E tu, Occidente, ce l'hai un'anima? (II)

 

Il fenomeno dell’immigrazione ha comportato, in Italia e più in generale in Occidente, il riemergere di visioni politiche nazionaliste e, con esse, riportato in auge il valore dell’identità culturale declinata in ottica nazionale, europea ed occidentale tout court. Ma allora: questa identità esiste o è un mito? L'Occidente è in pericolo oppure è solo una paura inoculata ad arte? Le due visioni politiche antagoniste quanto sono solide al loro interno?

 

 

Ѐ tempo di passare dall’altra parte del campo da gioco andando a trovare i sostenitori dell’incontro col diverso, dell’apertura a tutti coloro che vogliono una nuova vita, insomma: quelli che vivono con imbarazzo il sentir parlare di “identità occidentale” e che di fronte a queste parole rispondono elencando gli orrori del passato.

 

Anche questa posizione, se guardata più a fondo, vive di un paradosso. Se è vero che non esiste un’identità occidentale la domanda, come si suol dire, sorge spontanea: perché ritenerci colpevoli del passato? Se rifiutiamo l’idea di un’identità culturale data dalla continuità storica, perché cercare di presentare gli europei come in debito e, comunque, colpevoli, di fronte a questi popoli? Che cosa dovremmo farci perdonare se l’ “Occidente” è solamente una mitologia? Si potrebbe dire che in questa posizione vive un ulteriore paradosso, cioè ritenere che le colpe dei padri ricadano sui figli ma, nello stesso tempo, non ammettere che si possa parlare di “padri” e “figli”. Una possibile via di uscita sarebbe quella di rispondere che siamo certamente legati dalla storia ai nostri antenati, i quali si macchiarono della grave colpa del colonialismo, ma che questa è una questione diversa dal problema dell’identità culturale. Tale identità non esiste perché l’Europa è sempre stata tante cose assieme, anche contraddittorie, e ciò cozza con il concetto stesso di identità.

 

Ma questa risposta, plausibile sulle prime, non sembra essere così forte, in essa si celano due interrogativi sbrigativamente risolti. Innanzitutto: è possibile separare così spensieratamente la storia dalla cultura? Se siamo legati storicamente all’epoca del colonialismo, lo siamo anche culturalmente. Basti pensare all’ideologia coloniale così ben espressa dal “Fardello dell’uomo bianco” di Kipling. Nella poesia, come è noto, Kipling afferma che è compito degli occidentali prendersi cura di queste genti, vegliare questi popoli ‘inquieti’ nel senso di nomadi, sempre in viaggio. 

 

 

A ben vedere, e pur animati da ottime intenzioni, la cura e lo zelo che traspaiono dall’entusiasta volontà di accogliere i nuovi migranti nasconde, in modo edulcorato e politically correct, l’idea che, comunque, ci voglia l’uomo bianco per salvare quei popoli selvaggi. Come dire: una scialuppa da soli non sono proprio in grado di costruirsela, imbarchiamoli sulla nostra, perché siamo la loro unica speranza di salvezza. Insomma: venite perché se la civilizzazione non viene più da voi, allora verrete voi alla civilizzazione. E’ duro dirlo e, per chi scrive, lontano dal proprio sentire ma l’unico atteggiamento coerente per chi volesse mettersi alle spalle un certo passato sarebbe o di lasciare quei popoli ad una vera autodeterminazione o, se proprio l’uomo bianco ci vuole, aiutarli fattivamente e concretamente "a casa loro" (il che significa anche: lasciargli sfruttare, per davvero, le proprie risorse). 

 

Vige sospeso, inoltre, un ulteriore interrogativo: ma il fatto che l’occidente sia stato un melting pot di idee e valori diversi, anche in contrasto, giustifica la convinzione che non vi sia un’identità culturale? Si potrebbe rispondere suggerendo l’immagine del mosaico: tante tessere di colori diversi riescono, comunque, a formare una figura che, come in tutti i mosaici, si vede tanto meglio quanto meno si è vicini così come, a guardare bene indietro tutta la nostra storia, la sensazione che ci sia qualcosa di squisitamente europeo e occidentale sorge spontanea. Certo, a veder da vicino la figura d’insieme si perde e si esaltano solo le differenze ma ciò non toglie che, unite, non possano formare una figura ben definita. Per convincersene, basterebbe pensare che l’aver avuto, da parte dell’Occidente, una storia culturale così eterogenea, complicata e contraddittoria ci ha reso una civiltà del dubbio, della critica; il che è, sicuramente, una caratteristica specifica.

 

L’ultimo rilievo che si può fare al pensiero “anti-identitario” è il seguente: poche cose sembrano più contraddittorie come quella di battersi per un mondo che accoglie e non respinge, i cui orizzonti mentali e culturali siano sempre più all’insegna dell’apertura e della tolleranza ma nello stesso tempo, ritenendo questa posizione/ideale un principio irrinunciabile, quindi ideologico, favorire una società che negherà inevitabilmente, ancora più di oggi, questa prospettiva. Il rifiutarsi di mettere un limite agli arrivi di persone in cerca di una seconda chance trascura il problema quantitativo considerandolo, appunto, meramente quantitativo ma, come ci ha insegnato Hegel, la quantità, oltre una certa soglia, diventa qualità. Ciò significa che, per forza ed evidentemente, il non voler sentir parlare di limiti all’immigrazione, essendo gli immigrati a larga maggioranza musulmana, prepara un cambio qualitativo della società del futuro, la quale sarà sempre più orientata a norme, consuetudini e leggi a carattere islamico. Il punto è che l’accoglienza senza limiti per ragioni ideologiche porterà inevitabilmente ad una società che negherà i valori alla base di chi vuole accogliere. Oppure, detto altrimenti, un conto è integrare minoranze musulmane, un altro è vivere da minoranza in un paese a maggioranza musulmana.

 

Se ragioniamo in termini europei, occorre senza pregiudizi di sorta leggere le proiezioni demografiche che sono state fatte e riconoscere, dati alla mano, che ci sono tanti problemi, e gravi, riguardo alle minoranze musulmane in Inghilterra, Svezia e Germania. Uno spirito davvero libero e curioso non può non essere interessato a conoscere la cultura e la storia della civiltà musulmana ed è vero che spesso il passato e il presente dell'Occidente suscitano orrore, ma chi di noi rinuncerebbe a essere “europeo”? Ѐ indiscutibile che l’Islam abbia molti tesori artistici e culturali in generale, ma chi di noi scambierebbe tutto ciò con la filosofia greco-tedesca, la letteratura, l’arte e la scienza occidentale? Le due tradizioni possono convivere, certo, ma dobbiamo avere ben chiaro che potranno convivere finché avremo i numeri dalla nostra parte. Credo che noi tutti, retorica dell’ ”apertura mentale” a parte, saremmo ben contenti di continuare a coltivare quel culto del dubbio che ci hanno fatto costruire miriadi di storie e avventure (soprattutto intellettuali).

 

Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789)
Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (1789)

 

Si dirà, comprensibilmente, che oggi non corriamo questo pericolo ma il punto è che o si afferma una questione di principio e allora bisogna sostenere che all'immigrazione non vadano messi limiti e allora la situazione che si creerà sarà inevitabilmente quella prospettata oppure si afferma che dei limiti vadano posti ma che semplicemente dovrebbero essere ‘alzati' rispetto a quelli che ritengono i sovranisti; solo che in quest'ultimo caso non vi sarebbe la possibilità di rivendicare quella sorta di superiorità morale/valoriale nei confronti di chi vuole chiudere ora i porti. Sarebbe una mera differenza di ‘numeri' e le posizioni sarebbero più vicine di quel che sembra.

 

In conclusione, sembra che il problema non possa risolversi finché si rimane nella rigidità ideologica di entrambe le posizioni. Allora, cos’è l’Occidente? Occorre comprendere a fondo di cosa stiamo parlando. Se, come fanno i più ottusi tra gli identitari, diciamo che l’Occidente ha dei valori irrinunciabili nello stile dei già citati “Dio, Patria e Famiglia” allora non ci siamo. E non ci siamo nemmeno se pensiamo all’Occidente come un ammasso casuale, disordinato e scollegato di idee/valori.

 

No, la grandezza e l’identità dell’Occidente stanno altrove. L’Occidente ha saputo, molto spesso, porre una sintesi superiore ai contrasti; sintesi che, come insegnava Hegel, innalza l’unilateralità della tesi e dell’antitesi ad una verità superiore, nel senso di più ricca, più feconda. Ad esempio, se pensiamo al tema dei “diritti umani” che tante volte, riguardo ai vari respingimenti dei migranti, viene evocato, ci troviamo di fronte a un concetto che è frutto del pensiero classico-cristiano e della riflessione razionalista-illuminista tra ‘600 e ‘700. Recentemente si è espresso in termini simili F. Julienne (il quale nega, va detto, che la sintesi hegeliana possa essere avvicinata alla sua prospettiva) che nel testo pubblicato per Einaudi L’identità culturale non esiste tratta del concetto di scarto in opposizione a quello di differenza e di cui riportiamo una sintesi (M.Porro su www.doppiozero.com):

 

« Abbiamo smarrito l’ideale dell’unione europea sognando di poterne definire l’identità, in cerca di “radici” cristiane o greche: ma ciò che fa l’Europa è proprio il fatto di essere al tempo stesso cristiana e laica, di essersi sviluppata nello scarto tra la ragione e la religione, tra la fede e i Lumi, nella tensione che ha ravvivato entrambi. Le risorse si alimentano vicendevolmente e non si escludono. Non sono da esaltare o predicare, sono a disposizione ma non ci appartengono e l’unico modo per difenderle è attivarle e promuoverle, non proclamarsene sostenitori. Come il guardiano alla porta della Legge nella parabola di Kafka, al massimo si può essere custodi della verità, mai possessori. »

 

E’ sempre stata questa la grandezza dell’Europa; una grandezza che costituisce la sua identità: il non avere valori immutabili unita al potere unico di crearli. Questa è la specificità occidentale da difendere non dagli altri ma, più che altro, da noi stessi.

 

14 aprile 2019

 




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