I nuovi movimenti politici pretendono di rappresentare la vera alternativa alla politica del passato: si dichiarano nemici dei poteri forti e alleati del popolo, pongono la volontà generale sopra ogni altra cosa, giurando di portarla a compimento a qualsiasi costo. Alcuni si credono lontani dai vecchi concetti di destra e sinistra, si fanno chiamare postideologici. Sembrano quindi i veri interpreti della democrazia, il governo del popolo. Ma è davvero così?
di Angelo Zurlo
Negli ultimi anni sono nati in tutto il mondo un grande numero di partiti che vengono definiti “populisti”: il greco Syriza, lo spagnolo Podemos, il britannico Ukip, il tedesco Alternativa per la Germania, gli italiani Movimento 5 Stelle e Lega sono solo alcuni degli esempi europei. Ma anche Donald Trump negli USA, Nicolas Maduro in Venezuela, Rodrigo Duterte nelle Filippine, Jair Bolsonaro in Brasile vengono apostrofati in questo modo. È quindi un fenomeno globale, che non risparmia praticamente nessuna nazione al mondo. Ma di che cosa si tratta? Cos’è esattamente questo populismo? Proviamo ad enucleare un paio d'aspetti che riguardano quello nostrano, senza avere la pretesa di stabilire se possano attribuirsi anche ai partiti che nel mondo vengono apostrofati come tali.
Il populismo, secondo il vocabolario Treccani, è «un atteggiamento ideologico che [...] esalta in modo demagogico e velleitario il popolo come depositario di valori totalmente positivi» (la definizione di demagogia è invece, sempre secondo Treccani, «pratica politica tendente a ottenere il consenso delle masse lusingando le loro aspirazioni»). Il populista è quindi il politico che cerca di soddisfare in toto i desideri del popolo, magari ricorrendo spesso a plebisciti o referendum. A prima vista questa può sembrare una buona idea, la vera attuazione della democrazia, che pone la sovranità nelle mani del popolo.
Anche gli stessi leader populisti lo hanno capito e addirittura se ne vantano. Lo scorso 21 ottobre Luigi Di Maio, capo politico del Movimento 5 Stelle e ministro dello sviluppo economico italiano, ha sostenuto al programma televisivo Mezz’ora in più: «Vedo che siamo due forze politiche [N.d.R.: riferendosi a 5 Stelle e Lega] che comunque con tutte le differenze del caso si fondano in questo momento sull’esclusivo consenso delle persone e questo ci permette con tutti i difetti e le difficoltà che abbiamo di andare avanti».
Ma Di Maio non ha considerato un aspetto fondamentale: se un’azione ottiene il consenso della maggioranza ciò non fornisce alcuna garanzia che si tratti del bene (anche di quella maggioranza). «When you get what you want but not what you need» cantano i Coldplay nella canzone Fix you: possiamo ottenere ciò che vogliamo, ma può non essere ciò di cui abbiamo bisogno. Il popolo semplicemente non ha le conoscenze, le relazioni, per poter valutare con esattezza la soluzione: come può un semplice contadino capire quale sia la scelta giusta per l’economia italiana? Tutto ciò che riesce a comprendere è che ha bisogno di tasse più basse, per avere più guadagni; ma si accorgerà che non era ciò di cui aveva bisogno quando dovrà sopportare tasse ancora più elevate per coprire i debiti creati dal periodo precedente. Oppure, per usare un esempio più attuale, un normale cittadino non può essere in grado di capire se sia bene accogliere un migrante: anche in questo caso a mancare solo le conoscenze, la consapevolezza dell’importanza del valore dell’altro uomo; non si può sperimentare il dolore che ha provato, ciò che ha perso, ciò che spera di trovare semplicemente leggendo parole o guardando immagini alla TV. Specialmente se altre parole annunciano che quello stesso migrante vuole solamente rubare il lavoro agli italiani onesti e sostituire l’etnia locale con la propria.
La democrazia infatti non si deve limitare ad assicurare disordinatamente la soddisfazione delle richieste del popolo, ma deve semmai garantire che il popolo abbia le conoscenze per poter fare le giuste richieste. La democrazia non deve iniziare e terminare con le elezioni, ma il momento del voto deve essere la conclusione di un confronto che abbia portato al raggiungimento di una scelta comune. Il politico democratico deve prima cercare di capire cosa sia ciò che è meglio fare in una determinata situazione, confrontandosi con i suoi colleghi, poi cercare di convincere l’opinione pubblica della bontà della sua idea. Quando mai si sono visti due leader di partito discutere delle proprie idee invece di elencarle come se fossero dei dogmi indiscutibili? È proprio questo ciò che manca agli interpreti della politica contemporanea, troppo occupati a ricercare il potere attraverso una insensata lusinga del popolo. È un problema cronico di tutto il settore, non dei soli partiti populisti, che hanno semplicemente contributo a rendere ciò più evidente.
Appare quindi chiaro come molte iniziative presentate come futuristiche e innovatrici siano in realtà controproducenti. Per esempio l’idea di democrazia diretta su voto online del Movimento 5 Stelle mostra tutti i suoi limiti appena si inizia a considerare da questa nuova prospettiva: se non supportata da un precedente confronto sull’argomento non crea nessuna garanzia sulla bontà della scelta finale. Anche la pretesa dello stesso movimento di presentarsi come postideologico si rivela inevitabilmente contraddittoria: si ritiene infatti di non aver bisogno di un’ideologia di partito, perché essa si creerebbe ad ogni specifica decisione sulla base del volere della maggioranza. Non c’è più bisogno a questo punto di ripetere i difetti di tale idea. Inoltre gli stessi pentastellati sono costretti in alcuni casi a ricorrere a valori (e quindi ad ideologie) per giustificare le proprie iniziative, esponendo più chiaramente le proprie contraddizioni. Del resto, non potrebbero fare altrimenti, perché sono proprio i valori che spingono ad agire in un determinato modo piuttosto che in un altro. Oltre ai valori non c’è niente a cui ci si possa appellare per argomentare le proprie proposte. «Noi non siamo né di sinistra, né di destra, stiamo cercando di mettere al centro il buonsenso» è il goffo tentativo di Di Maio, sempre nella trasmissione condotta da Lucia Annunziata, di spiegare il postideologismo, come se chi è schierato a destra o a sinistra non utilizzi il buonsenso. Questo buonsenso infatti non è altro che l’insieme dei valori costituenti ogni persona, la sua ideologia, che la spingono a ritenere buono un certo fatto o una certa idea.
In tutto ciò è preoccupante notare che tali affermazioni passino completamente inosservate, il che testimonia come in realtà quasi nessuno abbia compreso il problema. Ora più che mai è quindi necessario diffonderlo, per arginare il fenomeno del populismo prima che le sue contraddizioni diventino chiare a tutti attraverso i danni da esso provocati.
6 febbraio 2019
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