La biologia evoluzionistica si è profusa negli sforzi teorici più disparati per fornire una spiegazione alla sessualità che non contraddica al postulato darwiniano della necessaria lotta per l’esistenza.
La sintesi moderna (si legga: neodarwinismo) è quella teoria biologica che, coniugando la dottrina della selezione naturale di Darwin con le più recenti acquisizioni della genetica molecolare, sarebbe in grado secondo gli scienziati attuali di spiegare virtualmente ogni variazione e (nel caso degli animali) comportamento, assieme alle ragioni per cui essi hanno iniziato a manifestarsi in una particolare specie o classe di organismi.
Già in altri articoli e interventi ho messo in evidenza che la nascita della sessualità costituisce per questi studiosi uno scoglio non da poco, perché sembrerebbe minare alla base il principio cardine della teoria, per il quale gli organismi si modificano e “agiscono” solo in vista della propria sopravvivenza. Di fatto, invece, il sesso sembra essere un comportamento del tutto svantaggioso, perché comprometterebbe la stabilità genetica dell’individuo che si riproduce, dando vita a una prole che, a parità di condizioni ambientali, ha meno probabilità del genitore di sopravvivere. Non conviene, allora, restare “casti” e continuare a riprodursi per gemmazione o partenogenesi, senza avventurarsi nel promiscuo e rischioso mondo della riproduzione sessuata?
Ovviamente, la biologia evoluzionistica si è profusa negli sforzi teorici più disparati per fornire una spiegazione alla sessualità che non contraddica al postulato darwiniano della necessaria lotta per l’esistenza: si giudica conveniente la variazione (fenotipica o etologica che sia) che avvantaggia l’organismo nel suo sforzo di mantenersi in vita. Per i neodarwinisti, convenienza è esistenza.
Così, se una certa specie è asessuata, scienziati come Fischer, Muller e Kondrashov asseverano che essa, come specie, rischierà di più perché sul lungo periodo all’inevitabile mutare delle condizioni ambientali non corrisponderà la trasmissione di eventuali mutazioni vantaggiose in grado di salvarla dalla rovina, mentre i singoli individui, nell’immediato, rischieranno di meno, perché non nasceranno con mutazioni acquisite sconvenienti in condizioni ambientali identiche a quelle in cui si trovavano i genitori.
Viceversa, se una certa specie è sessuata, rischierà di meno come specie, che grazie alla ricombinazione genetica avrà più possibilità di far fronte a un eventuale mutamento di condizioni in virtù della trasmissione di mutazioni casuali che si riveleranno sorprendentemente convenienti, ma rischieranno assai di più gli individui, i quali avendo maggiore possibilità di ricevere mutazioni-handicap dai genitori, si ritroveranno perciò con meno probabilità di sopravvivere.
E poi c’è chi, come il noto biologo Bill Hamilton, ha sostenuto che in realtà il sesso sia conveniente tanto per la specie quanto per i singoli individui, in base a teorie che, per quanto affascinanti, ancora non hanno trovato conferma sperimentale e restano oltremodo problematiche.
Ad ogni modo, il sesso si è diffuso su larga scala, e non è chiaro ‒ tanto agli occhi di chi scrive quanto a quelli degli stessi scienziati ‒ perché un organismo che si comporta “darwinianamente” (cioè esclusivamente in vista della propria sopravvivenza e della sopravvivenza del proprio corredo genetico al di là della sua singola vita) abbia iniziato ad operare, cominciando ad accoppiarsi, secondo un comportamento immediatamente svantaggioso per lui e per il suo genotipo dal punto di vista adattivo, se pur vantaggioso a lungo termine per la specie, della quale esso non ha contezza. Sempre darwinianamente parlando, la convenienza per la specie è una conseguenza di quella che l’individuo ricerca anzitutto per sé; e quindi risulta quantomeno curioso che certi organismi facciano qualcosa che possa minacciare la propria esistenza e discendenza in vista di qualcos’altro, tra l’altro molto lontano nel tempo.
E allora che non valga la pena incominciare a chiedersi se davvero i viventi, e che siano uomini e che siano parameci, operino sempre in funzione di ciò che i neodarwinisti definiscono convenienza, e non piuttosto in funzione di altro ‒ di altri valori che non siano la mera esistenza e che “pretendono”, in qualche modo, di essere affermati?
Non potrebbe essere interessante domandarsi se quella equazione, esistenza = convenienza, non debba essere messa in discussione e andare a vedere se esistono ben altre forme di convenienza oltre a quella di mantenersi in vita?
Queste domande e le loro possibili risposte, che ancora non hanno trovato spazio nel dibattito scientifico attuale, rappresentano un compito a cui chiunque abbia un sincero interesse per la verità sulle nostre origini e il nostro destino non può sottrarsi ‒ e, dunque, un programma: di studio, di ricerca, di cambiamento.
31 luglio 2019
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