Perché parteggiare in maniera così cieca per un uomo che, come tutti i grandi, al netto dei notevoli meriti ha commesso anche la sua buona dose di delitti speculativi?
Spessissimo, esaminando la letteratura secondaria su Charles Darwin capita di leggere che egli non intendesse in alcun modo dare indicazioni sulle conseguenze e/o sulle applicazioni della sua teoria in campo sociale, politico ed economico. Il “socialdarwinismo” – si dice – fu nelle sue varie sfaccettature un affare non darwiniano, e soprattutto gli usi della teoria della selezione naturale nel senso di un competitivismo elitario potenzialmente senza controllo ed elogiativo della pura potenza sarebbero stati distorsioni estranee allo spirito scientifico e prudente del vecchio Charley, le cui dottrine non possono assolutamente leggersi come un'apologia del "tycoonismo" vittoriano.
Ebbene, poi ci si imbatte in parole come queste, scritte da Darwin in una lettera indirizzata a Heinrich Fick all'indomani del Trade Union Act (1871), cioè il provvedimento con cui si rendevano legali i sindacati nel Regno Unito:
« [Mi piacerebbe discutere] se sul continente si reputi buono che la regola su cui insistono tutti i sindacati per cui tutti i lavoratori - tanto quelli buoni quanto quelli cattivi, i forti come i deboli - lavorino lo stesso numero di ore e ricevano lo stesso salario.
[...]
Io temo che le società cooperative, che da molti sono guardate come una speranza per il futuro, allo stesso modo escludano la competizione.
Ciò mi sembra un gran male per il progresso futuro dell'umanità. »
Inoltre, una larga fetta dei defensores darwinianae fidei si rifiuta di ammettere che Darwin propugnasse precise tesi di metafisica, e che queste non si limitino a decentrare
l'uomo (operazione in cui peraltro tutta la modernità si è cimentata con grandi successi) ma ne facciano una bestia tra le bestie, al punto che i gesti di
spontanea simpatia e altruismo che fortunatamente sono riscontrabili in ogni comunità dovettero apparirgli, dal punto di vista evoluzionistico, dei comportamenti
dagli « effetti indubbiamente negativi » per il progresso della specie (The Descent of Man, 1871). L'uomo, anzi, sarebbe talmente
bestiale da indurre il naturalista inglese a dubitare della stessa capacità della mente di cogliere l'essere delle cose; quella stessa mente che lo aveva condotto alle sue sensazionali
scoperte. Così in una lettera a Francis Galton, suo cugino, mentre stava scrivendo il suo ultimo libro sui lombrichi:
« Dubito fortemente che le convinzioni dello spirito umano, che si è sviluppato da quello di animali inferiori, possano avere un qualche valore. »
Non si fa che ripetere che Darwin è complesso, che i critici che lo accostano a Herbert Spencer, che addirittura affermava che la soppressione di ogni argine alla eliminazione dei deboli e dei malati nella lotta alla sopravvivenza fosse da ritenersi salutare per la società, in realtà non hanno colto appieno il nocciolo delle sue teorie e che ritenere quest'ultime affini a precise ideologie sia fuorviante e fazioso. In questi stralci invece Darwin appare di una chiarezza e semplicità disarmanti, e fazioso piuttosto chi neghi l'evidenza. Perché parteggiare in maniera così cieca per un uomo che, come tutti i grandi, al netto dei notevoli meriti, ha commesso anche la sua buona dose di delitti speculativi? Cercando maldestramente di nascondere la filosofia che animava le sue scrupolose ricerche gli si fa, in realtà, il peggiore dei torti: quello di non capirlo e, soprattutto, di non capire che ruolo ha avuto nella storia delle idee occidentali.
22 marzo 2019