Il dovere è l’obiettivo delle proprie azioni, scegliere di farlo è la condizione imprescindibile della sua realizzazione.
di Simone Basso
Quotidianamente ci si trova a fare numerose scelte, alcune poco impegnative che si compiono senza pensarci troppo su, altre riguardanti questioni importanti e complesse. Il modo in cui più frequentemente si vanno ad affrontare queste decisioni è una valutazione, condotta talvolta anche inconsciamente, delle conseguenze delle diverse possibili azioni che possono essere intraprese in una determinata circostanza, ovvero una considerazione dei diversi effetti che ne deriverebbero.
Nel più o meno vasto spettro di possibilità di scelta che si pongono nei diversi momenti della vita, che ruolo assume, quello che viene chiamato “dovere”? Cosa si intende quando si afferma che si “deve” agire in un determinato modo?
Sicuramente questo termine può assumere diverse accezioni, il cui significato molto spesso è maggiormente comprensibile nel contesto della frase e della situazione in cui viene pronunciato: il dovere che si riferisce ad una necessità "Per vivere ci si deve nutrire"; il dovere che si riferisce al rispetto normativo, ad una legge "Per Legge non si deve uccidere"; o il significato di dovere che sottende al rispetto di una certa moralità "Nella vita si deve dire la verità". Questi tre significati sono inestricabilmente legati tra loro e condividono, tra gli altri, un tratto peculiare: la possibilità di scegliere se adempiere o meno a quel dovere. Si può smettere di mangiare e quindi decidere di non rispettare questa necessità fisica, ma il corpo deperirà. Si può non osservare una legge e uccidere qualcuno, infatti ciò accade, ma se ne subiranno le ripercussioni giudiziarie. Così come si può scegliere di mentire, rinunciando a rispettare una certa regola di comportamento, ma ciò influirà inevitabilmente su chi si è e nel valore delle relazioni che si instaureranno con gli altri. Naturalmente tutte queste azioni con le relative conseguenze intervengono nel determinare chi siamo e da qui sorge l’importanza di una buona valutazione delle scelte.
Spesso nell’osservazione dei casi concreti accade che questi significati siano presenti contemporaneamente nella stessa situazione. Ad esempio quando si afferma “Oggi devo andare a lavoro”, il dovere a cui ci si riferisce può essere quello legale, ovvero il dovere enunciato dalla Legge che disciplina l’osservazione e l’adempimento di un certo contratto di lavoro. Altro significato a cui il termine dovere in questa frase può riferirsi è quello di dovere morale, secondo il quale, l’andare a lavoro e svolgere una determinata mansione è considerato un impegno ad esempio nei confronti della comunità in cui si vive, per apportare il proprio contributo al funzionamento generale della società. Oppure sempre questa stessa frase può riferirsi anche alla necessità di andare al lavoro per garantirsi uno stipendio e quindi la possibilità di mantenersi. Il termine dovere quindi può assumere e contenere molteplici sfaccettature, anche all’interno della stessa affermazione. Anche in tutti questi casi, però, il dover andare a lavoro non è mai l’unica alternativa possibile, anzi. L’azione del recarsi presso il luogo di lavoro e di svolgere le proprie mansioni non risulta essere una costrizione fisica, ma l’espressione di una preferenza rispetto alle conseguenze che il non rispetto di quell’impegno arrecherebbero, ovvero: le conseguenze sulla propria disponibilità economica, le conseguenze legali della mancata osservazione del contratto, le ripercussioni nella fiducia degli altri e nel resto della società.
Che cos’è dunque il dovere?
Il dovere è il rispetto dell’accordo che si è preso, sia esso nei confronti degli altri sia esso nei confronti di se stessi; esso è il perseguimento della coerenza delle proprie azioni con la regola o l’accordo che si sono riconosciuti come importanti da rispettare, ovvero ai quali si è attribuito un certo “valore”.
Va sicuramente sottolineato che qualora ci si accorgesse di una contraddizione negli accordi fino a quel momento rispettati, il dovere non coincide con la sua irremovibile immutabilità, anzi. L’adempimento del dovere è raggiunto – mai totalmente – solo nella misura in cui viene riaffermato il processo di costante superamento e miglioramento dell’accordo stesso. Dei continui accordi che nel corso della vita si vanno ad affermare, a volte espliciti altre taciti, il dovere è il carattere delle azioni che li rispettano e li migliorano. Il dovere dunque è contemporaneamente il rispetto di ognuno di essi, ma anche la forma della loro coerenza reciproca, ovvero la ricerca della non contraddittorietà degli uni con gli altri.
In che condizioni una scelta compiuta è espressione del dovere?
Il rispetto dell’accordo è espressione del dovere solo nella misura in cui ne viene riconosciuto il valore. Il valore che viene riconosciuto nel dovere, coincide con le motivazioni, i pensieri, le ragioni e i sentimenti che ne hanno determinato la scelta. L’azione compiuta, infatti, per poter essere considerata l’adempimento di un dovere, non può essere il rispetto “accidentale” dell’accordo. Il fatto che l’individuo abbia a disposizione una serie di azioni tra cui scegliere – alternative alla possibilità di prestare rispetto all’accordo –, e che proprio quella che rispetta l’impegno assunto sia infine scelta, è la testimonianza di quel riconoscimento.
Nel caso in cui venisse negata la possibilità della scelta – e quindi la possibilità di scegliere di non rispettare l’accordo preso –, sarebbe messa in discussione anche la possibilità di realizzazione del dovere stesso. La realizzazione del dovere implica il suo riconoscimento, e cioè il fatto che si sia riconosciuta l’azione che meglio lo incarna. Nell’assenza della possibilità di scegliere se rispettarlo o meno, rimane anche assente la prova del riconoscimento avvenuto, dunque il dovere stesso non può dirsi compiuto.
Un’azione infatti può essere considerata espressione di un dovere solo in quanto risultato di una scelta, tra opzioni diverse. Non è prova della realizzazione di un dovere l’azione compiuta perché dettata dall’inevitabilità delle condizioni o perché imposta forzatamente. L’imposizione di una qualunque scelta infatti nega la prova che il valore di quel dovere sia stato riconosciuto.
Risulta evidente infatti che un’azione scelta e un’azione forzata, seppur empiricamente possano apparire “uguali”, siano concretamente del tutto differenti, giacché lì dove sono diverse le intenzioni, le ragioni, le condizioni e le cause che le hanno mosse, diverse saranno anche le conseguenze, gli effetti e i mutamenti che ne derivano, in noi e nel mondo circostante.
Per favorire la ricerca e l’affermazione del dovere è quindi indispensabile stare quanto più distanti possibile dalla forma del ricatto. Esso è l’esempio di una scelta che in nessun caso si presenta come adempimento di un dovere perché colui che agisce in un determinato modo, lo fa in quanto sottoposto ad una scelta che in ognuna delle sue alternative tradisce il compimento dei doveri di cui lui stesso riconosce il valore.
Il ricatto è il carattere della scelta che impone una decisione escludente il rispetto di un accordo, ovvero impone l’impossibilità di scegliere quella che si ritiene essere l'opzione migliore alternativa a quelle presentate. In tale condizione infatti è possibile decidere di agire in un certo modo o in un altro, ma l’inevitabilità di dover scegliere tra alternative ugualmente inadempienti a quelli che si considerano i propri doveri, impone delle conseguenze non volute in ognuna delle opzioni a propria disposizione.
D’altra parte, qualunque sia il numero delle possibilità di scelta a propria disposizione, esso non è garanzia del compimento di alcun dovere.
Per questa ragione il riconoscimento del Dovere è necessario per orientare verso la valutazione della scelta migliore e, contemporaneamente, può dirsi pienamente realizzato solo quando liberamente scelto.
6 dicembre 2019
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