più difficile per ogni uomo, ma anche quello più lodevole. Comprendere quello che si ama, significa apprezzare quel “poco” che si possiede; godere delle “piccolezze” della vita, che vengono svelate come il tesoro più grande da quella riflessione che le mette in dubbio e ci risveglia dal torpore dell'abitudine. Purtroppo, nella realtà dei fatti ci sono uomini che non riescono ad innescare questo principio, perdendosi nel quotidiano e riducendosi ad avere un corpo vivo ma un’anima morta, senza alcuna vitalità. Dunque, dobbiamo affrettarci a scoprire qual è il moto che ci tiene in vita, ascoltando il richiamo della vita, adempiendo alle nostre responsabilità. Però, abbiamo un tempo da rispettare che non conosciamo: non sappiamo della crudeltà o della magnanimità del nostro destino per quanto concerne la quantità della vita, ma sicuramente potremmo vivere più sereni compensando con la qualità e perseguire così un’esistenza più autentica possibile.
11 settembre 2018
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