Il rapporto tra lo sviluppo umano e le condizioni di un determinato ecosistema non sempre è uguale. Certi paesi si rivelano fra i protagonisti della devastazione ambientale, altri invece sembrano aver preso una direzione di sviluppo rispettosa dell'ambiente. Cuba sembra appartenere a questa seconda categoria: quali motivi le permettono di essere virtuosa?
I metodi usati per individuare lo sviluppo di una nazione sono molteplici: ognuno, basandosi su determinati criteri, porta risultati differenti rispetto agli altri. I criteri usati per la valutazione, ovviamente, non sono qualcosa di neutro, ma mostrano quelle caratteristiche considerate importanti per analizzare la crescita di un paese. Uno degli indici più famosi è l’HDI, sviluppato dall’economista pakistano Mahbub ul Haq e utilizzato dal 1990 nei report delle Nazioni Unite. L’HDI (acronimo per Human Development Index) considera parametri come l’aspettativa di vita, l’educazione e il reddito nazionale lordo pro capite, trascurando tuttavia fattori ora sempre più importanti come l’impatto ambientale di un certo tipo di società. Col risultato che tra le prime posizioni troviamo paesi come l’Australia (2° posto), gli Stati Uniti (11° posto) o il Regno Unito (16° posto), i quali non si esimono dal proseguire uno sviluppo economico ben lontano da risultare eco-sostenibile, oltre a non essere esenti da disuguaglianze economico-sociali (eclatante è il caso statunitense). Elemento, quest’ultimo, che dovrebbe farci riflettere sui criteri usati dall’HDI: non rischia, basandosi solo sulla media di certi parametri (come il reddito pro capite), di non dare un occhio a certe disuguaglianze?
Ma torniamo alla questione ambientale: l’antropologo Jason Nickel ha proposto un nuovo indice, che, all’utilizzo di criteri basati sullo sviluppo del benessere sociale, aggiunge una valutazione dell’impatto ecologico che una nazione presenta. La decisione di sviluppare una nuova classificazione deriva proprio dalla necessità di evitare un modello, quale l’HDI, che sia incompatibile col problema ambientale e che persino "premia" alcuni fra i paesi più inquinanti. È nato così l’SDI (Sustainable development index), i cui risultati sono stati eclatanti. Il primo paese nella classifica HDI (Norvegia) è diventato 157°, gli Stati Uniti dalla 11° posizione passano alla 159°, con l’Australia dietro di un posto (quartultima!), mentre il Regno Unito se la cavicchia stando al 131° posto.
E il primo posto a chi è stato dato? A Cuba. Sembra incredibile, eppure così è. Un’isola di circa 11 milioni di abitanti, colpita da più di cinquanta anni da un blocco economico per colpa della più grande superpotenza mondiale, sembra essere sia eco-sostenibile sia rispettosa dello sviluppo umano. Un dato confermato anche sulla base dei criteri stabiliti dal WWF negli ultimi anni (dove si incrociano i valori legati all’HDI con l’impronta ecologica pro capite in un paese), dove Cuba si conferma il miglior paese per sviluppo umano dignitoso e rispettoso dell’ambiente. Ovviamente, anche qua non si può certo parlare di classifiche neutre o senza possibili errori, ma è interessante che un paese molto spesso demonizzato come una delle ultime espressioni di dittatura comunista mostri una notevole capacità sul lato sia dello sviluppo umano che di quello ambientale.
Una serie di ricercatori da più università ha prodotto una ricerca nel 2012, intitolata Un approccio allo sviluppo sostenibile: il caso di Cuba. All’interno del paper, è interessante la dichiarazione riportata di Mathis Wackernagel (al tempo presidente dell'Ecological Footprint Network), specie in relazione alla transizione economica e sociale cubana legata al crollo dell’Urss:
« A essere onesti, Cuba avrebbe probabilmente avuto un’impronta ecologica maggiore. Fu costretta a essere molto più efficiente nell’uso delle risorse di quanto avrebbe probabilmente fatto, specie a causa del blocco a cui era sottoposta; di conseguenza la sua impronta è diminuita non poco, specie da quando l’Unione sovietica è crollata. »
La condizione materiale del paese negli anni ’90 ha costretto cioè Cuba a fare certe scelte, fra cui appoggiarsi maggiormente ad una agricoltura biologica anziché tradizionale, riorganizzare l’uso delle coltivazioni per evitare la monocultura e utilizzare meno i mezzi meccanizzati, sviluppare una maggiore efficienza energetica e un uso razionale delle risorse, ecc. Tuttavia, questa risposta non è spiegabile solo dicendo che la situazione era difficile e quindi si è stati costretti a puntare ad uno sviluppo umano eco-sostenibile. Di fronte a situazioni di blocco e isolamento politico, altri paesi risposero in modi ben differenti (come l’Iraq negli anni della guerra di inizio 2000, dove le spese necessarie per la popolazione furono trascurate in favore dello sviluppo militare, oppure il Sud Africa negli anni ’80, con l’intensivo utilizzo di carbone per produrre energia con un notevole impatto ambientale). Se dunque Cuba ha preso una certa direzione, lo è perché, date certe condizioni, ha adottato una politica basata sul «porre le persone al centro dello sviluppo e collegare la giustizia sociale alla protezione ambientale». La domanda che sorge dunque è: come ha potuto Cuba raggiungere questi obiettivi nonostate difficoltà quali un blocco e l’isolamento politico, oltre a ciclici eventi catastrofici della zona, come gli uragani? Soprattutto, possiamo imparare qualcosa da questo modello di sviluppo?
Partiamo dalla nuova costituzione Cubana (sulla democraticità di essa nella sua stesura, si veda qui). Cuba, in quanto stato socialista, pone al centro già nell’Articolo 1 il concetto di uno sviluppo equo e solidale per l’uomo:
« Cuba è uno Stato socialista di diritto e di giustizia sociale, democratico, indipendente e sovrano, organizzato con tutti e per il bene di tutti come repubblica unitaria e indivisibile, fondata sul lavoro, sulla dignità, sull'umanità e sull'etica dei suoi cittadini per il godimento della libertà, dell'equità, dell'uguaglianza, della solidarietà, del benessere e della prosperità individuale e collettiva. »
Ma, come detto, questo sviluppo deve essere legato alla tutela ambientale:
« La Repubblica di Cuba […] promuove la protezione e la conservazione dell’ambiente e per affrontare il cambiamento climatico, che minaccia la sopravvivenza della specie umana, sulla base del riconoscimento di responsabilità comuni, ma differenziate; l'istituzione di un ordine economico internazionale giusto ed equo e l'eradicazione di modelli irrazionali di produzione e di consumo. » (Articolo 16)
« Tutte le persone hanno diritto a godere di un ambiente sano ed equilibrato. Lo Stato protegge l'ambiente e le risorse naturali del paese. Riconosce il suo stretto legame con lo sviluppo sostenibile dell'economia e della società per rendere più razionale la vita umana e garantire la sopravvivenza, il benessere e la sicurezza delle generazioni presenti e future. » (Articolo 75)
Lo sviluppo del paese non può, per costituzione, essere in contraddizione con la tutela ambientale. Sarebbe da chiedersi quante nazioni abbiano almeno intrapreso il cammino di porre tali principi in Costituzione, al di là dei fatti concreti.
Ma diamo un’occhiata dapprima alla tutela della dignità e dello sviluppo umano. Due esempi possono essere utili.
Sanità: questo campo è uno dei maggiori successi del paese e si basa su princìpi quali: gratuità dei servizi e accessibilità, gestione pubblica e sociale della sanità, orientazione filantropica, collaborazione internazionale, ecc. In particolare, la ricerca evidenzia che Cuba ha mostrato risultati che superano tutti gli altri stati latino-americani e comparabili solo con quelli degli stati industrializzati (i dati sono del 2012, ma quelli più recenti non smentiscono questa affermazione: alcuni esempi si vedano qui e qui).
Educazione: è uno dei campi su cui lo Stato investe maggiormente ed è basato anch’esso sul princio della gratuita e dell’accessibilità, nonché su altre fondamenta quali la collaborazione fra mondo dello studio e del lavoro, la partecipazione democratica della società nell’istruzione e l’inclusione. Molti parametri sono paragonabili anch’essi a quelli di stati industrialmente sviluppati, quali il Canada. L’Unesco in particolare ha riconosciuto il notevole lavoro dello Stato cubano in questa direzione: nel 2011, il 99.8% dei cubani sopra i 15 anni era alfabeta. Il che non vuol dire che non vi siano stati o non siano tutt'ora presenti problemi da risolvere (miglioramento del sistema decentralizzato dell’università, sistemazione di alcuni edifici, sviluppo di programmi educativi finora inefficienti, ecc.), come i report del partito comunista cubano hanno evidenziato in più anni, sia in questo campo che in altri.
Si potrebbero fare altri esempi (sistema alimentare, trasporti, politica abitativa, ecc.), dove si possono trovare sia i punti positivi che negativi. Tuttavia, in generale, si nota una politica pubblica diretta a garantire a tutti uno sviluppo equo e solidale, che garantisca, nonostante la situazione difficile, la dignità umana. Concentriamoci tuttavia ora sulla questione ambientale.
Cuba, in quanto stato socialista, si sviluppa secondo un’economia pianificata, il che vuol dire che, dati certi princìpi d’azione (diritti umani, equità, solidarietà, ambiente, ecc.), bisogna razionalizzare l’utilizzo delle risorse in maniera tale che i suddetti princìpi siano rispettati. Una pianificazione che deve essere sia centrale, nel senso di uniformare l’azione del paese, che locale, cioè che garantisca la partecipazione dei cittadini sia nel processo decisionale che d’azione. L’immissione di princìpi ambientali nell’azione economica ha permesso così di ottenere un impatto sulla natura accettabile. Ma entriamo nel dettaglio.
Cuba prevede nel 2030 di raggiungere una situazione di produzione energetica in cui il 24% dell'energia derivi da fonti rinnovabili. Da questo punto di vista, la situazione non sembra confortevole, sia da un punto di vista economico (Cuba non è uno Stato con chissà quali risorse fossili, dunque dipende dal commercio internazionale) che ambientale, non essendo ancora riuscita a prevedere un aumento notevole delle rinnovabili entro breve termine. Nonostante questo, essa è riuscita a ottenere risultati impensabili già anni fa.
Dal 2004 al 2010, secondo lo sviluppo energetico programmato, Cuba ha aumentato la capacità elettrica da 3200 MW a 4900 MW, basandosi per più del 90% su combustibili fossili. Al contempo, tuttavia, l’emissione di gas serra è diminuita del 60%. Come è stato possibile? La risposta è: pianificazione. Sono stati migliorati gli impianti di produzione energetica, rendendoli più efficaci e puntando maggiormente sull’uso di gas (il cui impatto ambientale, seppur presente, si rivela minore rispetto ad altri combustibili fossili); il sistema di trasporto e trasmissione dell’energia è stato migliorato (risistemando il 76% della rete elettrica), diminuendo così gli sprechi; è stata lanciata una campagna di sostituzione, appoggiata coi fondi statali, di elettrodomestici obsoleti con altri a maggior efficienza energetica (inclusi 2,550,997 frigoriferi, 9,500,000 lampadine a incandescenza, 270,000 condizionaori, 1,050,000 ventilatori, 230,500 televisori, ecc.); è stato razionalizzato e reso più efficiente l’uso di energia specialmente in quei 1713 stabilimenti produttivi che consumano assieme il 45.6% dell’energia elettrica nazionale. Mi fermo qui (altri dati si possono trovare sempre nella ricerca del 2012). Si potrebbe poi approfondire anche l’ambito agricolo, ma lascio l’analisi ai lettori (un video interessante, seppur si tratti solo di un accenno, lo si può vedere qua sotto). Ciò che si vuole far notare è come un’azione programmata, razionale, pianificata secondo certi princìpi, possa portare risultati sorprendenti – non definitivi, non perfetti, ma notevoli.
Sarebbe ora di chiedersi: questo stile di vita è qualcosa sorto dal nulla, risultato di un’indole innata del popolo cubano, effetto di qualche uomo carismatico che ha guidato la folla? Oppure si tratta del risultato di un sistema economico-sociale che pone al centro l’uomo e la natura, che sa che esistono dei limiti nello sviluppo umano, come anche dei diritti da garantire a ogni persona? Che vuole evitare lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo, in favore della giustizia sociale? Che, inoltre, riconosce la tutela dell’ambiente come principio costituzionale?
Oppure, se preferiamo porre la domanda inversamente: noi, uomini del mondo occidentale, siamo cattivi per natura? O viviamo in un sistema – il capitalismo – che ci educa ad uno stile di vita irrazionale, egoista e violento verso l’uomo e la natura?
Anche qua, lascio la risposta ad altre analisi e al lettore. Ritengo tuttavia che il caso cubano indichi, neanche molto implicitamente, una possibile risposta.
30 dicembre 2019
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