L'essenza di Dio: corpo o sostanza?

 

«Io credo in Dio», «Io credo in Allah», «Io credo in Ganesh», ecc. Ma c’è differenza tra una divinità e l'altra? E se questa non ci fosse, cos’è che li accomunerebbe? E se fosse la Chiesa stessa ad insegnarci questa divisione?

 

di Niccolò Magrin

 

 

Sono tante le questioni che una persona si pone nel momento in cui inizia a riflettere sulla religione. Inevitabilmente tra queste spiccano quelle riguardanti l’essenza e l’esistenza di Dio. Chi è Dio? Che cos’è Dio? Dov’è Dio? Parecchi sono gli interrogativi, poche sono le risposte.

 

Analizzando la formulazione delle domande si nota che esse puntano ad esplorare il tema dell’essenza, aspetto da cui l’uomo è più attratto, trascurando così la visione d’insieme delle cose che antepone l’esistenza all’essenza. Il soggetto perciò non riesce a trovare una soluzione alle domande in quanto la logica del suo ragionamento è errata: essendo l’esistenza causa dell’essenza, dato che un qualsiasi ente prima è e poi può essere delineato con attributi, non si può parlare della seconda senza aver dimostrato la prima. Tutti coloro i quali cadono in questo errore, quindi, assumono per certa e verificata l’essenza senza argomentarla.

 

In un ragionamento rigoroso è necessario dimostrare l’esistenza di Dio per poterne poi parlare. Aristotele, nella Metafisica, ci fornisce una prova dell’esistenza di Dio tratta dalla teoria del movimento: posto che ogni corpo sia in continuo mutamento deve esistere qualcosa che dia origine ad esso. Quest’ultimo, però, dato che non si può risalire all’infinito, deve essere immobile. Aristotele lo individua in Dio considerandolo come causa prima di tutte le cose, «primo motore immobile». Anche Cartesio nelle Meditazioni, con la prova ontologica dell’esistenza di Dio, afferma che essendo Dio un ente perfetto, allora Egli dovrà avere in sé tutte le perfezioni tra cui la più importante, ossia l’esistenza. Questo implica che Dio, considerato in questo modo, esiste necessariamente.

 

Ma, quindi: cos’è Dio? Sostanza eterna, infinita ed unica. Innanzitutto con questa affermazione si va ad escludere la natura corporea di Dio che indurrebbe in errore. Se fosse considerato un corpo sarebbe dipendente dalla rappresentazione che il singolo ne ha e questo porterebbe a smentirne l’unicità. Ogni persona, ogni religione, ogni società avrebbe una diversa immagine di Dio. Tuttavia, se ci fosse un momento di confronto comune, tutti sarebbero portati ad affermare che è presente un’idea univoca di Dio ossia quella di sostanza perfettissima. Quindi anche le diverse religioni, le quali hanno una concezione diversa di Dio, confrontandosi, ammetterebbero che di fatto esiste un solo Dio, minimo comune denominatore tra queste, che risiede proprio nel definirlo sostanza. Lo stesso Aristotele condanna il concepimento di Dio come corpo in quanto lo definisce una sostanza incorporea.

 

Caravaggio, “Vocazione di San Matteo” (particolare)
Caravaggio, “Vocazione di San Matteo” (particolare)

 

Prendendo in considerazione la visione dantesca, nel XXXIII canto del Paradiso, Dio appare come luce così intensa che l’uomo non riesce a sostenerne la vista: 

 

« O luce etterna che sola in te sidi,

sola t’intendi, e da te intelletta

e intendente te ami e arridi! »

 

Dante non riesce così a scorgere una natura umana di Dio presentandocelo in questo modo come una sostanza etternaTra l’altro Dante, descrivendoci la luce come un qualcosa che sola t’intendi, e da te intelletta ed associando quest’ultima a Dio, va ancor di più ad evidenziarne la natura sostanziale. Spinoza, nell’Ethica, sembra proprio definire una sostanza in questo modo:

 

« Intendo per sostanza ciò che è in sé e per sé si concepisce: vale a dire ciò il cui concetto non ha bisogno del concetto di un’altra cosa dal quale esso debba essere formato. »

 

Secondo questa definizione, Dante va a definire Dio come una sostanza in quanto asserisce che la luce, e quindi Dio, possa essere concepita (sola t’intendi) e compresa (e da te intelletta) in modo autonomo. Riguardo a Dio, inoltre, Spinoza afferma:

 

« Intendo per Dio un essere assolutamente infinito, cioè una sostanza costituita da un’infinità di attributi, ciascuno dei quali esprime un’essenza eterna ed infinita. »

 

Affermazione che sembra accordarsi perfettamente con quella iniziale. Aristotele, invece, ha un’idea di Dio molto simile a quella di Cartesio illustrata precedentemente. Il filosofo, nella Metafisica, definisce Dio come

 

« un’entità perfetta e totalmente compiuta che non manca di nulla e non ha bisogno di nulla, poiché in essa non vi è alcuno scopo irrealizzato. »

 

Si può quindi notare come molti filosofi abbiano un’idea molto simile di Dio e questo porta quindi a confermare la sua unicità. Lo stesso Aristotele, inoltre, sembra sottolineare l’eternità di Dio in quanto il principio del motore immobile è eterno perché il suo effetto, il movimento del mondo, è eterno e quindi di conseguenza anche infinito.

 

 Gustave Doré, “Paradiso” (1867)
Gustave Doré, “Paradiso” (1867)

 

E cosa possiamo allora dire delle religioni politeiste? Gli antichi greci, per esempio, credevano in più divinità e inoltre associavano a queste diverse caratteristiche umane. Si dovrebbe allora smentire l’unicità di Dio e il fatto che esso sia una sostanza? Ma ci si è mai chiesti se veramente sia corretto dividerle e associare a queste caratteri tipici dell’uomo? Se si procedesse con una profonda riflessione si giungerebbe, senza alcun dubbio, ad affermare che tutte queste divinità abbiano delle caratteristiche comuni e che i valori che vogliono trasmettere e che esse rappresentano sono molti affini tra loro. A questo punto non avrebbe più senso categorizzarle. Inoltre, se si continuassero a considerare le connotazioni di queste, non si riuscirebbe mai a trovare un accordo comune in quanto ogni persona ha una rappresentazione diversa di ogni singola divinità poiché non è possibile percepirle con i sensi. Questo porterebbe a ribadire che sostenendone la forma corporea saremmo in errore in quanto non riusciremmo a stabilire un patto comune dato che una cosa esiste solo entro un accordo stabilito. Se l’accordo viene annientato, la cosa cesserà di esistere.

 

E per quanto riguarda gli atei che non ammettono l’esistenza di Dio? Probabilmente molte delle persone che si reputano tali hanno interpretato i testi sacri delle diverse religioni (ammesso che ce ne siano di diverse dopo aver affermato che Dio è unico) in modo letterale essendo così ovviamente portati ad asserire che Dio non esiste. Ma perché interpretarli alla lettera? Averroè è il primo filosofo a mettere in luce l’assurdità di questa logica. Nel Trattato decisivo Averroè cerca di trovare una conciliazione tra i ragionamenti razionali e quelli religiosi. Quest’ultima si trova proprio nel fatto di interpretare le scritture allegoricamente trasportando così l’argomentazione da un piano reale ad un piano metaforico:

 

« si presenta la necessità di un’interpretazione allegorica delle Scritture. Interpretazione allegorica significa trasporto dell’argomentazione da un piano reale a uno metaforico. » 

 

Interpretando in questo modo le Scritture allora si riuscirà, con un ragionamento razionale, ad affermare l’esistenza di Dio anche se questo processo sarà molto lungo in quanto necessita di comprendere i valori che Dio stesso trasmette, per poi dedurne l’esistenza sotto forma di sostanza con i relativi attributi.

 

In tale contesto è senz’altro essenziale sottolineare l’inadeguatezza del metodo che usa la Chiesa per educare i propri fedeli: essa dovrebbe essere la massima entità rappresentante di Dio in terra e quindi dovrebbe conoscerne la natura in miglior modo rispetto a chiunque altro. In realtà spesso, come fa anche con il catechismo, pone delle domande ai credenti riguardanti Dio senza prima dimostrare loro la sua esistenza e la sua natura: come posso rispondere alla domanda a cosa serve Dio? senza sapere se lo stesso esiste e in che forma si presenti? Inoltre, non facendo delle premesse e delle specificazioni generali riguardo Dio, la Chiesa stessa potrebbe essere considerata ingannatrice. Questa potrebbe far cadere in errore i credenti portandoli ad affermare la natura corporea di Dio visto che non è stata spiegata loro l’interpretazione allegorica delle Scritture. La Chiesa, la quale dovrebbe essere la massima rappresentante del divino, entra nel mondo della contraddizione ingannando i credenti, poiché Dio è una sostanza perfetta, non un ingannatore, dato che l’inganno, che non è una perfezione, smentirebbe la perfezione stessa. Ecco che la contraddizione è ormai divenuta un virus che ha infettato l’ambiente in cui viviamo, compresi i più grandi corpi creduti immuni.

 

21 febbraio 2019

 









Canale Telegram: t.me/gazzettafilosofica