La memoria è fondamentale per l'anima: permette di sviluppare le capacità dell’intelletto e per questo non bisogna mai sottovalutarla.
di Andrea Michieletto
Solitamente, quando parliamo dell’azione di ricordare, intendiamo riferirci alla capacità del nostro cervello di immagazzinare informazioni temporaneamente o permanentemente, siano esse frutto di esperienze, di conoscenze oppure dei sensi. Questa abilità dell’intelletto si chiama memoria ed è presente, in modo più o meno marcato, in tutti gli animali. Essa è partecipe delle attività fondamentali della mente, tipiche del pensiero umano, quali l'elaborazione, il ragionamento, l'intuizione e la coscienza.
Secondo la psicologia, i processi che cooperano all’attività mnemonica sono sostanzialmente i seguenti: l’acquisizione degli stimoli esterni, la ritenzione di essi nella mente per un determinato lasso di tempo e infine il recupero o richiamo, cioè il riemergere dei ricordi, mediata dalla consapevolezza degli stessi, cioè dal fatto che abbiamo coscienza di quello che ricordiamo.
Il riaffiorare del ricordo avviene quando ci si ritrova a che fare con la conoscenza da esso acquisita: si può dunque pensare che ottenere conoscenze circa “qualcosa” di ignoto, per mezzo del ragionamento, significhi ricordare quel “qualcosa”. Ciò accadrebbe perché, secondo Platone, ogni anima prima di incarnarsi in un corpo mortale osserverebbe per più o meno tempo l’iperuranio, un luogo in cui sarebbero collocate tutte le idee perfette. Quando l’anima si reincarnerebbe poi nel corpo, essa “scorderebbe” le idee viste senza però perderne totalmente il ricordo; così, in vita, queste riaffiorerebbero alla mente secondo lo stimolo delle sensazioni. Scrive il filosofo nel Fedone:
« Ma quando il ricordo di qualcosa viene stimolato da qualche altra cosa che le somiglia, necessariamente, non vien fatto di pensare se vi sia somiglianza più o meno perfetta tra l'oggetto che ha suscitato il ricordo e l'immagine ridestatasi nella nostra memoria? »
In questo senso per Platone conoscere vale a dire ricordare. Aristotele invece sostiene che la memoria sia una “immagine mnemonica” di natura sensibile. Essa è in potenza un’immagine, un pensiero, che muovendosi va dal corpo all’anima, la quale lo traduce in atto, così come avviene per l’immagine di un oggetto dipinto, che richiama la realtà di tale oggetto.
Con la memoria tornano spontaneamente alla mente le cose del passato, con la reminiscenza cerchiamo di recuperare coscientemente un pezzo dell’essere che era stato dimenticato. Quindi l’esperienza del ricordare è un necessario costituente dell’io e ne implica l’esistenza. Difatti se non vi fosse la possibilità di ricordare alcunché, tra cui chi siamo e che cosa vogliamo (beninteso, non mi sto riferendo alle origini dell’universo), non avrebbe luogo la consapevolezza dell’ego, il quale non avrebbe cagione di compiere le azioni da cui è costituito, quali elucubrare, riflettere e pensare con logica.
Perciò, se l’identità individuale è connessa a quanto ciascuno ricorda di sapere di sé stesso, ogni nuovo ricordo può, tanto o poco, modificare la percezione del passato, e di sé.
L’identità, anche inconsapevolmente, viene riscritta in ogni istante dell’esistenza; i contenuti della memoria infatti mutano nel tempo, e non obbligatoriamente a causa di amnesie: nuove informazioni possono aggiungersi a quelle che già si possiedono e cambiarne la rilevanza e il senso. Allora anche per questo motivo i noi di ieri non sono gli stessi dei noi di oggi, ed è per la stessa ragione che quando rivanghiamo il passato, ad esempio aprendo un album di fotografie, accade sovente che non ci riconosciamo: alcune delle relazioni che avevamo con il mondo e con noi stessi sono cambiate.
La memoria è sorgente di innovazione e inventiva: poiché nulla si crea dal nulla, e la creatività consiste nella ricombinazione di idee preesistenti, la memoria rende possibile il verificarsi di tale azione.
Un altro aspetto che genera discussione è il dimenticare. Se lo stabilirsi di nuove connessioni fra i neuroni consente il consolidarsi di ricordi, allora l’indebolimento di queste connessioni sarebbe il meccanismo legato alla perdita di memoria. Un modo tramite cui i ricordi potrebbero perdersi sarebbe la creazione di nuova memoria che sostituisce la precedente. In ogni caso, un giusto equilibrio tra ricordare e dimenticare può consentire di prendere decisioni più intelligenti, o di adattarsi meglio a nuove situazioni, lasciando che vadano perse le informazioni inutili.
Il dogma artificioso che considera la memoria come un perfetto e funzionale archivio è così scardinato; la visione d’insieme è molto più strutturata: la memoria è capace di semplificare, dimenticando, ma è soprattutto uno strumento di ricerca per nuove conoscenze, capace di generare sempre nuovi pensieri sulla base di quelli già concepiti.
29 aprile 2019