La visione nichilista e relativista della società postmoderna nasce nell’800 e converge con la morte di Dio, simbolo di verità e valori.
di Diletta Badaile
La società postmoderna è guidata da quella presunta pretesa nichilista e relativista che corrisponde ad una visione della realtà priva sia di valori che di un’unica verità. Dire, tuttavia, che i valori, quali il Bene e la Giustizia ad esempio, non esistono, corrisponde ad affermare che quelli che noi oggi identifichiamo come tali sono in realtà una pura nostra invenzione, divenuta necessaria, secondo Thomas Hobbes, in quel momento della storia in cui gli esseri umani si sono così eguagliati nelle facoltà fisiche e mentali da annullare le precedenti disparità di forza; venuta a mancare quella distinzione tra forte e debole, chiunque fosse riuscito a perseguire un fine avrebbe comunque dovuto sempre temere l’arrivo di un nuovo aggressore; la creazione di uno Stato civile nasce, pertanto, da una condizione di vulnerabilità dell’umanità, che, stremata da questa realtà violenta in cui homo homini lupus, si è ritrovata a sottoscrivere un patto comune che dovesse essere da tutti rispettato al fine di preservare una condizione di pace e di debellare la paura della morte e della miseria. Le persone osserverebbero quest’ultimo solo perché troppo deboli, ma qualora un individuo risultasse essere più forte di tutti gli altri avrebbe tutto il diritto di infrangerlo e imporsi su questi, poiché se è vero che la mia libertà – intesa come assenza di impedimenti –, finisce dove inizia quella dell’altro, allora, se ad esser il più forte sono io, ho anche la facoltà di decidere quel confine.
Del medesimo parere è lo stesso Yuval Noah Harari, il quale, nell’opera intitolata Sapiens. Da animali a dèi, individua come peculiarità, riconducibile solo alla specie umana, la capacità di trasmettere informazioni su cose che non esistono affatto. Secondo l’autore leggende, miti, dèi, leggi, valori, ecc. non sarebbero altro che il frutto delle finzioni che, nel corso della storia, noi stessi abbiamo creato e a cui tutti noi crediamo. Egli, in particolare, riconduce la nostra attitudine nel tessere cooperazioni su vasta scala, ossia composte da moltissimi individui, come lo possono essere le stesse religioni o nazioni, proprio all’esistenza di miti comuni che si riscontrano solo nell’immaginazione collettiva.
« Le chiese sono radicate in miti religiosi comuni. Due cattolici che non si siano mai incontrati prima possono ugualmente partire insieme per una crociata o raccogliere fondi per costruire un ospedale, perché entrambi credono che Dio si sia fatto carne e sangue e si sia sacrificato sulla croce per redimere i nostri peccati. Gli stati si fondano su miti nazionali condivisi. Due serbi che non si siano mai visti prima possono rischiare la propria vita l’uno per l’altro perché credono entrambi nell’esistenza di una nazione serba, nella madrepatria serba e nella bandiera serba. Due avvocati che non si siano mai incontrati prima possono, nonostante questo, concentrare i propri sforzi per difendere un perfetto estraneo, perché hanno fede nell’esistenza delle leggi, della giustizia e dei diritti umani – e nel denaro pagato per le loro parcelle. Eppure nessuna di queste cose esiste al di fuori delle storie che le persone si inventano e si raccontano vicendevolmente. Nell’universo non esistono dèi, non esistono nazioni né denaro né diritti umani né leggi, e non esiste alcuna giustizia che non sia nell’immaginazione comune degli esseri umani. »
Se ripercorressimo a ritroso la storia, tuttavia, scopriremmo che tutto ciò che negli ultimissimi secoli viene indicato dai grandi pensatori come un’articolata finzione della ragione, volta a rendere la realtà più tranquilla e piacevole, in verità non fu altro che il perno fondamentale attorno cui ruotò per millenni la figura di Dio. Proprio la morte di quest’ultimo avrebbe quindi decretato quel rovinoso oblio della verità e dei valori che avvolge l’età postmoderna, ma che trova già le sue radici nell’800. I primi a minare l’integrità della religione furono senza dubbio gli illuministi tra '600 e '700, i quali, sulle orme della rivoluzione culturale innescatasi cinquant’anni prima, promossero un uso spregiudicato e senza limiti dell’intelletto, con l’intento di illuminare le tenebre dell’ignoranza e del pregiudizio che avvolgevano la loro epoca. Questo si tradusse, ad esempio, con la nascita del giusnaturalismo ad opera di Ugo Grozio. Egli, proprio come il contemporaneo Hobbes, individuò come causa dell’istituzione della società civile la stipulazione di un contratto tra uomini liberi per natura, arrivando a sostenere che non solo il diritto è dettato dall’intelletto, ma anche che esso non dipende dalla volontà di Dio e dalla sua esistenza. Per la prima volta nella storia la legge smise di essere divina ed eterna per diventare il frutto della ragione degli uomini.
Negli stessi anni Cartesio, nell’opera intitolata Meditazioni metafisiche, tentò di dimostrare l’esistenza di Dio attraverso lo stesso metodo che aveva formulato per risolvere tutte quelle contraddizioni in cui era inciampato nelle scienze. Così facendo, parallelamente, andò a ridefinire quella che fino ad allora era la concezione di Dio.
« Ora, per Dio intendo una sostanza infinita, indipendente, sommamente intelligente, sommamente potente, e dalla quale siamo creati sia io stesso sia tutto quanto d’altro esista. » (R. Descartes, Meditazioni metafisiche)
Ma, proprio come ha sottolineato Gabriele Zuppa nell’articolo La cometa della superstizione, questo tentativo di revisione della tradizione ad opera di Cartesio, che vide anche come protagonisti Bacone e Galilei, in un primo momento si tradusse nel depurare i contenuti della fede dall’irrazionalità e successivamente nel depurare la razionalità dalla fede stessa. Dio, quindi, se per secoli combaciò indiscutibilmente con la raffigurazione suggerita dalla Bibbia, a partire dal ‘600 divenne un contenuto razionale, per poi farsi, nell’800, inesistente. In quei due secoli nemmeno i tentativi rappresentati da Spinoza, Kant e Hegel, che lo associarono rispettivamente a natura, limiti della ragione e ragione stessa, riuscirono a sottrarlo da quel suo triste destino che lo condusse all’oblio. Il problema di tutta questa vicenda è che, se da un lato il diritto fu tratto in salvo proprio dalla nascita del giusnaturalismo, dall’altro tutti quei valori e quella verità che l’uomo legò indissolubilmente alla sua immagine, finirono per scomparire con esso, portando all’inevitabile instaurazione, a partire dall’800, di una visione relativista e nichilista della realtà.
« Avete sentito di quel folle uomo che accese una lanterna alla chiara luce del mattino, corse al mercato e si mise a gridare incessantemente: “Cerco Dio! Cerco Dio!”. E poiché proprio là si trovavano raccolti molti di quelli che non credevano in Dio, suscitò grandi risa. “È forse perduto?” disse uno. “Si è perduto come un bambino?” fece un altro. “Oppure sta ben nascosto? Ha paura di noi? Si è imbarcato? È emigrato?” – gridavano e ridevano in una gran confusione. Il folle uomo balzò in mezzo a loro e li trapassò con i suoi sguardi: “[...] Dio è morto! Dio resta morto! E noi lo abbiamo ucciso! [...] Non è troppo grande, per noi, la grandezza di questa azione? Non dobbiamo noi stessi diventare dèi, per apparire almeno degni di essa? Non ci fu mai un’azione più grande: tutti coloro che verranno dopo di noi apparterranno, in virtù di questa azione, ad una storia più alta di quanto mai siano state tutte le storie fino ad oggi!”. A questo punto il folle uomo tacque, e rivolse di nuovo lo sguardo sui suoi ascoltatori: anch’essi tacevano e lo guardavano stupiti. Finalmente gettò a terra la sua lanterna che andò in frantumi e si spense. “Vengo troppo presto – proseguì – non è ancora il mio tempo”. » (F. Nietzsche, Gaia scienza, 1882)
« Un tempo essi si erano plasmati un cielo e lo avevano ornato con smisurati tesori di pensieri e di immagini. Il significato di tutto l’essente riposava nel filo luminoso grazie al quale ogni cosa era legata a quel cielo; lo sguardo rivolto all’insù, invece di indugiare sulla presenza di questo mondo, vi aleggiava sopra verso l’esistenza divina, verso una presenza posta, per così dire, al di là del mondo. » (G.W.F. Hegel, Fenomenologia dello spirito, 1807)
Dire che non esiste alcuna verità corrisponde all’affermare che tutte le opinioni si equivalgono, ma, nel momento in cui sostengo questa stessa tesi, significa che, per una serie di ragioni, le ho attribuito un’importanza maggiore rispetto alle altre. Come può, però, il relativismo sostenere l’assenza di verità se già rappresenta egli stesso una verità, che asserisce con veemenza? È proprio questa contraddittorietà, quindi, che ci indica la sua irrealizzabilità. Che la verità esista e sia una soltanto è sostenuto pure, benché inconsapevolmente, da parte di chi a parole vorrebbe negarla.
Per quanto concerne i valori, invece, la situazione è un po’ più complessa. Essi, infatti, vengono molto spesso catalogati come entità astratte, in quanto non sono degli oggetti fisici che possiamo percepire con i nostri cinque sensi. Probabilmente, proprio questa loro impropria classificazione sta all’origine dell’errore che commettono tutte quelle persone indotte a ritenere che essi non esistono. È fondamentale sottolineare che quando parliamo di Bene, Giustizia, Amore, Amicizia, ecc. non stiamo trattando del mero nulla, ma stiamo indicando empiricamente tutte quelle che sono le loro relazioni, come ad esempio due persone che si abbracciano, un uomo che dona qualche soldo ad un senzatetto o due bambini che giocano felicemente assieme. Rimane, quindi, da capire se questi valori esistano in natura, svincolati da quella che è l’immaginazione umana. A suggerirci la soluzione è, inconsapevolmente, lo stesso Harari. Egli, infatti, descrivendo come funziona una comunità di scimpanzé, ci riferisce che essi stringono delle strette amicizie e hanno una struttura sociale gerarchica capeggiata da un “maschio alfa”, il quale ha il compito di mantenere la pace all’interno del gruppo e di formare delle coalizioni, non solo per conquistare la guida del branco, ma anche per mantenerla; i membri di una coalizione, poi, condividono il cibo e si aiutano nei momenti di difficoltà.
Nell'opera Verde Brillante, inoltre, Stefano Mancuso e Alessandra Viola dimostrano come, nel mondo vegetale, le piante siano in grado di riconoscere i loro parenti e di cooperare con essi al fine di preservare il patrimonio genetico. Esse, qualora si trovassero in prossimità di un loro familiare, non cercherebbero di attaccarlo per garantirsi provviste alimentari e idriche a danno di questo, ma sarebbero disposte a convivere con esso in uno spazio ristretto in cambio di un’alleanza. Questi due semplici esempi sono l’insindacabile prova che valori e leggi esistono in natura, e non sono, come vogliono sostenere Hobbes e Harari, una mera finzione nell’immaginazione comune degli esseri umani. Probabilmente Homo Sapiens, in virtù di quella rivoluzione cognitiva che lo ha visto protagonista, è stato in grado di rielaborarne una versione più articolata e sviluppata che si accordasse con quelle che erano le nuove esigenze e potenzialità evolutive.
Così oggigiorno molti affermano con superba fierezza di non credere nella verità e nei valori, ma in realtà, come abbiamo visto, questi “illusi” dovrebbero aprire gli occhi e iniziare ad osservare veramente la realtà che li circonda per averne una prova tangibile. Allo stesso modo anche Dio esiste, proprio perché nell’empirico rappresenta una serie di gesti, immagini e credenze, tuttavia egli rappresenta un insieme di affermazioni che nel corso della storia abbiamo superato. Ecco, quindi, che le soluzioni di quei problemi di fronte a cui l’umanità si ferma sono sempre conoscenza e consapevolezza.
5 febbraio 2019
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