La volontà di liberarsi del contenuto irrazionale della fede ha condotto a sbarazzarsi della fede stessa. Un miraggio nel deserto del nichilismo.
I
Le scorribande della ragione nel secondo millennio sono così tendenzialmente distribuite quanto ad intenti: penetrare la fede e, a tal scopo, riappropriarsi dei classici (sec. XI-XVI, Aristotele e Platone sono il simbolo della ragione rinascente); innanzitutto emendare la fede dalla superstizione, criticando la tradizione scolastica, teologica, dogmatica, quindi separare il contenuto irrazionale della fede da quello razionale, che, come tale, risulterà non essere più fede (sec. XVII-XVIII, Aristotele e Platone sono il simbolo della ragione sclerotizzata); liberarsi dalla fede e dalla tradizione filosofica intera, perché costitutivamente metafisica (sec. XIX-XX).
I due più poderosi tentativi di revisione della tradizione – preceduti a vario titolo dai nomi illustri e pionieristici di Bacone, Cartesio, Galilei – si incontrano nella seconda metà del Seicento e del Settecento, tali perché declinati con l'idea di un compito di totale riscrittura e ricomprensione delle conoscenze del passato e delle aspettative sul futuro: vedendosi avvolto dall'oscurità dell'ignoranza, l'illuminismo agognato deve tutti raggiungere e tutto rischiarare – deve farsi enciclopedia. Nel secolo del Barocco il compito è assunto dall'anima solitaria ed esiliata di Pierre Bayle; in quello finalmente dei Lumi la luce si fa impresa collettiva sotto la guida di Diderot e d'Alembert.
Un pensiero su tutti viene via via imponendosi: per ciò di cui l'umanità ha bisogno non c'è necessità di un Dio rivelato; piuttosto è la ragione che rivela Dio, che così si fa razionale, complemento della natura, che la rende intelligibile: sicché è sempre più un Dio “naturale” e sempre meno sovrannaturale. La ragione traccia il confine della conoscibilità di Dio e stabilisce il perimetro della ragionevolezza delle pretese della religione. Ciò che non è razionale non può avere pretese universali, e deve perciò circoscriversi alla sfera personale, soggettiva, sola dimensione legittima della fede. Si pensa. Del resto già Lutero aveva indicato che Dio non si incontra nell'esteriorità di un messaggio proferito da altri, ma nell'intimità del travaglio della propria coscienza. Così è nelle meditazioni alla fioca luce di un fuoco cartesiano che si consuma l'autorità, s'accende la fiamma speculativa della soggettività e la ragione – ritenuta tratto comune di quelle soggettività che essa quindi trascende – riscalda le speranze della modernità.
Ma che presto, nonostante le genuine intenzioni di restauro, il palazzo della tradizione debba crollare è sempre più temuto dai suoi alfieri: quel grande compendio divulgativo della sua filosofia, che sono i Saggi di Teodicea, è in fondo per Leibniz una grande risposta, una lunga polemica con quella pericolosa e acuta intelligenza di Bayle. L'ultimo estremo soccorso – quello di Kant – ad un mondo che andava sgretolandosi è infine la mossa che lo fa cedere definitivamente. Il contenuto universale della religione diventa perciò o teismo, che relega i contenuti della fede alla dimensione dello scetticismo, o già ateismo, annunciando il sopravanzare dell'800.
Ciò che non è dimostrabile, ciò che non cade sotto il dominio della ragione, non può avanzare pretese esplicative del mondo della natura e della vita; per contro tutto ciò che appartiene alla sfera della natura e dell'uomo può essere spiegato iuxta propria principia, per usare la formula anticipatrice di Telesio, o etsi Deus non daretur, come vuole Grozio per le leggi naturali sufficienti a fondare la politica. Lo stesso intende fare Bayle con la morale, ma con una differenza profonda: Grozio si propone di mostrare come le leggi naturali razionali coincidano con i dettami della religione rivelata, il contenuto della quale è quindi razionale; Bayle sottolinea che la fede religiosa è, rispetto ai contenuti razionali, irrilevante per l'effettiva condotta razionale: a seguirla sono indifferentemente credenti o atei, e principalmente non certo per la comprensione razionale delle loro azioni. Non solo: molti dei dettami della religione non rientrano nel dominio della ragione e quindi, rispetto alla ragionevolezza, la loro scelta è del tutto arbitraria. Bayle, attaccato da più parti, scrisse dei chiarimenti al suo Dizionario storico-critico, il primo e il terzo dei quali dedicati a delucidare l'indipendenza della moralità dalla religione e la non coincidenza tra ragione e fede.
« I CHIARIMENTO. ― I rilievi che sono stati fatti circa i buoni costumi di certe persone che non seguivano alcuna religione, non possono arrecare alcun pregiudizio alla vera fede, né attentano minimamente ad essa. […]
1. Il timore e l'amore della divinità non sono affatto l'unica molla delle azioni umane. Ci sono altri princìpi che fanno agire l'uomo: l'amore della lode, il timore dell'infamia, le inclinazioni del temperamento, le pene e le ricompense inflitte dai magistrati hanno molta influenza sul cuore umano […].
2. Il timore e l'amore della divinità non sono sempre un principio più attivo di tutti gli altri […]. Se qualcuno ne dubita ignora una parte delle sue azioni e non sa nulla di ciò che accade ogni giorno sulla terra […].
4. Lo scandalo dovrebbe essere ben più grande quando si vedono tante persone persuase della verità della religione e tuttavia immerse nei delitti […].
7. Prego bene di notare, che parlando dei buoni costumi di qualche ateo, non ho affatto attribuito loro autentiche virtù. […]
III CHIARIMENTO. ― Ciò che è stato detto del pirronismo, in questo dizionario, non arreca alcun pregiudizio alla religione.
I teologi non devono affatto vergognarsi di ammettere che non devono entrare in lizza con tali disputatori e che non vogliono esporre a un simili attacco le verità evangeliche. La navicella di Gesù Cristo non è assolutamente fatta per navigare su un mare così tempestoso; ma per restare al riparo dagli uragani, nel porto della fede. »
In questo percorso volto prima a depurare i contenuti della fede dall'irrazionalità e poi a depurare la razionalità dalla fede, vi sono però delle eccezioni – filosoficamente rilevantissime – che comprendono che il presunto altro dalla natura e dalla ragione in realtà non può che essere anch'esso natura e ragione, altrimenti sarebbe e sarebbe stato incomprensibile: difatti, un contenuto completamente irrazionale e innaturale esula dalle possibilità naturali e razionali di comprensione; se è la ragione a comprendere, essa non può che capire il perché della presunta irrazionalità, che trova così la sua giustificazione e intelligibilità nel dominio della ragione stessa. Allora, i contenuti della tradizione, se non possono essere ritenuti sovrannaturali e irrazionali, devono avere avuto un qualche senso, che, in quanto pensato e vissuto, può essere compreso e ricondotto a un che di naturale e razionale, anche se di grado inferiore rispetto alle nuove acquisizioni in grazia delle quali la critica viene mossa. Quel che si riteneva carattere divino o carattere metafisico – al di là della natura – può essere ritenuto contenuto già razionale, ma ulteriormente sviluppabile, per renderlo ancora più razionale, fino a mostrare che con Dio e la metafisica si pensava già la stessa natura e che nel pensare la natura si riconosceranno quei caratteri metafisici attribuiti a Dio, anche se ulteriormente vagliati, ovvero più razionali.
Così, se il volto di Dio, nella forma del mito e delle rappresentazioni della fede, da Bayle a Kant si fa indimostrabile, impensabile e alla fine superfluo; il volto di Dio delineato nei tratti dei princìpi e della metafisica con Spinoza si fa Deus sive natura, con Kant idea regolativa della ragione in cui culminano e si arrestano le possibilità conoscitive dell'uomo, con Hegel si identifica con la Ragione stessa entro cui si sviluppa la storia del mondo. I caratteri prima attribuiti a Dio e riconosciuti come razionali divengono caratteri di tutto l'essere inteso come Totalità, che viene chiamato Natura da Spinoza, Ragione o Idea o Assoluto da Kant e da Hegel. Questa enorme trasformazione – in cui si fa chiaro che i caratteri metafisici non sono oltre il mondo, ma sono gli intrinseci caratteri di esso – è compresa e proseguita da pochissimi: per lo più dalla filosofia italiana (da Spaventa a Croce, da Gentile a Bontadini, fino a Severino), la quale ha saputo mostrare e testimoniare l'universalità – nella sua complessa articolazione – che fonda ogni pretesa conoscitiva e assertiva, anche quella che neghi l'universalità stessa.
Quella postmoderna è una metafisica che non si sa come tale: è superstizione.
II
Quei caratteri che non sono universali, ovvero che non possono essere propri di tutto l'essere ma solo di alcuni enti (di certi esseri viventi piuttosto che di altri, di certe etnie al contrario di altre, ecc.), vengono ritenuti, in riferimento alla sfera religiosa, antropomorfizzazioni peculiari, che non sono tanto di pertinenza della metafisica quanto piuttosto dell'antropologia, perché relative a ciascuna civiltà, cultura, età, periodo. È così che nasce l'antropologia – dalla liberazione dal Dio della tradizione, ritenuto una proiezione dell'umanità in cui essa si è alienata –, nasce con Feuerbach. Esiste dunque un'essenza della religione dal carattere universale, a cui Feuerbach dedicherà l'opera Essenza della religione.
« Il sentimento di dipendenza dell'uomo è il fondamento della religione; l'oggetto di questo sentimento di dipendenza, ciò da cui l'uomo dipende, e si sente dipendente, non è altro, originariamente, che la natura. È la natura il primo, l'originario oggetto della religione. »
Essenza che si declina nelle molteplici religioni, tra cui il cristianesimo, di cui si occuperà nell'opera Essenza del cristianesimo.
« Il cristianesimo – da tenere ben distinto dalla dottrina di Cristo – associò ai mali inevitabili mali in sé superflui, alle lotte necessarie e immanenti lotte trascendenti che logorano lo spirito, ai dolori, corporali, dolori dell'anima, ai contrasti naturali, contrasti innaturali – il dissidio di Dio e mondo, di cielo e terra, di grazie e natura, di spirito e carne, di fede e ragione. La lotta tra Chiesa e Stato fu solo l'espressione esteriore e politica di questo contrasto agitantesi nell'intimo dell'umanità. Dove l'umanità fa tutt'uno con se stessa, anche il suo mondo non può sfasciarsi in due mondi. »
Seguendo la suggestione di Feuerbach, potremmo affermare che il cristianesimo storico – o tanta parte di esso – è stata la superstizione della dottrina di Cristo, nel senso di superstizione che delineeremo come di seguito. Evincendone – sia detto qui solo di passaggio – che la dottrina di Cristo è per lo più ancora da pensare e tematizzare adeguatamente.
È poco noto, ma significativo, che Feuerbach nel 1838 scrivesse una monografia dedicata al pioniere dell'enciclopedismo, dal titolo Pierre Bayle. Un contributo alla Storia della Filosofia e dell'Umanità, con lo scopo di rimarcare le incrostazioni anacronistiche del cristianesimo:
« con pochi, ma netti tratti, ho descritto la dissoluzione storica del cristianesimo e mostrato che esso da tempo non solo è scomparso dalla ragione, ma anche dalla vita dell'umanità e che non è più altro che un'idea fissa, in stridente contraddizione con le nostre assicurazioni sull'incendio e sulla vita, con le nostre ferrovie e locomotive, con le nostre pinacoteche e glittoteche, con le nostre scuole militari e tecniche, con i nostri teatri e i nostri gabinetti naturalistici. »
Proprio Bayle aveva condotto una campagna mirabile contro la superstizione ben prima di concepire il progetto di un Dizionario storico-critico, segnatamente con l'opera Pensieri sulla cometa (1682). Superstizione è il ricorso a spiegazioni straordinarie rispetto all'abituale corso degli eventi, come denuncia Bayle riferendosi al temuto passaggio della cometa.
« Dal momento che i pretesi presagi delle comete si fondano esclusivamente sui princìpi dell'astrologia, non può che trattarsi di cosa estremamente ridicola, perché non c'è mai stato nulla di più stravagante, di più chimerico dell'astrologia, nulla di più ignominioso per la natura umana, a vergogna della quale sarà in eterno ricordato che ci sono stati uomini in grado di raggirare i loro simili sotto pretesto di conoscere le cose del cielo, e uomini così sciocchi dar loro credito fino al punto di conferire alla carica di astrologo un titolo ufficiale e di non aver il coraggio di acquistare un nuovo vestito o di piantare un albero senza l'approvazione di questo signore. »
Con superstizione intendiamo il richiamarsi a qualcosa che interromperebbe i naturali e abitualmente constatati nessi tra le cose, spezzandone la consequenzialità. Dove però il caso eccezionale che si verifica non va a costituire una specificazione ulteriore di quanto noto, non è occasione di una nuova conoscenza della natura o dell'essere, ma rimane qualcosa di innaturale, inesplicabile, irrazionale. Ciò che, di nuovo, è impossibile: anche la superstizione indica che e perché si debba fare qualcosa piuttosto che qualcos'altro e nel far ciò si colloca nell'orizzonte conoscitivo scientifico, salvo poi non continuare più quell'approfondimento di domande e quindi di ulteriori verifiche in cui consiste l'interminabile della conoscenza. Quindi bisogna rettamente intendere la superstizione come un livello infimo di sviluppo scientifico – anche solo per la pretesa di individuare una qualche causalità – e non come qualcosa che stia di là da quello, poiché è impossibile quanto ritenere che religiosi, teologi, ecc. pensino innaturalmente, irrazionalmente, ecc.
« Noterò a questo proposito che non ci si deve stupire del fatto che un errore divenga generale, se consideriamo quanta poca cura gli uomini si prendano di consultare la ragione, prestando fede a ciò che sentono dire da altri, e tenendo conto di quanto poco profitto traggano dalle occasioni che loro si offrono per disingannarsi. »
« Si trattava sempre di cose contrarie all'esperienza, come ha potuto constatare chiunque si sia preso la briga di controllarle. »
Superstizioso è dunque colui che molto presto si arresta nell'accertarsi di quanto asserisce, che si accontenta di una misera verifica delle conclusioni cui giunge. Così la superstizione non appartiene solo alla sfera religiosa, ma a tutto lo scibile umano. Così come un astrologo non è uno scienziato perché ne riceve il titolo, così neppure è scienza ciò che è proferita da chi oggi abbia acquisito titolo di dottore, scienziato, medico, politologo, ecc. in una qualche università o simil istituzione.
« Risulta da tutto ciò che l'autorità delle persone colte costituisce spesso una garanzia altrettanto insufficiente quanto quella dell'opinione popolare, e che una tradizione fondata su tale autorità non è affatto per questa sola ragione esente da errori. Non dobbiamo dunque lasciarci suggestionare dal nome e dal titolo di uomo di scienza. Come possiamo infatti sapere se questo gran dottore che propone una qualche dottrina si è dato maggior pena per fondarla criticamente, che non un ignorante che crede senza esame? »
Quella postmoderna è una fede che non si sa come tale: è superstizione.
III
Ordunque, dove debbono condurci queste considerazioni sul rapporto tra sovrannaturale e naturale, tra superstizione e scienza, tra fede o irrazionalità e ragione? Alla comprensione che non c'è antitesi tra questi termini, ma che i primi sono gradi di sviluppo inferiore dei secondi e che perciò sono stati impropriamente bollati come altro da quella categoria ontologica cui, in realtà, appartengono.
Così sovrannaturale sembra essere qualcosa di così eccezionale o insolito da esulare da ciò che è ordinario e abituale: ma basta solo farne ulteriore esperienza e abituarcisi perché esso venga poi percepito come accadimento naturale. Così superstizione sembra essere il richiamo a qualcosa di fantasmagorico, ma che appare tale solo una volta che se ne siano mostrate le contraddizioni. Fino ad allora sarà la scienza ad apparire come tale, inaccessibile, distante, eretica. Del resto, chi oggi crede alle onde elettromagnetiche in cui è immerso, allo spazio-tempo e alle sue relative contrazioni, alla meccanica quantistica, all'ingegneria generica e alla clonazione, nonché a tutte quelle applicazioni di cui non ha mai avuto esperienza fino all'occorrenza – dalle medicine che assume ai macchinari a cui si affida su prescrizione medica, ecc. –, ci crede forse a ragion veduta, perché sa? La salvezza dalla superstizione e dall'ignoranza non consiste nella penetrazione di tutte le cose con le quali abbiamo a che fare, ma dalla disponibilità degli esperti a esibire le ragioni di cui dispongono, rispondendo ai nostri chiarimenti, confutando le nostre obiezioni. E ciò per poter dare loro fiducia, per aver fede che le ragioni ci siano, anche se non si conoscono al modo dell'esperto.
La fede sembra essere altro dalla ragione perché appare come non sufficientemente nutrita delle ragioni di ciò che ordinariamente chiamiamo razionale: infatti anche i contenuti della fede sono scelti al posto di altri per delle ragioni, le quali rendono quei contenuti di fede dei contenuti che posseggono un qualche grado di razionalità. Ma proprio ciò che la ragione indica non solo è sempre perfettibile, ma è sua esperienza che tutto ciò che ha ritenuto come certo, scientifico, indubitabile, ecc. si è presto o tardi rivelato come un errore rispetto al nuovo risultato conseguito, alla nuova comprensione conquistata: ecco che così ogni ragione attuale si sa come fede! Come fede che quel che ora tiene per vero sia tale, anche se successivamente si rivelerà falso alla luce dei nuovi progressi nel percorso conoscitivo. Questo vale sia per ogni campo di specializzazione, sia per tutti gli infiniti temi dei quali non ci è dato approfondire e che – per le limitate forze umane – dobbiamo tenere per veri. In generale, non potendo accertarci della contraddittorietà di tutte le tesi opposte immaginate ed immaginabili, dobbiamo aver fede della tesi che abbracciamo. Quindi, ogni atto di ragione è assieme un atto di fede, per la possibilità sempre aperta che quel sapere potrà essere smentito; parimenti, ogni atto di fede è assieme un atto di ragione, proprio perché abbraccia quella fede e non un'altra, per le ragioni addotte ad ogni tentativo di dissuadere da quella fede e seguirne un'altra.
Così oggigiorno molti, moltissimi credono di essere disincantati: credono di non credere più alla tradizione, ma senza essersi mai accertati in che cosa realmente non credano; credono di non credere, ma non sapendo che ogni sapere è un credere più o meno consapevole. Così, presuntuosamente, mentre si credono immuni dalla superstizione, ne sono l'incarnazione nell'aggiornata versione postmoderna.
Nel cielo del nichilismo riluce la cometa della superstizione.
21 settembre 2018