Quando ci si accorge che i comfort materiali non sopperiscono alla mancanza di valori che la società propone, allora l’insoddisfazione è l’unica risposta che si riesce a dare alla realtà.
di Giacomo Lovison
La depressione viene definita il “male del secolo”: ecco alcuni dati che testimoniano, non solo l’elevato numero di depressi nel mondo, ma soprattutto l’aumento che si è avuto negli ultimi dieci anni.
Come si spiega questo aumento di depressi di fronte ad una società, che mostra al contrario segni di progresso in ogni altro ambito?
« Mentre la civiltà ci ha migliorato le case, non ha ugualmente migliorato gli uomini destinati ad abitarle. Ha creato palazzi, ma non è stato così facile creare nobili e re. » (Henry David Thoreau, Walden. Vita nel bosco)
Viviamo in un periodo storico in cui il progresso materiale viene visto come separato, e molto spesso contrario al progresso spirituale. Quando ci si accorge che i comfort materiali non sopperiscono alla mancanza di valori che la società propone, allora l’insoddisfazione è l’unica risposta che si riesce a dare alla realtà.
Dopo aver speso decenni ad inseguire i falsi valori propugnati dalla nostra società (ricchezza, fama, potere, etc.) e si scopre l’illusorietà di questi ultimi, la reazione più comune è quella di un malessere interiore nei confronti della realtà.
Questa visione di una società che propone valori illusori è un concetto che è stato evidenziato da un grande numero di scrittori, ma anche musicisti e artisti in generale.
Basta aver letto un romanzo, o un racconto di Kafka per accorgersi di come la sua rappresentazione della realtà circostante abbia molte somiglianze con la società di cui abbiamo esperienza ogni giorno.
Un mondo che segue delle leggi tutte sue, che invece di proporre dei valori agli individui che la abitano, non fa che bombardarli con una serie di aspettative e sogni effimeri, che prendono le sembianze di una prigione, da cui è impossibile scappare.
Sogni illusori, che l’individuo non può far altro che seguire, perché, se anche volesse, non avrebbe dei valori alternativi da abbracciare. La società ci ha pure sempre insegnato che un’alternativa non può essere trovata.
Ed è questa la realtà che Kafka, attraverso la descrizione del sistema giudiziario presente nel romanzo Il processo, ci mostra:
« L’unica via giusta è quella di accettare le condizioni esistenti. Anche fosse possibile correggere qualche particolare (ma è un assurdo pregiudizio), si avvantaggerebbe nella migliore delle ipotesi qualche caso futuro, e si avrebbe un danno enorme attirando la specifica attenzione degli impiegati che sono sempre vendicativi. Non dare mai nell’occhio! Mantenersi calmi anche se contro le proprie convinzioni! Cercar di comprendere che questo grande organismo giudiziario rimane, per così dire, sospeso in perpetuo e, quando si modifichi qualcosa di propria iniziativa, ci si scava il terreno sotto i piedi e si può precipitare, mentre il grande organismo trova per il più piccolo disturbo una facile sostituzione altrove (poiché tutto è collegato) e rimane immutato, sempre che, cosa ancora più probabile, non diventi magari più attento, più serrato, più severo, più cattivo. »
Un altro protagonista della critica ai valori effimeri incarnati dalla società, è senz’altro Nietzsche. Colui che ha interpretato, forse meglio di tutti, la decadenza dei valori universali che erano stati la guida, fino a quel momento, della società. Così, per esempio, ne La gaia scienza:
« Il più grande lavoro degli uomini fino ad oggi fu quello di mettersi d’accordo gli uni con gli altri su moltissime cose e d’imporsi una legge dell’armonia ‒ indifferenti al fatto che queste cose fossero vere o false. »
Se Kafka e Nietzsche sono da sempre riconosciuti, a torto o a ragione, come due dei maggiori esponenti del nichilismo, è utile prendere in esame un autore come Henry David Thoreau, che sebbene sia tutto fuorché nichilista, condivide con i due autori sopra citati la visione della realtà che lo circonda.
A testimoniare questo suo rifiuto nei confronti della società c’è un episodio biografico: nel 1845, come forma di protesta contro la società malata in cui viveva, decise di stabilirsi in una capanna costruita da lui stesso, sulle rive del lago Walden.
«Andai nei boschi perché cercavo solo i fatti essenziali della vita, senza scoprire, giunto alla morte, di non aver vissuto.» (Henry David Thoreau, Walden. Vita nel bosco)
Thoreau spiega inoltre come la solitudine, che ricerca nella sua capanna, sia una necessità di fronte all’inadeguatezza della realtà esterna e degli individui che la abitano.
« Trovo salutare essere da solo per gran parte del tempo. Essere in compagnia, anche dei migliori, è spesso stancante e fatuo. Amo essere da solo. Non ho mai trovato un compagno che mi desse tanta compagnia come la solitudine. Per lo più, siamo più soli quando usciamo tra gli uomini che quando restiamo nella nostra camera. » (Ivi)
« La compagnia è normalmente troppo facile da avere. Ci incontriamo a brevi intervalli, senza aver avuto tempo di acquisire alcun nuovo valore per l’altro. […] Abbiamo dovuto concordare un certo sistema di regole, chiamato etichetta e buona educazione, per rendere tollerabili questi frequenti incontri, perché non si giunga alla guerra aperta. » (Ivi)
Viviamo in una realtà che non trasmette più valori, e che si vanta di questo suo distacco dalla morale. La maggior parte delle persone, vive invece la propria esistenza, non accorgendosi della realtà malata di cui fa parte.
È bene però capire come non ci sia una separazione netta tra chi è consapevole della realtà che lo circonda e chi non lo è. Bisogna invece vedere la realtà come un sostrato comune a tutti, da cui nessuno può emanciparsi completamente.
Il primo errore consiste nel credere di rendersi completamente indipendenti dalla realtà. Ma come si può distaccarsi da qualcosa che ha formato i nostri pensieri, e le nostre azioni? Anche la critica alla società è frutto di quella realtà che si cerca di screditare.
Il secondo errore consiste nel tentativo di allontanarsi dalla realtà, credendo di diventare così più consapevoli. Non si conosce qualcosa allontanandosi da essa, guardandola da una distanza di sicurezza attraverso un binocolo, ma si capisce profondamente quella cosa solo se la si guarda da vicino, e si tenta di immedesimarsi nello spirito di quest’ultima.
Non dobbiamo isolarci dopo aver scoperto le contraddizioni della realtà, ma aiutare coloro che sono meno consapevoli di noi a vedere i problemi che noi stessi osserviamo: solo così si farà un passo avanti nel superamento della realtà che non ci soddisfa.
« Rivelare al mondo qualcosa che lo interessa profondamente e che fino ad allora ignorava, dimostrargli di essere stato in errore su certi punti vitali, di interesse temporale o spirituale è il servizio più importante che un essere umano possa rendere ai suoi simili. » (John Stuart Mill, La libertà)
5 agosto 2019
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