La fragilità della perfezione

 

In un mondo che esige la perfezione in ogni ambito della quotidianità e che rifiuta l’accettazione di quei tratti essenzialmente umani ma rivelanti debolezza, l’uomo è indotto a rifugiarsi all’interno di un castello di vetro, scintillante ma estremamente fragile.

 

di Alessandra Zen

 

Giorgio de Chirico, "Piazza Italia" (1913)
Giorgio de Chirico, "Piazza Italia" (1913)

 

Caratteristica sempre più palese dell’uomo postmoderno, ovvero dell’abitante delle società contemporanee, risulta quella tendenza irrimediabilmente esasperata al raggiungimento di una perfezione sempre più  “perfetta”, se tale può essere definita. 

 

Con “perfezione” si intende la realizzazione del grado qualitativo più alto, conseguentemente scevro di difetti e, per questa ragione, assoluto. Tale condizione corrisponde allo stadio di completo sviluppo di un preciso aspetto della realtà. 

 

La dimensione della perfezione risulta oramai aver pervaso qualunque ambito della quotidianità degli individui postmoderni, dal lavoro, l’educazione, le attività di natura economica, per concludere nell’aspetto delle relazioni umane. La condotta dell’uomo postmoderno, se analizzata con cura, appare caratterizzata da  un’inesorabile frenesia, tutta finalizzata al raggiungimento di livelli di perfezione inauditi. È in tale contesto che lo sviluppo del concetto moderno di progresso sta trovando terreno fertile: gli individui, spinti ad agire secondo il mantra della perfezione, non possono che concepire aprioristicamente in maniera assolutamente positiva il progresso, non più inteso come orientamento verso la chiarificazione di concetti e idee, bensì come movimento verso continue novità, considerate sempre più perfette e sempre migliori delle precedenti. 

 

              Umberto Boccioni, "La città che sale" (1910)
Umberto Boccioni, "La città che sale" (1910)

La continua frenesia, terreno sul quale si fonda la vita contemporanea, non può che condurre l’uomo all’interno di un circolo vizioso, la cui uscita da esso comporta notevoli difficoltà. La velocità con cui la vita viene condotta, infatti, non permette all’uomo di riflettere su se stesso e sulla realtà che sta abitando. Le uniche preoccupazioni giornaliere consistono nel mantenere un’immagine di uomo efficiente, tuttofare, scevro di qualsiasi difetto e debolezza. Perché tale frenesia, in realtà, rappresenta l’unico antidoto adatto a sfuggire, almeno apparentemente, all’incertezza divenuta oramai costitutiva della società postmoderna. 

 

Zygmunt Bauman, nelle sue opere, offre chiaramente un quadro descrittivo degli orizzonti postmoderni. Nella sua opera Modus vivendi. Inferno e utopia nel mondo liquido afferma:

 

« Il terreno su cui poggiano le nostre prospettive di vita è notoriamente instabile, come sono instabili i nostri posti di lavoro e le società che li offrono, i nostri partner e le nostre reti di amicizie, la posizione di cui godiamo nella società in generale e l'autostima e la fiducia in noi stessi che ne conseguono. Il "progresso", un tempo la manifestazione più estrema dell'ottimismo radicale e promessa di felicità universalmente condivisa e duratura, si è spostato all'altra estremità dell'asse delle aspettative, connotata da distopia e fatalismo: adesso "progresso" sta ad indicare la minaccia di un cambiamento inesorabile e ineludibile che invece di promettere pace e sollievo non preannuncia altro che crisi e affanni continui, senza un attimo di tregua. »

 

Zygmunt Bauman (1925-2017)
Zygmunt Bauman (1925-2017)

 

Lo studioso polacco, in Amore liquido, prosegue: 

 

« La vita del consumatore predilige la leggerezza e la velocità, nonché la novità e la varietà che si spera leggerezza e velocità stimolino e facilitino. È il ritmo del susseguirsi di acquisti, non il loro mero volume, che misura il successo nella vita dell’homo consumens. »

 

Il successo di cui Bauman tratta pare essere raggiunto anche mantenendo quella parvenza di perfezione ed efficienza oggi richiesta per sopravvivere all’interno della società. Ma può la sopravvivenza coincidere con l’azione del vivere? Oggi si ha l’impressione che la maggior parte delle persone raggiunga un mero livello di “sopravvivenza”, non trasformabile in “vita”  vera e propria, per la ragione che l’atto del vivere comporta riflessione, approfondimento e conoscenza autentica. Per mantenere quella parvenza di perfezione, gli individui tendono ad allontanare quei tratti di loro stessi connotati da difficoltà, debolezze, negatività, aspetti che, in quanto essenzialmente intrinseci alla natura umana, non potranno mai essere eliminati. Il loro ripudio e rimozione, anche se solo apparenti, attraverso gli strumenti della frenesia e velocità, non conducono ad altro che all’insorgere di patologie concernenti la personalità. In un mondo che esige la perfezione in ogni ambito della quotidianità e che rifiuta l’accettazione di quei tratti essenzialmente umani ma rivelanti debolezza, l’uomo è indotto a rifugiarsi all’interno di un castello di  vetro, scintillante ma estremamente fragile. 

 

Edward Hopper, "Western Motel" (1957)
Edward Hopper, "Western Motel" (1957)

 

Poiché l’unico modo di superare le proprie incertezze consiste nel riconoscerle e analizzarle profondamente, la non accettazione di una parte costitutiva del Sé non può che sfociare nella patologia. La profonda ambiguità e incertezza della società postmoderna non fanno altro che lenire solo in superficie le sofferenze, le quali, però, continuano segretamente ad accrescere fino a sfociare in esiti quasi irrimediabili se non affrontati  per tempo.

 

Sempre il sociologo polacco Bauman, in Amore liquido, descrive tale meccanismo:

 

« La consapevolezza di questa ambiguità è snervante e genera un’ansia infinita; alimenta un’incertezza che può essere solo temporaneamente lenita, mai estinta del tutto. Lacera qualunque condizione/scelta ottenuta con tormentosi dubbi sulla propria correttezza e saggezza. Ma protegge anche dall’umiliazione dell’esito insoddisfacente e del fallimento. C’è sempre la possibilità di attribuire la colpa a una scelta errata, piuttosto che a una incapacità di dimostrarsi all’altezza delle opportunità offerte. »

 

Si evince come non esista possibilità di scacciare l’ansia divenuta costitutiva dell’essere umano attraverso la non assunzione della consapevolezza dei propri limiti e incertezze, la cui origine viene attribuita a fattori esterni. La soluzione a questa condizione di tormento interiore diventa un’educazione basata sul dialogo e sul confronto, le uniche armi che consentono la conoscenza dell’Altro e, conseguentemente, di se stessi. Inizia a percepirsi la profonda necessità di invertire l’andamento nichilistico di questi anni per evitare che l’uomo cada inesorabilmente nel baratro della sua mera esistenza. 

 

14 settembre 2018

 








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