Socrate critico della tecnologia odierna

 

Viviamo nell’epoca della rivoluzione tecnologica. Stiamo assistendo a quella transizione che porterà all’egemonia del paradigma virtuale-robotico come forma predominante del vivere, della cultura e del pensiero. In un’analoga epoca rivoluzionaria visse anche Platone, il quale vide il passaggio dall’oralità alla scrittura nella civiltà greca e occidentale. Le parole veicolate da Socrate nei dialoghi platonici, allora, si presentano come un’analisi straordinaria per interpretare e prevedere l’effetto dei cambiamenti tecnologici odierni sull’essere umano.

 

A. Mondot, C. Bardainne, "Installazione luminosa"
A. Mondot, C. Bardainne, "Installazione luminosa"

 

Per noi è davvero un’impresa difficile immaginare come una cultura trasmessa in modo totalmente orale, e quindi analfabeta, possa avere altrettanta dignità delle conoscenze scritte, ossia dei libri. Eppure, ciò accadeva proprio nella Grecia presocratica, dove l’espressività, la comunicazione sociale, l’educazione dei giovani, la politica – in breve tutta la conoscenza e la sua conservazione – avvenivano per via unicamente orale. Questo durò fino all’epoca in cui visse Platone, quando invece si assistette a un grande cambiamento culturale costituitosi con l’ascesa di una nuova e dirompente forma di tecnologia: la scrittura. Nel periodo platonico, cioè tra V e IV secolo a.C., l’alfabeto scritto soppiantò progressivamente le forme orali della tradizione, lanciando la Grecia e l’Occidente verso un nuovo evo. La vittoria della tecnologia alfabetica sull’oralità arrivò a mutare la natura della conoscenza stessa fino a modificare nel profondo l’antropologia. Nell’uomo scrivente avvenne una trasformazione irreversibile: «Si stava ormai passando a modi di esprimersi e di pensare completamente diversi da quelli del passato, a un differente rapporto con gli uomini e le cose» (G. Reale, Platone. Alla ricerca della sapienza segreta).

Oggi stiamo assistendo esattamente allo stesso cambiamento dovuto all’utilizzo dilagante di nuove tecnologie: gli schermi virtuali, le macchine computerizzate, l’Intelligenza Artificiale. Anche noi, al pari di Platone, viviamo in un periodo di rivoluzione culturale e antropologica. Come cambia, allora, l’essere umano di fronte a questa mutazione del vivere e del pensare, e quindi di se stesso? In virtù dell’incredibile analogia tra le due epoche, è lecito interrogare Platone. Egli fa rispondere il maestro Socrate le cui parole, dopo circa 2500 anni, sono ancora attuali.

 

Dettagli di R. Sanzio, "La scuola di Atene" e J.L. David, "La morte di Socrate"
Dettagli di R. Sanzio, "La scuola di Atene" e J.L. David, "La morte di Socrate"

 

Nel dialogo del Fedro, ricalcando il tipico modus operandi platonico, Socrate espone un mito Egizio per spiegare la nascita della nuova tecnologia dello scrivere. Il dio Theuth è un grande inventore e propone di volta in volta le sue creazioni al re Thamus:

«Questa scienza della scrittura, o re – disse Theuth – renderà gli Egiziani più sapienti e arricchirà la loro memoria poiché questa scoperta è un rimedio (pharmakon) per la sapienza e la memoria».

Nella traduzione dal greco, il dio Theuth, annuncia l’alfabeto scritto come una cura, un’assoluta miglioria per la memoria e la sapienza. Tuttavia, quasi fosse una catacresi, la parola che utilizza è pharmakon. Se gli uomini hanno bisogno di una cura, si ipotizza implicitamente che la condizione umana abbia una qualche mancanza da emendare, una malattia ingenita, esacerbata nella colpa di essere umani. Si cerca quindi, tramite lo strumento della tecnologia, di colmare tale inadeguatezza. Anche oggi, i nuovi sistemi tecnologici vengono presentati al primo stadio come apparecchi di cura. Al punto estremo di questo atteggiamento vi è il tentativo di “rimediare” al “problema” più grande, cioè la morte, cercando di “salvare” la propria coscienza, la propria memoria e la propria mente grazie a supporti cibernetici potenzialmente immortali. Ma, quando la medicina viene somministrata a chi non è malato, la tecnologia si trasforma da guarigione a nocumento. Proprio questo ribaltamento avviene nel dialogo platonico grazie all’uso della parola pharmakon. Il farmaco è volto a produrre sempre una doppia valenza: non solo rimedio, ma anche veleno, allo stesso tempo. È scorretto tradurlo dal greco come “cura”, riportando solamente uno dei due poli, poiché viene annullata la carica di ambivalenza che il termine originale sottende. Per sua natura, infatti, il pharmakon non può essere mai soltanto benefico, come avrebbe voluto presentarlo il dio Theuth, ma è mutuamente cura e veleno, panacea e droga, gradevole e sgradevole, bene e male. Questo rapporto indissociabile tra gli opposti caratterizza più di ogni altro aspetto la tecnologia. Infatti, la replica del re Egizio Thamus al dio-inventore concretizza il ribaltamento delle polarità:

«E il re rispose: O ingegnosissimo Theuth, una cosa è la potenza creatrice di nuove arti, altra cosa è giudicare qual grado di danno e di utilità esse posseggano per coloro che le useranno. E così ora tu, per benevolenza verso la scrittura che hai creato, hai esposto il contrario del suo vero effetto. Perché essa ingenererà dimenticanza nelle menti di chi la imparerà: essi cesseranno di esercitare la memoria perché, fidandosi dello scritto, richiameranno le cose alla mente non più dall’interno di se stessi, ma dal di fuori, attraverso supporti estranei; dunque tu hai trovato non il farmaco per la memoria, ma solo un richiamare alla memoria. Né tu offri vera sapienza ai tuoi scolari, ma ne dai solo l’apparenza perché essi, grazie a te, potendo avere notizie di molte cose senza averne avuto insegnamento, si crederanno d’essere dottissimi, ma per la maggior parte non sapranno nulla; con loro sarà una sofferenza discorrere, imbottiti di opinioni invece che di conoscenze».

La nuova tecnologia, per quanto sia una prospettiva suadente di miglioramento della condizione umana, sortisce invece l’effetto contrario: «Questo pharmakon non è forse un regalo avvelenato?» (J. Derrida, La farmacia di Platone). A fronte di un’utilità apparente, la presunta cura si rivela piuttosto un danno per la memoria, giacché la indebolisce. Allo stesso modo, oggi, agiscono gli apparecchi-smart che, nel fatuo tentativo di un aiuto, depotenziano l’attività umana, la disabituano. Per quanto riguarda la sapienza, poi, il bilancio dei danni è persino peggiore perché conduce alla degenerazione: la scrittura crea masse di opinionisti i quali avranno l’illusione di conoscere tutto, senza sapere niente. Come non leggere tra queste righe una lucida e profetica analisi dell’effetto sortito dal web?

 

Raffigurazione del dio Theuth
Raffigurazione del dio Theuth

 

Ma qual è il vero male che l’ambivalenza del pharmakon tende a eludere? Socrate ricusa la scrittura a causa della sua artificialità. Contro l’avvento dell’alfabeto, egli difende massimamente il discorso orale in quanto è espressione di una piena naturalità. Infatti, la naturalità è sempre da considerarsi migliore poiché rimanda a una sana socialità tra le persone e alla dimensione interiore dell’essere umano. Il discorso orale-dialettico è il logos ed è l’unica vera forma di conoscenza possibile, che germoglia e vive, di maestro in allievo. Il discorso orale è naturale, pensante, autentico, conoscitivo, sociale. Al contrario, la scrittura e le tecnologie sono artificiali e per questo esercitano una dannosa funzione illusoria ed estraniante. Non è un caso che la tecnologia odierna cerchi con ogni mezzo di ricucire questo strappo inaugurale tra natura e artificio, tra l’uomo e la tecnica, mistificando di continuo le due dimensioni. Essa, più di qualsiasi altra forma tecnologica del passato, aspira a contenere in sé proprio quel logos naturale a cui allude Socrate, che è discorso e pensiero allo stesso tempo. La tecnologia dei nostri giorni si pone come sostituta della naturalità, del discorso orale e del pensiero, dunque dell’umanità. Oggi, la tecnologia possiede qualcosa che i prodotti delle rivoluzioni scientifico-industriali del passato, basati essenzialmente sulla meccanica e sul motore, non possedevano: si tratta della scarica elettrica. Questo nuovo funzionamento ricalca la stessa scarica elettrica che permette lo scambio di informazioni tra i neuroni del nostro cervello. Seguendo le neuroscienze, è proprio la trasmissione elettrica neuronale che consente, o quanto meno rende manifesta, la mente, il logos. La tecnologia attuale, quella che si serve di connessioni elettriche, si volge a ricreare perfettamente l’uomo e la natura, ponendoli in una costante virtual reality. Il logos umano, già ben presente nell’etimo della parola “tecnologia”, adesso per la prima volta è arrivato a costituirne davvero l’ontologia. La nuova ontologia culmina proprio nell’AI, Intelligenza Artificiale che apprende, lavora, memorizza, parla come – e domani forse meglio – di un essere umano naturale.

 

Andy e Larry Wachowski, "Matrix" (1999)
Andy e Larry Wachowski, "Matrix" (1999)

 

Il parallelismo era già compiuto 2500 anni fa: le nostre tecnologie si fondano tutte, in ultima istanza, nientemeno che sulla scrittura – in codice binario, in simboli o in comandi, poco importa in questa sede. Allora, sulle orme di Socrate, chiediamoci: in che misura uno smartphone, un computer, sono da considerarsi oggetti superflui e nocivi e in che misura invece sono strumenti per migliorare la condizione umana? Il potenziamento e l’utilizzo dell’Intelligenza Artificiale in ogni ambito del vivere, arreca davvero benefici all’uomo maggiori rispetto ai danni che provoca la sua alienazione? E domani, in un mondo di robot, di protesi meccaniche, di realtà virtuali e di chip cerebrali, come ridiscuteremo la nostra antropologia? La tecnologia è sempre stata un pharmakon, presentarla come un rimedio miracoloso per l’uomo presume in primo luogo che si consideri la condizione umana come profondamente malata, come uno status gentilizio. In secondo luogo, tacere o ridimensionare l’ambivalenza della tecnologia, senza mostrare come alla lunga i danni potrebbero essere maggiori dei benefici, è un’illusione che ci costerà un caro prezzo: la nostra stessa umanità.

 

11 dicembre 2019

 









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