Cosa può rappresentare realmente la filosofia per l’uomo? È destinata a rimanere pura teoria, appannaggio di pochi studiosi ed appassionati?
di Edoardo De Santis
La possibilità di una conoscenza oggettiva non può essere considerata come derivante da un riferimento temporalmente determinato. Soltanto negando alla pratica la sua autonomia è possibile considerare l’umanità dal punto di vista della sua finalità intrinseca. Interrogarsi sul senso destinale dell'essere significa trovarsi di fronte al problema dell’impossibilità di fornire una definizione valida nei riguardi della considerazione della sua oggettiva storicità.
Se «pensare significa oltrepassare» come scrive Ernst Bloch all’inizio de Il principio speranza, il contenuto concreto che giustificherebbe il motivo per il quale l’ente si manifesta si sottrae a qualunque tentativo di darne una spiegazione. Si potrebbe quindi affermare che la derivazione, certamente problematica, del significato dell’essere dall’idea di un fine in sé, trovi il suo compimento proprio nella negazione del fine considerato. La questione fondamentale, relativa alla possibilità di comprendere che una rappresentazione pratica dell’agire morale dovrebbe essere posta a giustificazione di sé stessa e non di altro, non può essere determinata storicamente. Una definizione ultimativa di cosa sia l’umanità prefigurerebbe il suo compito storico, che consisterebbe nel gettare le basi di una evenemenziale manifestazione del senso autentico dell’essere, considerata però come intrinseca rispetto alla sua condizione di inaccessibilità, che vedrebbe nella mancanza di un riferimento spazio-temporale il suo immediato riscontro. Questo problema ha un’importanza fondamentale all’interno dell’analitica esistenziale heideggeriana, in cui il quid, posto all’inizio di ogni pretesa conoscitiva, si rivela come il significato della conoscenza stessa, di cui rappresenta il necessario disvelamento.
La storia va pensata provando per essa, per così dire, una sorta di sentimento che andrebbe a fondarne l’accadere, speculare all’amor fati nietzschiano, inteso come adesione organica nei confronti della verità storica dell’esistere, come ciò che avviene e avvenendo giustifica il suo stesso significato.
In Kierkegaard è presente questa tensione tra una verità intesa come dogma immutabile e potenzialmente eterno, e un processo che vede nella ricerca causale la possibilità della sua genesi storica. Ne Il concetto dell’angoscia il filosofo danese prefigura la possibilità dell’edificazione di una nuova comprensione storica del mistero della fede: l’angoscia derivante dal peccato originale rappresenta la base su cui poggia il “peso” della morale cristiana; ma nello stesso tempo un superamento del “dogma” è possibile solo a partire da un depotenziamento del significato storico per mezzo del quale esso stesso si giustifica. Un ragionamento analogo è espresso da Gilles Deleuze in Nietzsche e la filosofia. In quest’opera il filosofo francese contrappone la nietzschiana “critica dell’eccedenza” alla problematica “normalità” di tutte quelle filosofie che a partire da supposti dati irrefutabili, ricavati semplicemente dall’evidenza della realtà oggettiva, hanno costruito impianti metafisici i quali rappresenterebbero semplicemente un’ulteriore, seppur esteticamente pregevole, sovrastruttura concettuale. Ma questo sforzo rimarrebbe vano se non trovasse un riscontro concreto. La possibilità di edificare una morale “nuova”, senza l’avvenuta consapevolezza da parte dei singoli individui si risolverebbe semplicemente in un’occasione persa.
La filosofia, pur non avendo alcuna finalità e alcuna possibilità di rappresentare un riferimento oggettivo a cui rivolgersi soprattutto da parte di chi governa il mondo lascia dietro di sé una domanda fondamentale: e se veramente ciò che essa prescrive potrebbe un giorno valere come un imperativo universalmente accettato? Il fondamentale paradosso dei nostri giorni è rappresentato dal fatto che un discorso che ha di mira il senso, proprio perché tale, non viene preso in considerazione.
La verità dovrebbe coinvolgere le masse, dovrebbe essere patrimonio di ognuno, invece è appannaggio di pochi studiosi e discenti. Porsi la domanda sul futuro dell’umanità, chiedersi dove stiamo andando, rappresenta una questione eminentemente filosofica, ma che attiene nello stesso tempo alla responsabilità di ogni individuo. Ovviamente il futuro non si può prevedere, ma certamente la consapevolezza della condizione di disagio in cui la nostra civiltà vive, invita lo storico pensante a riflettere su cosa possa realmente accadere.
Vengono in mente le amare riflessioni che Adorno espone in Minima moralia, in cui la vita “offesa” sembra non avere alcuna possibilità di riscatto, dove la tenera ingenuità dell’individuo sembra destinata a rimanere un aspetto semplicemente personale, e come tale incomunicabile, del proprio rapporto con la realtà.
17 luglio 2019
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