Siamo sicuri che tutti gli aspetti negativi del medioevo siano così gravi da coprire quanto di buono c’è stato? La nostra epoca è completamente diversa dal medioevo o sono presenti anche nel nostro tempo guerre, carestie, contraddizioni nell’animo, disparità sociali?
Nella cultura contemporanea, soprattutto italiana, il concetto di medioevo viene spesso utilizzato come un altrove dove relegare le negatività dell’uomo e i problemi della società: un periodo buio, di passaggio.
Eppure il medioevo è il periodo delle tre corone: Dante, Petrarca e Boccaccio; è il periodo in cui nascono le università, è il periodo dello sviluppo del pensiero in lingua araba con Averroè e Avicenna, è il periodo del glorioso regno di Carlo Magno, dei Medici a Firenze, della Repubblica di Venezia.
Certo, oltre ad avvenimenti gloriosi e ad intelletti sublimi, sono presenti anche guerre terribili come quella dei Cent’anni o come le Crociate, carestie e pestilenze, la società è affetta dai peggiori vizi e contraddizioni e sicuramente parte della popolazione non vive in condizioni di prosperità.
Siamo però sicuri che tutti gli aspetti negativi siano così gravi da coprire quanto di buono c’è stato? La nostra epoca è completamente diversa dal medioevo o sono presenti anche nel nostro tempo guerre, carestie, disparità sociali, contraddizioni nell’animo umano?
« Il medioevo dell’odierna cultura diffusa risente ben poco delle ricerche degli storici, e risponde invece ad esigenze tenaci della psicologia collettiva, variamente confermate e alimentate dalla grande informazione. » (Giuseppe Sergi, L’idea di medioevo)
L’idea moderna e contemporanea di medioevo trae origine dalle riflessioni degli umanisti del Quattro e del Cinquecento, i quali erano animati dalla speranza di una nuova era di rinascimento culturale e di ripresa complessiva.
« La tendenza di quegli intellettuali a dare un’immagine “buia” di tutto il medioevo è comprensibile ricordando proprio la durezza degli anni da cui erano appena usciti. » (Ibidem)
Infatti il Trecento è stato il secolo della Peste Nera che uccise almeno un terzo della popolazione, della guerra dei Cent’anni, del passaggio verso una società feudale.
Allora perché, nonostante le ricerche degli storici, continuiamo a fare di tutto questo millennio (dal 476, deposizione di Romolo Augustolo, al 1492, scoperta dell’America) un unico fascio? Forse perché, contrapponendo il medioevo al periodo precedente, è inevitabile constatare una flessione dopo la floridità del pensiero greco e la maestosità dell’Impero romano. Forse perché in età moderna il pensiero è stato particolarmente vivace e fruttuoso. Come scrive Sergi nel suo saggio, è possibile ammettere un’altra ipotesi interpretativa, che integra quelle precedentemente mostrate e le completa.
L’idea negativa di medioevo, è frutto dell’esigenza di isolare tutto quello che di brutto appartiene all’uomo in un periodo lontano e concluso. È come se l’individuo contemporaneo, affetto da un particolare disturbo narcisista permanente, sostenesse di essere più intelligente, moralmente migliore, più avanzato di quello medioevale. Un sistema efficace per permettersi di non lavorare su se stesso e pensare che il peggio sia passato.
Non è possibile racchiudere la storia, che è storia del pensiero umano, in contenitori, in quanto il pensiero è qualcosa di dialettico, in continuo dialogo con se stesso. Possiamo dividere la storia in periodi per capirci e cogliere le peculiarità dei vari momenti, ma è indispensabile tener presente che ogni periodo non prescinde da quello precedente ed è base per quello successivo. Tutto ciò che di buono c’è stato nel medioevo è frutto di quanto si è seminato in età antica e ciò che di negativo c’è stato è potuto accadere perché nemmeno i greci e i romani ne avevano colto il valore. Allo stesso tempo nel medioevo c’è stato l’avvento del sistema feudale e la nascita delle università: da una parte quindi l’avvio di un sistema di assoggettamento, dall’altra si è sviluppata un’importante istituzione che ha fatto progredire l’uomo. In seno ad ogni epoca ci sono quindi le gioie e i dolori di quella successiva.
Del resto, sembra perfino inappropriato etichettare il medioevo come l’età feudale, quando questo sistema si è effettivamente sviluppato verso la fine del XIV secolo. Prima di questo secolo è più corretto parlare di poteri signorili e di rapporti vassallatico-beneficiari. Sembra che l’esigenza di assoggettarsi ad un signore sia un’iniziativa partita dal basso, dai contadini che la ritenevano una condizione migliore rispetto al rimanere indipendenti. Non c’era nessun tipo di costrizione da dover prestare osservanza in tale rapporto e non è neanche possibile trovare le prove di un’investitura feudale all’origine di ogni frazionamento politico medioevale.
Il concetto di servitù della gleba non descrive il sistema agricolo medioevale, che invece possiamo identificare come curtense. Nelle curtis, l’evoluzione delle ville romane, solo una parte delle terre era affidata ai servi del padrone, l’altra veniva data in carico a coloni che pagavano l’affitto in prodotti o in denaro e fornivo giornate di lavoro al signore (corvées). Non è vero nemmeno che l’economia fosse chiusa e fondata sul baratto: al contrario girava denaro anche tra i coloni e alcuni di loro riuscivano a portare i prodotti al mercato locale.
Occorre fare le giuste distinzioni, guardando l’evoluzione sociale che c’è stata ed essendo consapevoli che è sempre lo stesso spirito di assoggettamento presente in ogni società. Prendendo l’epoca classica, non possiamo non pensare al forte utilizzo di schiavi che sono stati il fondamento dell’intera economia. Se invece non vogliamo spingerci nel passato, ma rimanere nel presente e nel nostro Paese, è doveroso ricordare il caporalato, con i braccianti che lavorano per un euro l’ora nelle piantagioni di pomodori del sud Italia o le ragazze polacche che raccolgono fragole nel veronese per tre euro l’ora. Due piccoli esempi che potrebbero far pensare che siamo ancora nel medioevo, anche se abbiamo visto che questa espressione appare inappropriata.
22 luglio 2019
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