Il materialismo storico fa dipendere lo sviluppo delle culture esclusivamente dai fenomeni tecnologici ed economici. La storia, invece, sembra mostrarci come questa sia una astrazione, e che le cose potrebbero essere più complesse.
Un dualismo più volte tirato in ballo e famoso caposaldo della teoria della storia di Marx, il cosiddetto materialismo storico, è la distinzione che questo introduce tra struttura e sovrastruttura. Marx, con questa distinzione, assegna anzitutto alla struttura, ossia all’insieme dei rapporti tecnologici ed economici, il ruolo di motore della storia, degradando la sovrastruttura, ossia l’insieme dei rapporti politici, insieme con la filosofia, l’arte, la religione e la cultura in generale, al ruolo di ideologia di volta in volta creata dalle diverse classi dominanti con lo scopo di meglio soggiogare le altre classi sociali.
Ma, andando a guardare meglio, può la storia essere influenzata solo dai cambiamenti economici e tecnologici? Possono le sole necessità materiali essere causa necessaria e sufficiente dei molteplici cambiamenti che hanno portato le varie classi sociali a dominare una sull’altra?
In generale, possiamo dire che gli uomini abbiano un plesso di bisogni elementari, che possono essere bisogni vitali, affettivi, sociali, e che richiedono di essere soddisfatti. Ma la soddisfazione di questi bisogni può essere declinata in vari modi dai vari popoli, generando diverse culture a seconda, appunto, di come questi bisogni vengono soddisfatti. Complessivamente allora può variare da cultura a cultura il modo in cui si soddisfano i bisogni comunitari umani.
Ma il materialismo storico fa dipendere questo sviluppo delle culture esclusivamente dai fenomeni tecnologici ed economici. La storia, invece, sembra mostrarci come questa sia una astrazione, e che le cose potrebbero essere più complesse.
Alcuni esempi storici possono aiutarci a comprendere invece come queste dinamiche non siano mai univoche.
A scuola, per esempio, ci insegnano che la causa della caduta dell’Impero Romano d’Occidente sono state le cosiddette invasioni barbariche, che hanno portato, nel 476 d.C., alla conquista di Roma e alla deposizione dell’ultimo imperatore romano d’Occidente, Romolo Augustolo, da parte di Odoacre e dei suoi Visigoti. Quello che invece in genere si tende a non mettere in luce è che l’Impero Romano si trovava già da tempo in una situazione di crisi e decadenza, almeno dal periodo dell’anarchia militare del III secolo d.C., con le brevi parentesi di ordine politico garantite da Diocleziano e Costantino. La lunga crisi politica data dalla difficoltà di gestire un territorio così grande causò anche una crisi economica e disordini interni. Infine, ci si mise anche la decadenza dell’antica religione politeista greco-romana. Insomma, sembra proprio che non siano stati i fattori economici e tecnologici a causare la caduta dell’Impero, ma proprio quei fattori politici e culturali, i quali resero via via sempre più vulnerabile quella civiltà e che permisero dunque ai barbari di sconfinare e conquistare il territorio romano. Fu insomma la decadenza in generale della cultura romana a causare la scomparsa dell’Impero, prima ancora che i motivi economici e tecnologici.
Per capire la complessità della materia invece basterebbe guardare ai cambiamenti avvenuti durante l’epoca moderna, i quali portarono alla Rivoluzione francese. Sicuramente infatti il motivo scatenante della Rivoluzione del 1789 fu il malessere economico e sociale delle classi meno abbienti, che, anche se erano la classe sociale più produttiva in termini economici, continuava ad avere il minor peso politico. Ma possiamo anche affermare che il cosiddetto Terzo Stato non se la passasse meglio nei secoli precedenti. Perché allora la Rivoluzione avvenne soltanto alla fine del ‘700? Perché non avvenne prima se sono solo le condizioni materiali a smuovere gli uomini dalla loro condizione?
La risposta è che solo alla fine del XVIII secolo erano giunti a piena maturazione i frutti del pensiero moderno, in particolare quelli dell’Illuminismo – come, per esempio, la separazione dei poteri, i Diritti dell’Uomo, la sovranità popolare. Solo grazie a queste armi concettuali si ebbe la capacità di smarcarsi dall’oppressione del sovrano e delle aristocrazie. Se prima infatti il sovrano era intoccabile, sacro, in virtù del suo ruolo e del suo potere, che gli era garantito divinamente o per natura, ora le nuove teorie politiche e i nuovi sentimenti sociali facevano in modo che la contestazione del potere politico del sovrano non fosse più una chimera, ma venisse sentita come legittima.
Possiamo dire allora che ridurre la storia allo scontro di vari interessi economici sia una astrazione semplicistica. Essa invece sembra svilupparsi in modo più complesso, in cui sono sì gli interessi economici a retroagire come causa efficiente, ma questi possono essere considerati solo come causa necessaria, e non sufficiente, dei grandi mutamenti storici. Infatti, se il popolo fosse stato materialmente appagato, difficilmente potremmo pensare che la rivoluzione sarebbe avvenuta. L’altra condizione che in genere deve essere soddisfatta è dunque che i vari attori che si avvicendano nel teatro della storia siano culturalmente, filosoficamente, criticamente pronti a dare vita a questi cambiamenti, che essi siano capaci di vedere il limite, e capaci di pensare alla possibilità di superarlo, solo in questo modo il limite può essere oltrepassato.
La storia, insomma, sembra chiederci sempre di essere all’altezza di essa per poter procedere. Altrimenti, vi si resta impantanati.
24 luglio 2019