Come considerare le ultime dichiarazioni di Salvini sul presunto sequestro della nave Diciotti che gli è stato imputato? Un elemento emerge su tutti, fondamentale ed esemplare.
Più volte, nel corso del suo ventennio, Berlusconi ha liquidato le Istituzioni legittimate dal potere legislativo dinanzi – a suo dire – alla forza che Egli incarnava: il potere esecutivo legittimato dal popolo italiano (benché fosse, comunque, una parte).
Ora è il turno di Salvini, che ieri in diretta Facebook ha affermato:
« Qua c'è sostanzialmente la certificazione che un organo dello Stato indaga un altro organo dello Stato. Col la piccolissima differenza che questo organo dello Stato [Salvini indica se stesso] – pieno di difetti, per carità di Dio, e di limiti – è Stato eletto da voi. Cioè a questo Ministro avete chiesto voi di: controllare i confini, di controllare i porti, di limitare gli sbarchi, di limitare le partenze, di espellere i clandestini; quindi me lo avete chiesto e vi ritengo miei amici, miei sostenitori, miei complici. Altri non sono eletti da nessuno e non rispondono a nessuno. »
In generale, chiediamoci: se la maggioranza di un popolo, sconvolta da un efferato delitto o da un’inaudita violenza, fosse risoluta a condannare a morte il criminale, legittimamente lo si dovrebbe giustiziare saltando a piè pari quanto previsto dalle sue leggi?
Se in preda all’ira o alla delusione ogni singola parte del nostro corpo fremesse per un’azione violenta, e quel sentimento perdurasse; se arrivassimo alla premeditazione, e volessimo la vendetta per quel delitto di cui siamo vittime, saggiamente salteremmo a piè pari quanto previsto dalla nostra ragione?
Aggiungiamo quindi l'evento di queste settimane. Se un Ministro, davanti a una situazione di estrema difficoltà – poiché 5 milioni di italiani versano in condizioni di indigenza, perché l'Unione Europea non stenta a sembrare una congregazione di affaristi e di terroristi dello spread, perché un problema migratorio esiste, per quanto possa essere maldestramente enfatizzato e strumentalizzato – decidesse di violare le leggi statuali e il diritto universale anche di un solo bambino – perché il popolo glielo chiede! – sarebbe con ciò legittimato a farlo? In nome del popolo italiano e contro rappresentati delle Istituzioni non eletti per mezzo di elezioni politiche?
I prodotti della ragione, formalizzati in massime o leggi, sono la garanzia che ci salva dalla furia con cui singoli eventi della nostra vita potrebbero rapirci, stravolgendola. La nostra ragione non si contrappone alle passioni, come per millenni la nostra tradizione ha insegnato, ma mette ordine tra esse, impedendo il loro pulsare confuso. Grazie al ragionare sulle più svariate situazioni nelle più svariate condizioni ci creiamo quella visione del mondo entro cui interpretare i singoli eventi. Se noi non distillassimo invece le nostre esperienze e le nostre riflessioni in una costituzione organica, allora i singoli eventi determinerebbero di volta in volta la nostra intera visione del mondo. Sarebbe il caos: saremmo in balia di ogni nostra momentanea disposizione, vivendo il contraddittorio e schizofrenico susseguirsi di quegli stati d’animo che di volta in volta gli eventi provocherebbero. In un momento apparirebbe legittima la democrazia, nel successivo momento di incertezza la dittatura. In un altro l’inevitabilità della pena di morte, in quello seguente la sua assurdità. Ora l’essenzialità della vita familiare, poi il nostro poterne fare a meno. Nei momenti di gioia abbracceremmo la vita, nelle delusioni la negheremmo.
La ragione è ciò che ci salva da questa condanna: riordina e fa presente a noi stessi l’intera storia della nostra vita, non consentendo che la passione appena affiorata in noi ci aggredisca rinnegando tutta quella storia che noi siamo. Con il peso della nostra storia che la ragione custodisce ponderiamo il nuovo che ci si presenta. L’essenza della nostra storia, che la ragione dispone in massime e leggi, quella è la garanzia della nostra vita.
Il richiamo al volere momentaneo del popolo non legittima nulla, così come il richiamo alla nostra preferenza passeggera non giustifica le nostre scelte. Essere interpreti del volere di un popolo non significa negare quanto non collimi con la sua preferenza, ma mostrare come quella preferenza possa collimare con quanto di meglio appartenga alla sua tradizione e alla sua identità. La costituzione e le leggi di un popolo sono la sua propria garanzia, la salvezza da se stesso. Le si cambino, ma con quel rispetto che si deve a quanto di quel popolo costituisce la sua concreta identità e la sua vera dignità.
8 settembre 2018
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