Gli errori della modernità indeboliscono i tentativi dell’uomo di pensare e conoscere ciò che è sacro, ciò che si nasconde dietro l’apparire delle cose. Checché il postmoderno si ostini a sentenziarlo, il sacro non si riduce alla sua mera volontà.
Il tema del sacro emerge fin dalla nascita della sociologia moderna. A discuterne ampiamente per la prima volta è Émile Durkheim, uno dei padri della disciplina, nelle sue opere dedicate allo studio delle religioni, fra cui la più importante: Le forme elementari della vita religiosa. Il sociologo francese approfondì il significato di questo termine spesso contrapponendolo al suo contrario: il "profano". Al tempo, la disciplina che si occupava di indagare il sacro era considerata essere la religione. Innanzitutto, definiamo sinteticamente, per l’utilizzo che se ne farà in questo articolo, il termine “religione” come un sistema di credenze organizzato – talvolta anche istituzionalizzato – che esprime il riconoscimento da parte dell’uomo di un che di trascendente, di una divinità o dell’esistenza di un mondo sovrannaturale, di una dimensione in grado di travalicare le singole esperienze di vita umana. Fino ad allora gli studiosi intendevano la sacralità, come una componente esclusiva della dimensione religiosa, ovvero come un particolare tema all’interno del più ampio ambito religioso. Durkheim modificò questa prospettiva iniziando ad intendere le “cose sacre” come fattore esplicativo della nascita e dello sviluppo del fenomeno religioso, e non viceversa. La presenza di “oggetti sacri” venerati, viene infatti, dal filosofo e sociologo francese, riscontrata come una caratteristica comune a tutte le religioni e alle più svariate forme di culto in giro per il mondo; l’attributo della sacralità di determinati oggetti quindi non è più trattato come argomento riguardante esclusivamente il tema religioso ma viene identificato come la causa stessa in grado di spiegare l’origine delle diverse religioni particolari. Per Durkheim la stessa divinità, è una conseguenza, secondaria e derivata rispetto al sacro. Ciò a partire dell’identificazione di una differente origine della nozione di sacro che quindi inizia a comprendere un insieme molto più vasto di possibili oggetti a cui poter attribuire tale caratteristica. Fino ad allora le cose sacre erano concepite come tali in quanto in esse veniva riconosciuta una proprietà extra mondana; il sacro era una qualità intrinseca agli oggetti, essi erano i diretti rappresentanti del mondo “altro” a cui si riferivano, e di ordine “superiore” rispetto agli oggetti del mondo profano in cui viveva l’uomo. Il sacro era una sorta di principio che permetteva di distinguere gli oggetti che erano espressione del trascendente da quelli che non lo erano.
Secondo lo studioso francese invece l’essere oggetto sacro non dipende dal trascendente, o dalla rappresentazione e incarnazione della divinità nell’oggetto, bensì è la divinità stessa ad essere la conseguenza della sacralizzazione da parte degli uomini, di determinati oggetti. La prospettiva con cui il sacro viene inteso muta radicalmente. Esso non è più un valore riconosciuto come indipendente dall’uomo e dalla sua volontà ma anzi diviene una proprietà che l’uomo stesso attribuisce a seconda dei suoi rituali, abitudini, credenze e comportamenti. È l’essere umano stesso a dare vita al sacro. Per Durkheim, infatti, all’origine del dualismo sacro/profano vi è quello individuo/società. Viene così definito il parallelismo tra ciò che è profano, e quindi proveniente da rappresentazioni individuali, e ciò che è sacro, ovvero derivante da rappresentazioni della collettività. Gli oggetti in cui si trova rappresentato il singolo individuo, privi di un significato simbolico conosciuto dall’intera comunità, appartengono alla sfera del profano; ad esempio, gli oggetti di uso quotidiano come un bicchiere o un vestito. Mentre invece gli oggetti che incarnano la rappresentazione di una collettività, danno origine, secondo Durkheim, alla sfera del sacro; per esempio, nella religione cattolica, il calice e la tunica del prete. In essi infatti sono racchiuse e rappresentate le credenze e i valori, che la comunità di fedeli condivide.
Da una parte il sacro è carattere delle “cose” che si riconoscono appartenenti ad un orizzonte più ampio di quello a cui è legata l’esperienza empirica umana. Dall’altra, l’attributo del sacro deriva dall’uomo stesso, ovvero come afferma Durkheim, dalla società che trova rappresentata se stessa, e quindi i suoi valori, in determinati oggetti a cui attribuisce un particolare significato simbolico.
La contrapposizione tra queste due visioni è evidente. Per un cristiano non è certo la comunità di fedeli a trasformare la particola nel corpo di cristo, ma piuttosto è l’azione di Dio, per intercessione del prete a renderla sacra. Mentre viceversa per il pensiero durkheimiano gli oggetti sacri non necessitano di alcun ente terzo al di fuori della società, quindi dell’uomo, perché possano essere definiti come tali.
L’apporto del pensiero di Durkheim sta proprio nel fatto che questa concezione e definizione del sacro, allarga significativamente lo spettro all’interno del quale poter riconoscere tracce di sacralità; si inizia così a discutere e proporre molti esempi di “sacro non religioso”: la bandiera di una nazione, la patria, un particolare organo istituzionale, un determinato assetto politico, un evento storico… ma più in generale ogni “oggetto”, in senso lato, può diventare il rappresentante simbolico di una comunità di riferimento, della società. Così scrive Durkheim in Le forme elementari della vita religiosa:
« Si può ora comprendere come […] ogni forza religiosa sia esteriore alle cose in cui risiede. La sua nozione non è affatto costruita con le impressioni che questa cosa produce direttamente sui nostri sensi e sul nostro spirito. La forza religiosa non è che il sentimento che la collettività ispira ai suoi membri, ma proiettato fuori delle coscienze che lo provano, e oggettivato. Per oggettivarsi, esso si fissa su un oggetto che diventa così sacro; ma ogni oggetto può servire a questo scopo. In linea di principio, non vi sono oggetti necessariamente refrattari. Tutte dipende dalle circostanze che fanno sì che il sentimento generatore delle idee religiose si fissi qui o là, su questo punto piuttosto che su quello. Il carattere sacro che una cosa riveste non è dunque implicito nelle sue proprietà intrinseche: esso le è aggiunto. »
E ancora:
« una roccia, un albero, una molla, un ciottolo, un pezzo di legno, una casa in una parola, tutto può essere sacro. »
Di seguito al discorso fino ad ora condotto emergono due questioni che meritano di essere almeno parzialmente affrontate.
La prima riguarda il presentarsi, nel pensiero durkheimiano di una tautologia tipica della modernità (per un approfondimento si veda Gli strani casi del Dr. Darwin e di Mr. Marx). Dicendo che tutto può essere sacro, Durkheim individua come criterio fondamentale nel riconoscere tale attributo, la mera affermazione di un comportamento da parte di una collettività; la quale a seconda delle occasioni ne mette in atto uno piuttosto che un altro. Infatti, in questa prospettiva, non sono importanti gli avvenimenti, il contesto, le cause che hanno condotto un certo gruppo a ritenere sacro un determinato “oggetto” perché quell’oggetto venga ora dichiarato tale. Tutto diviene sacro allo stesso modo, sia il dio che l’idolo, indipendentemente dai pensieri, dalle ragioni e dal processo che conducono l’uomo a credere in ciò che afferma. In altri termini, conta solo che un qualsiasi oggetto venga considerato sacro, perché sia riconosciuto come tale. Per metterne in evidenza il significato tautologico, si può dire che è come se Durkheim affermasse: “è sacro ciò che viene trattato come sacro”. Viene così negata, almeno a parole, l’esistenza di un qualsiasi possibile riferimento che trascenda l’esistenza immanente del qui ed ora. Di modo che, il sacro viene sì riconosciuto come presente in ogni azione che l’uomo compie, ma in forma sempre più appiattita alla mera contingenza, alla sola preferenza che lo ha dichiarato tale. Rimasto cieco l’uomo proclama a gran voce il buio del mondo.
La seconda questione riguarda l’ampliamento, di cui si è già accennato in precedenza, del concetto di sacro. Non deve infatti trarre in inganno la solo apparentemente radicale innovazione di pensiero proposta da Durkheim. La teoria di questo “sacro ingrandito” si pone in realtà in precipua continuità con la tendenza del periodo storico in cui viene sviluppata. A cavallo tra il IXX e il XX secolo, da poco annunciata la morte di Dio, la modernità, e i suoi errori, si stagliano in maniera sempre più delineata. È interessante notare che, anche quando laicizzata, la società non smette di rintracciare oggetti dal valore simbolico che la rappresentano e che ne incarnino i valori di riferimento. La categoria del sacro, sopravvive e viene addirittura ampliata in un periodo di crisi della visione religiosa, agli inizi del cosiddetto fenomeno di secolarizzazione. Come fa notare Gomez Davila in Apocalisse democratica, non è neppure un caso che da allora in avanti il lessico della sociologia si trovi spesso a riutilizzare concetti, termini e metafore, tipiche del discorso religioso, per fornire un’interpretazione di fenomeni che non crede essere più appartenenti a tale sfera: profeta, rituali, Chiesa, credo… Del sacro sembra non si riesca farne a meno.
« Questa attitudine della società a erigersi come divinità o a creare dèi non fu mai evidente come durante i primi anni della Rivoluzione [francese]. In quel periodo, infatti, sotto l’influenza dell’entusiasmo generale, alcune cose, puramente laiche per loro natura, furono trasformate dall’opinione pubblica in cose sacre: la Patria, la Libertà, la Ragione. Cercò di affermarsi con la propria forza una religione dotata di un suo dogma, di suoi simboli, di suoi altari e di sue feste. » (ivi)
Questa “esternalizzazione” del sacro, al di fuori della questione religiosa, riconferma un tratto, tipico del pensiero moderno: il processo di divinizzazione da parte dell’essere umano, di se stesso. È “l’opinione pubblica” a “trasformare” le cose, in “cose sacre”.
« [le pratiche del culto] Per il solo fatto di avere la funzione apparente di rafforzare i vincoli che uniscono il fedele al suo dio, esse rendono al tempo stesso realmente più stretti i vincoli che uniscono l’individuo alla società di cui è membro, perché il dio non è che l’espressione figurata della società. » (ivi)
Il sacro, anche quando non riconosciuto come parte del discorso religioso, viene identificato come l’insieme di valori di riferimento a cui le azioni degli uomini si rivolgono, quotidianamente, in misura a volte più o a volte meno, consapevole e coerente. L’essere umano non riesce a rifuggire completamente il riconoscimento di un valore verso il quale orientarsi; giacché, anche l’affermazione più superficiale in tal senso, è essa stessa una pretesa di essere qualcosa di più di un mero contraddirsi. L’uomo è impossibilitato a negare in toto la propria aspirazione e il proprio legame ad un “oltre” che racchiude più di quel che egli stesso momentaneamente mostra di essere; è impossibilitato, cioè, a non orientare le proprie azioni verso valori di riferimento, anche qualora lo faccia in maniera contraddittoria e parziale. In ogni oggetto e ogni azione l’uomo ha la possibilità di misconoscere o di affermare il sacro, ma non a seconda della sua volontà, bensì riconoscendo o meno il riferimento al di là della realtà empirica che gli oggetti incarnano. L’uomo moderno non riconoscendo i valori e l’orizzonte a cui i suoi gesti aspirano, trova il proprio riferimento nella contingenza, nei suoi meri atti già compiuti, divenendo quindi la propria stessa divinità. Per Durckheim è la società infatti ad essere eretta ad unica entità capace di generare il sacro. Oscurato il riferimento a cui ogni azione si rivolge, ovvero l’insieme dei valori che ogni agire afferma nel compiersi, all’uomo non resta altro che rivolgersi malamente al proprio io isolato.
Dunque, per concludere, a definire cosa sia e cosa non sia sacro non può essere né un’entità sconosciuta, né il solo uomo. Ogni cosa può essere sacra, ma non a seconda della mera volontà che la definisce tale. Il sacro può essere definito quindi non in nome di un dogma indipendente dal riconoscimento da parte dell’uomo, né tanto meno dalla sola sentenza umana. Ogni oggetto è sacro nella misura in cui è riconosciuto in esso l’orizzonte di verità che incarna e a cui allude, nella misura in cui è rappresentato l’intero a cui è partecipe. Il sacro è inscindibile dall’essere umano, ma non riducibile ad esso. Sacro è l’oggetto in cui si scorge l’orizzonte più profondo che in esso è racchiuso. Sacro è quell’orizzonte che è, nella parte, l’intero.
10 giugno 2019
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